Chi
non ricorda l’esilarante tormentone della commedia “Miseria e nobiltà” di
Eduardo Scarpetta (immortalata nella versione cinematografica con Totò e Sofia
Loren)? Al piccolo Peppiniello è stato raccomandato di dire che è figlio di
Vincenzo, ma lui, per non sbagliare, qualsiasi cosa gli si chieda risponde
sempre: «Vincenzo m’è pate a me».
La
stessa cosa ormai accade quando si riaffaccia periodicamente la notizia che
l’Italia è in cattiva posizione nelle graduatorie internazionali dell’istruzione.
Secondo le recenti classifiche Ocse siamo all’ultimo e penultimo posto in
competenze linguistiche e matematiche? Risposta: «Vincenzo m’è pate a me». Che,
nella fattispecie si declina così: occorre un legame più stretto tra università
e industria, servono stage in azienda molto precoci, incrementare l’istruzione
professionale a scapito dei licei, più valutazione (ovviamente con test),
valorizzare il “capitale umano” con investimenti. Ci si mette anche il ministro
Giovannini traendo la conclusione che siamo “con le ossa rotte” e che gli
italiani sono “poco occupabili”.
In
primo luogo, poiché siamo adulti, è saggio non prendere queste statistiche come
oro colato. Come sono state fatte, con quali metodi, su quali contenuti?
Nessuno lo spiega, eppure da questo dipende tutto. Il fatto che finisca in
cattiva posizione un paese come la Francia – che, per quanto decadente ha la
tradizione che sappiamo – fa nascere più di un sospetto. Ed è ancor più
sospetto che venga messo sempre al primo posto il modello finlandese, ignorando
che dalla stessa Finlandia sono venute voci autorevoli a spiegare che il
successo nei test Ocse deriva dall’aver trasformato la matematica che s’insegna
in un “oggetto didattico” che con la disciplina propriamente detta ha poco a
che vedere e che prepara difficoltà serie a livello superiore. Tant’è che tutti
questi trionfi scientifico-tecnologici finlandesi non sono visibili.
Ma
supponiamo pure che tutto sia attendibile e che noi si sia con le ossa rotte.
In tal caso, il problema va affrontato nei nodi nevralgici e non ripetendo un
«Vincenzo m’è pate a me». Se vi sono carenze sul piano linguistico e matematico
occorre andare a vedere come e cosa s’insegna. Davvero qualcuno può farci
credere che una carenza linguistica e matematica si risolva facendo uno stage
in un’azienda di piastrelle? Chi può negare l’utilità di sviluppare gli
istituti tecnico-professionali, dopo che sono stati massacrati da riforme
demagogiche, ma perché mai questo dovrebbe accompagnarsi allo strangolamento
dei licei? Un paese che non voglia suicidarsi non deve forse far avanzare tutto
il fronte dell’istruzione? “Literacy” e “numeracy” miglioreranno scaricando
tutto il problema sui tecnico-professionali e sugli stage? Non è serio
pensarlo, e non è serio parlare a casaccio di investimenti, come se questi
problemi si potessero risolvere con pioggerelle di quattrini su discutibili sperimentazioni
didattiche o marchingegni gestionali.
Chi
voglia esaminare la situazione in modo serio non ha bisogno di perdere tempo
per rendersi conto della situazione. Basta aprire le antologie di letteratura
in uso nella scuola, ridotte a brani tratti da fonti di infimo livello,
spezzettati in formato sms e alternati con quesiti a crocette. Basta analizzare
come viene insegnata la matematica, ridotta a un ammasso di regolette,
algoritmi, “leggi” che vengono moltiplicate in misura tale da disgustare la
persona più ben disposta. Del resto veniamo da anni in cui cattivi maestri
hanno predicato che correggere l’ortografia era un pregiudizio passatista e che
la matematica non doveva essere considerata come una disciplina concettuale ma come
una “scienza procedurale”. Le ciliegie sulla torta le sta mettendo la pressione
a studiare per superare le prove Invalsi che fanno dilagare l’insegnamento in
funzione dei test. Nella vita quotidiana della scuola il dialogo disteso tra
insegnante e allievi è sempre più rimpiazzato da un percorso meccanico sminuzzato
in continue “verifiche” in cui prevale una visione burocratica e formale.
Se
si vuole affrontare la questione seriamente occorre andare a vedere il problema
dov’è. Qualsiasi persona che abbia un’idea minimamente fondata di cosa sia la
matematica non può stupirsi di nulla dopo aver letto le ultime Indicazioni
nazionali per il primo ciclo, che peggiorano le già mediocrissime precedenti.
