E' avventato commentare un progetto di cui sono note solo le
linee generali, come quello che è stato
preannunziato sulla scuola, e questo non solo per il rispetto che si deve a chi
l'ha formulato, ma anche perché è nei
dettagli e nelle modalità di
attuazione che si annidano gli aspetti più
significativi e qualificanti. Tuttavia nell'annuncio vi sono due aspetti
di metodo e di merito che colpiscono positivamente. Il primo: e' sacrosanto che
sia il governo,e anzi la persona del presidente del Consiglio, ad assumersi la
responsabilità di formulare
un progetto organico che non sia il frutto della solita tentazione demagogica
di farlo nascere da una sorta di scrittura collettiva. Ben vengano poi commenti
e critiche dei soggetti coinvolti. Il secondo e' riassunto nella dichiarazione:
"Tra dieci anni l'Italia non sarà
come l'avranno fatta i funzionari degli uffici studi delle banche o i
politici di Montecitorio. L'Italia sarà
come l'avranno fatta le maestre, i maestri e gli insegnanti."
A maggior ragione questo vale per la scuola stessa, che deve
essere restituita ai suoi agenti principali, gli insegnanti, dopo decenni in
cui è stata dominata da
altri soggetti che hanno debordato dalle loro funzioni istituzionali. Tra
questi viene la burocrazia ministeriale, che anziché porsi al servizio dell'istruzione ha peccato di
dirigismo seguendo una lontana e deprecabile tradizione. Poi i sindacati, che
hanno non di rado travalicato la loro funzione intervenendo sulle modalità e i contenuti
dell'insegnamento, anche se per controbilanciare il dirigismo di cui sopra. In
terzo luogo, il peccato di alcuni pedagogisti ed "esperti della
scuola" di voler rifare l'istruzione da cima a fondo nella veste di
consiglieri del principe; i quali si sono tuttavia fatti rimpiangere dall'intervento
degli ultimi soggetti coinvolti, proprio i funzionari degli uffici studi delle
banche e gli "economisti della scuola", che hanno voluto far credere
che il problema dell'istruzione possa essere risolto con modelli econometrici e
con l'abuso di test e quiz.
Tutto ciò indica
la via da seguire per affrontare il tema centrale del merito e della
valutazione: restituire questa funzione alla comunità di riferimento, cioè
gli insegnanti. Questo non implica escludere dalla valutazione il
contributo di studenti e famiglie. Ma la scuola non è un supermercato. La conoscenza non è un prodotto, la sua
acquisizione non si valuta secondo la soddisfazione del consumatore, altrimenti
la soluzione banale e' promuovere tutti ovvero abolire il merito. E' proprio la
subordinazione a questa concezione sbagliata che ha condotto alle promozioni di
massa che, a loro volta, rendono difficile la valutazione di merito degli
insegnanti. Se non rimuoviamo il feticcio del "successo formativo
garantito" sarà difficile
se non impossibile introdurre una qualsiasi forma di valutazione professionale
degli insegnanti. Pertanto, e' sciocco dedurre dal fatto che l'esame di maturità abbia visto promozioni di massa
la conclusione che esso debba essere abolito. L'esame di maturità, come l'esame di terza media (e
anche un esame di conclusione della scuola primaria) possono essere migliorati
e adeguati, ma hanno mostrato un validità
formativa per i singoli e per la scuola come sistema (e questo non solo
in Italia). La scuola deve essere aperta a tutti, ma non può essere un puro luogo di
socializzazione; la scuola deve incoraggiare lo sforzo e l'impegno degli
studenti.
L'Italia arriva tardi in tema di valutazione. Tanto più e' bene guardare non solo ai
punti di partenza dei modelli esteri ma anche alle critiche attuali. Come la
pretesa bizzarra di valutare la ricerca scientifica senza leggerla e' sempre più screditata, così l'abuso dei test - anche di
quelli Ocse-Pisa- e' sempre più oggetto
di critiche autorevoli. Sarebbe davvero strano, mentre appare evidente la
necessità di frenare la
"quizzomania" a livello della valutazione degli studenti fare degli
esiti dei test agli studenti uno strumento di valutazione degli insegnanti.
Restituire protagonismo agli insegnanti significa, lo ripetiamo, fare della
valutazione un processo interno alla categoria, ovvero basato su pratiche
ispettive rigorose e lontane da quelle burocratiche di un tempo. Non è certo possibile qui entrare
nelle modalità, che sono
decisive ma che debbono essere identificate dal principio cardine del merito, e
cioè che si crei un
confronto che faccia dei migliori un modello per gli altri e trascini verso
l'alto la qualità del
sistema, esattamente come deve avvenire per gli studenti. Se, invece, si pensa
di eliminare il confronto parlare di merito diventa derisorio.
Resta da dire qualcosa sul tema più
importante: i contenuti. Siamo in fervente attesa di leggere i dettagli
del progetto convinti che non ci si illuderà
di risolvere i problemi di contenuto con le tecniche didattiche o digitali.
Si straparla delle carenze in matematica ma chi creda che esse si risolvano con
l'informatica o con i tablet commette un errore marchiano: esse si risolvono
insegnando a pensare nella matematica propriamente detta abbattendo le barriere
che la separano da altre discipline. Un discorso analogo vale per la fisica, la
biologia o altre materie scientifiche. Fu proprio Steve Jobs a ricordare in
un'intervista di parecchi anni che nessun problema dell'istruzione può essere risolto con mezzi
digitali. Inoltre, la scuola italiana ha bisogno come veleno delle guerre di
religione tra materie scientifiche e umanistiche e tra licei e istituti tecnici
e professionali. Ha, al contrario, un bisogno assoluto della riqualificazione
di questi ultimi, ma men che mai di far deperire i licei, magari diffondendo -
come taluno fa sconsideratamente - una contrapposizione tra scuola e lavoro e
inseguendo l'idea pericolosa di accorciare il liceo a quattro anni e disseccare
quello classico. La frase di Matteo Renzi si avvicina all'aforisma del Nobel
Albert Szent-Gyorgyi: la società futura
sarà come sono le scuole
oggi. Ci auguriamo che si tratti di una società
avanzata e colta, la quale ha bisogno di professionalità, di capacità tecniche, di alta tecnologia e
quindi di scienza e infine di cultura in senso ampio e umanistico; il che
significa non solo ma anche lunghe permanenze nello studio.
(Il Messaggero, Il Mattino, Il Gazzettino, 25 agosto 2014)
4 commenti:
Oltretutto se si dissecca il classico, da cui proviene una buona fetta degli studenti universitari, che laureati avremo nel futuro? L'università non è in grado di rimediare alle lacune accumulate negli anni di scuola media-liceale. C'è bisogno di buone basi e il classico le ha sempre fornite. Vorrei ricordare che la Giannini è laureata in Lettere Classiche.
Come al solito aggiungo i complimenti per a Sua battaglia, che almeno trova spazio su qualche giornale.
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