Il male sta quindi in quello che s’insegna e nel modo con cui s’insegna, e di
questo portano la responsabilità primaria coloro che controllano il sistema
scolastico, incluso ora l’Invalsi con i suoi discutibili test e modelli
statistici. In anni passati si parlò delle responsabilità di taluni pedagogisti
“di stato”. Viene quasi da rimpiangere quei tempi di fronte alla tendenza
odierna a buttarla sull’economicistico e il manageriale, mettendosi nelle mani
dei fabbricanti di test fuori controllo e di quell’ambigua categoria detta
degli “economisti della scuola” che, a differenza dei pedagogisti, propinano
ricette senza aver mai messo piede in una scuola e ignorando i contenuti
dell’insegnamento. Se vogliamo giovani che sappiamo leggere, scrivere e far di
conto, come possiamo pensare di istruirli se non ponendoci il problema dal
punto di vista dei contenuti?
(Il Mattino, 10.10.13)
17 commenti:
Dal documento originale:
"Questo rapporto presenta un’analisi dell’indagine pilota svolta nel periodo 2010-2011 e dei principali risultati che, è bene sottolineare, non hanno rappresentatività statistica a livello nazionale, ma che consentono di mettere in luce evidenze che saranno approfondite nell’indagine principale. L’accento è posto su alcune osservazioni derivanti dall’indagine pilota, con l’obiettivo di evidenziare le potenzialità di PIAAC. E’ necessario pertanto sottolineare che i risultati devono essere utilizzati con cautela, poiché obiettivo di ogni indagine pilota è quello di testare gli strumenti, i test e le procedure sul campo (il field), piuttosto che fornire un quadro rappresentativo della realtà."
Forse è il caso di non commentare ulteriormente e aspettare l'indagine principale. Come sempre, i giornali italiani si distinguono per commentare cose che non hanno letto.
Dal documento originale:
"Questo rapporto presenta un’analisi dell’indagine pilota svolta nel periodo 2010-2011 e dei principali risultati che, è bene sottolineare, non hanno rappresentatività statistica a livello nazionale, ma che consentono di mettere in luce evidenze che saranno approfondite nell’indagine principale. L’accento è posto su alcune osservazioni derivanti dall’indagine pilota, con l’obiettivo di evidenziare le potenzialità di PIAAC. E’ necessario pertanto sottolineare che i risultati devono essere utilizzati con cautela, poiché obiettivo di ogni indagine pilota è quello di testare gli strumenti, i test e le procedure sul campo (il field), piuttosto che fornire un quadro rappresentativo della realtà."
Forse è il caso di non commentare ulteriormente e aspettare l'indagine principale. Come sempre, i giornali italiani si distinguono per commentare cose che non hanno letto.
Ma infatti, l'ho detto che bisogna vedere. Ce l'ho proprio con i giornali, e soprattutto con i politici e gli "esperti" che si buttano a ripetere le solite idiozie tirando l'acqua al loro mulino. Basti leggere le idiozie di Andrea Ichino sul Corriere di oggi. Per costoro la statistica è una cosa sacra, basta che siano numeri e tutto è "vero". Sono l'esatto contrario di uno spirito scientifico. Poincaré, von Neumann e de Finetti li avrebbero bocciati e cacciati a pedate.
Devo correggermi: sul sito dell'ISFOL sotto un link un po' più criptico ("le competenze per vivere e lavorare oggi") è presente il rapporto finale di cui ha parlato la stampa.
Insegno matematica in una Scuola da più di vent'anni. Quest'anno, per la prima volta non avevo voglia di tornare (nemmeno l'idea di ritrovare gli alunni teneva). Credo che lassù, stiano facendo di tutto per arrivare a farci odiare questo mestiere. Bes, dsa, piani individualizzati, alunni da curare come malati, colleghi infatuati di invalsi e test pseudo-oggettivi e dirigenti informatico-dipendenti.. Decine di circolari da firmare al gioro(la maggiorparte delle quali non serve a nulla), collegi farsa in cui si vota pressochè tutto all'unanimità e genitori che cercano il minimo cavillo pur di metterti in difficoltà. La Scuola trasformata in progettifici ludico-assistenziali, alunni sempre più ingestibili, che NON STUDIANO e se vanno male, chiaramente la colpa non può essere che del prof, che non sa motivare o non usa la lim o non vuole cedere alle classi 2.0 (senno come si attirano clienti?). Patti di corresposabilità che mettono sullo stesso piano insegnanti e alunni.
Tutte queste cose sono lì, a farti sentire un cattivo insegnante perchè non ne condividi nemmeno mezza e non ci credi e pensi che continuano a prenderti in giro da più di vent'anni. Io insisto e continuo ad insegnare ai miei alunni la proporzionalità, ma con sempre meno convinzione devo dire. Stiamo lentamente cessando di insegnare le cose difficili.. Ma poi i ragazzi arrivano alle superiori e devono studiare il segno di un trinomio di secondo grado, ma come faranno se mancano loro le conoscenze di base, che a 12 anni sono fondamentali ? Si torna sempre allo stesso punto: nessuna abilità può essere sviluppata se non vi è un bagaglio di conoscenza adeguato ed abbastanza approfondito.
Confesso che in tutti questi anni, le cose più utili le ho imparate dai miei alunni e dal naturale scambio di informazioni con i colleghi, non certo da insulsi corsi di aggiornamento pedagogico/didattico in cui mi si diceva come applicare le teorie di tizio, caio e sempronio, gente che tra i banchi di scuola forse non ha mai messo piede. Invece mi sarebbe piaciuto un bel corso su Pitagora, o sulla similitudine. Sono certo che da lì verrebbero gli stimoli interessanti, le invenzioni più crerative. Al metodo ci pensiamo noi insegnanti, liberi di scegliere e confrontarci e non omologati dall'applicazione dei diktat calati dall'alto ! E soprattutto con la voglia di condividere la nostra passione con gli studenti.
Posso osservare alcune cose nelle giovani matricole universitarie: assenza di nozioni storiche e geografiche basilari, difficoltà a ragionare in astratto, grande superficialità.
credo che questo possa interessarla:
http://gowers.wordpress.com/2012/06/08/how-should-mathematics-be-taught-to-non-mathematicians/
Come contributo alla discussione mi permetto di proporre questo link:
http://www.butta.org/?p=14708
Penso sia interessante leggere l'articolo, i commenti dei lettori e le risposte dell'autore.
Non mancano gli spunti interessanti, peccato però che l'autore abbia finito per sconfinare in una serie di luoghi comuni, per giungere a vomitare tanto odio immotivato nei confronti del corpo docente.
La lettura però è proficua, perché è l'emblema dei modo di porse italico dinnanzi ai problemi: anziché analizzarli e proporre una soluzione, si cerca il capro espiatorio perché evidentemente si è incapaci di capire che certi problemi vengono da lontano.
Io sono intervenuto nella discussione e mi sono beccato una risposta assai maleducata da parte dell'autore.
Ho poi replicato con il seguente intervento, che al momento risulta essere ancora sotto moderazione (sono però stati pubblicati altri interventi inseriti in orari successivi al mio):
"Se fossi un po’ più umile eviteresti di straparlare su questioni che ignori, evitando così anche qualche brutta figura.
Nessuno ha mai visto un insegnante compiaciuto dell’aver scritto aria fritta sul POF o sulla triade conoscenze/competenze/capacità. Ma è inutile spiegarti che quell’aria fritta è obbligatoria per legge. Non capiresti, perché sei talmente ottuso da prendertela con chi subisce tali norme anziché con chi le approva.
(continua)
(continuazione post precedente )
Il problema delle lacune degli italiani in campo scientifico viene da lontano, ma per capire queste cose occorre un minimo di conoscenza della storia della scuola italiana, cosa che tu non dimostri affatto di avere.
E dico questo, perché altrimenti ti saresti accorto che nell’impostazione gentiliana per la formazione della classe dirigente era richiesto il possesso di un’eccellente preparazione in campo umanistico, ma non era richiesta una altrettanto ottima preparazione in campo scientifico.
La matematica quindi veniva privata del suo ruolo culturale, che le sarebbe spettato in quanto parte integrante del pensiero umano, per diventare mera tecnica procedurale, ovvero un insieme di regole da imparare e applicare pedissequamente. Questa deriva è stata poi agevolata dall’accesso all’insegnamento di matematica di docenti che non avevano una preparazione culturale adeguata nel campo (che, per quanto tu non possa essere d’accordo, è fondamentale per far capire agli studenti il senso di quello che si sta facendo).
La vecchia scuola, da te tanto vantata, era quella che fino al 1967 proponeva alla maturità scientifica problemi stereotipati, tutti immancabilmente risolubili con un’equazione di secondo grado di cui si chiedeva la discussione al variare del parametro, ovviamente col metodo di Tartinville.
Tale assurda prassi ebbe fine solo quando il grande matematico Bruno De Finetti scrisse due durissimi articoli: “Come liberare l’Italia dal morbo della trinomite” e “Contro la matematica per deficienti”.
http://www.mathesisnazionale.it/archivio-storico-articoli-mathesis/325_329.pdf
http://www.mathesisnazionale.it/archivio-storico-articoli-mathesis/95_123.pdf
Se avrai la pazienza di leggerli ti accorgerai che il buon De Finetti mise il dito sulla piaga, mettendo nero su bianco quello che tutti sapevano, ossia che il 90% degli studenti applicava il metodo di Tartinville senza capire una cippa di quello che stava facendo (e siamo negli anni 60, quelli in cui secondo te tutti gli studenti capivano quello che studiavano).
Il problema quindi esisteva allora ed esiste ancora oggi perché è retaggio di un’ideologia che non considerava importante la conoscenza della matematica per entrare a far parte della cosiddetta “classe dirigente”. E infatti, vecchi e giovani, continuano ad avere difficoltà in tal senso, perché certe tradizioni pluridecennali sono dure a morire. Basta quindi con questa retorica, perché l’Italia è piena di cinquantenni e sessantenni diplomati le cui competenze di base sono di gran lunga inferiori a quelle del diplomato medio di oggi. E con questo non voglio certo affermare che la preparazione media dei giovani diplomati sia adeguata. Voglio solo dire che certi problemi vengono da lontano e capire questo è il primo passo per risolverli.
E lo stesso dicasi per le lingue straniere. Tu dici che oggi i giovani sono ignoranti in materia, mentre un tempo almeno sapevano districarsi col francese (insegnato dai laureati in giurisprudenza, che non lo conoscevano nemmeno loro). Ma per favore! Anche in questo caso si tratta di invertire la rotta rispetto ad una tradizione didattica che ha visto riprodurre nell’insegnamento delle lingue straniere metodologie tipiche dell’insegnamento della lingua latina. Che la cosa non funzioni lo sanno ormai tutti, e infatti molti docenti stanno cambiando metodologia. I programmi ministeriali però continuano ad essere assurdi, per cui anziché fare pratica linguistica per cinque anni, al triennio del liceo si analizzano testi letterari o si fa storia della letteratura, mentre nei tecnici e nei professionali si studia l’inglese tecnico specifico dell’indirizzo di studi."
Condivido con quanto afferma l’insegnate Fabio Runello: “nessuna abilità può essere sviluppata se non vi è un bagaglio di conoscenza adeguato ed abbastanza approfondito”.
Cominciando dalla primaria, un genitore cosa può fare quando a volte sono gli insegnanti stessi ad abolire uno dei più importanti strumenti di approfondimento/consolidamento: i compiti per casa?
Essi sostengono che in classe i bambini lavorano già abbastanza.
E che fare quando anche altri genitori sostengono che alla primaria si deve imparare il piacere di andare a scuola, che non bisogna “stressare” i bambini perché altrimenti odieranno lo studio?
Certamente “in medio stat virus”, ma è davvero difficile trovare il punto di equilibrio.
Dopo 3 anni di primaria, ho capito che non è corretto che io faccia l’insegnante “clandestina” di mia figlia, spiegando argomenti non approfonditi a scuola e aggiungendo esercizi supplementari, perché non ne ho le competenze, perché non lo tollera e perché non è questo il rapporto che i genitori devono avere con la scuola. D’altra parte, non si possono ignorare le lacune che via via vanno a formarsi e nemmeno si può pretendere che maestri che cambiano ogni anno (in 3 anni si sono avvicendati almeno una dozzina), che insegnano a “scavalco” in più istituti, che a febbraio già sono alle prese con le domande di trasferimento, si preoccupino di approfondire alcunché, tanto quei bambini l’anno dopo non li rivedranno più.
Che fare quindi? Noi non ce la siamo sentita di aspettare ancora che cambi qualcosa, che arrivi un’altra riforma, che qualcuno ascolti il prof. Israel. Non abbiamo trovato altre soluzioni che quella di cambiare scuola, cercandone una, con buona reputazione, in cui la probabilità che si verifichino tali situazioni sia ridotta al minimo.
Le differenze si sono viste immediatamente: i due insegnati di riferimento (in precedenze ne aveva 6 + 2 di sostegno) condividono regole, programmi, compiti per casa, che la diretta interessata svolge molto più accuratamente di quanto non facesse quando era “obbligata” da me. Peccato sia una scuola paritaria.
@mamo
Mah, preferisco il nostro libro "Pensare in matematica"...
No guardi, non hanno né pratica linguistica né studiano la letteratura. Le assicuro. Proprio niente.
Sulla scuola impostata per superare i test, che diventa una società impostata per superare i test posso proporre questo articolo del NYT
http://goo.gl/z8diRR
La scuola fondata sulla preparazione ai test mostra la corda dopo aver creato una società che si prepara ai test della scuola fondata sulla preparazione ai test.
I test di accesso? ormai meaningless secondo le scuole private di NY
http://goo.gl/z8diRR
Guardi che non sanno né la lingua né la letteratura. Inoltre è un'antitesi falsa: studiare la letterature su un testo originale implica già un buon livello di lingua cui non si arriva più.
Lo scandalo è che un maestro in pensione NON viene immadiatamente rimpiazzato con posto di ruolo, ma con supplenti. Anche questa è una strategia per distruggere l'istruzione pubblica.
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