Nell’attesa
che dietro il fuoco di fila delle anticipazioni si profili in modo preciso il
programma governativo per la scuola, proviamo a dire in una decina di punti che
cosa vorremmo.
1.
Un chiaro piano per l’edilizia scolastica che precisi non solo l’entità delle
somme mobilitate ma, soprattutto, i modi con cui saranno concretamente spese
nei tempi più rapidi, semplificando le dinamiche vischiose degli appalti che in
Italia affondano nel nulla le migliori intenzioni.
2.
Speriamo che sia vera l’intenzione e che esistano i mezzi per cancellare le
parole “precariato” e “Gae, Graduatorie a esaurimento”, che tragicamente,
invece di esaurirsi sono continuamente alimentate da un mercato di punteggi con
cui attività di dubbia qualità contribuiscono a tenere in vita un sistema
inqualificabile. Le sanatorie non sono mai una bella cosa, ma il sistema
dell’istruzione ha un disperato bisogno di essere alimentato da procedure di
immissione in ruolo secondo regole normali, stabili, basate sul merito e riservate
ai giovani.
3.
Ci attendiamo che a nessuno venga in mente di metter mano a qualche riforma
“epocale” dei cicli, magari per realizzare un antico sogno di veder iscritto il
proprio nome sulla stele delle riforme italiane del sistema dell’istruzione,
dimenticando quanti tentativi smozzicati lo hanno dilaniato in modo incoerente.
È importante una pausa di riflessione in cui si cerchi pazientemente di
ricucire e migliorare senza ulteriori sperimentazioni “in corpore vili” e senza
riproporre, sotto nuove vesti, la demagogica ricetta delle “tre i” (internet,
inglese, impresa).
4.
E quindi ci attendiamo che si evitino sforbiciate sulla durata dei licei,
magari ispirate da una sconsiderata contrapposizione tra formazione “pratica” e
formazione “generale” e umanistica, tra tecnica e scienza, come se non avessimo
bisogno di entrambe e quindi di rilanciare alla grande sia gli istituti tecnici
e professionali che di preservare e migliorare la qualità dei licei classici e
scientifici.
5.
È del tutto sensato cercare di stringere dei rapporti tra scuole e impresa, e
gli stages possono giocare un ruolo importante al riguardo. Ma se questo ruolo
è evidente e facile ai livelli tecnico e professionale sarebbe pura demagogia
spedire studenti del liceo classico o scientifico in qualche piccola azienda,
magari a basso livello tecnologico – come purtroppo gran parte di quelle
italiane ormai – anziché i primi in una biblioteca, in un museo o in un centro
di scavi archeologici e i secondi in un’impresa ad alto livello tecnologico.
6.
Non pretendiamo che si possa imporre un solo libro di testo di matematica per
le primarie, come in Cina (peraltro migliore di tutti quelli circolanti in
Italia), ma il dilagare, per ogni materia, di centinaia di libri di testo
diversi o riproposti con modifiche marginali – con enormi inutili spese –
assume aspetti grotteschi. Come procedere in una democrazia liberale? Per
esempio, nominando commissioni (come in USA) che bandiscano gare per la selezione
dei libri migliori e quindi incentivandone l’adozione.
7.
Occorre invece vietare seccamente l’uso nelle scuole di “eserciziari” per
addestrare al superamento dei test Invalsi. Questi test debbono servire a
valutare la qualità degli apprendimenti nelle materie ordinarie e non a
valutare l’apprendimento dell’abilità a superare i test medesimi. Ciò deve
collegarsi a un annullamento del ruolo dei test Invalsi come nuova materia che
conta nella valutazione dell’esame di terza media, e a dismettere gli insani
propositi di introdurre qualcosa di analogo nell’esame di maturità.
8.
Dopo aver speso tanti quattrini per le Lim (Lavagne Interattive Multimediali,
troppo spesso usate per vedere film o le ultime canzoni su YouTube), dovrebbe
essere chiaro che sarebbe stato meglio puntare su mezzi tecnologicamente meno
caduchi, come i computer, e non dimenticare la robustezza tecnologica dei comuni
libri. Ci si attende cautela nell’introdurre altri mezzi digitali confidando in
proprietà salvifiche che non esistono.
9.
Verrà il momento di parlare con coraggio e senza pregiudizi del sostegno? Non
certo per tagliare il sostegno dei casi seri e autentici, ma per guardare in
faccia i disastri che sono stati fatti con la legge sui Dsa (Disturbi specifici
di apprendimenti) e sui Bes (Bisogni educativi speciali) che hanno aggiunto
alla dislessia patologie di dubbia esistenza come la “discalculia” o la
“disortografia”, trasformando la scuola italiana in una gigantesca clinica in
cui un numero crescente di alunni viene diagnosticato “disturbato” e così
aprendo percorsi di vera e propria irresponsabilità didattica.
10.
Quanto alla questione più difficile di tutte, la valutazione
degli insegnanti, e l’introduzione di scale di merito nella carriera, nessuna
persona seria può dichiararsi contrario ma occorre riflettere in modo serio e
fuori da ogni demagogia. Il problema è il “come”, e la difficoltà non si
risolve nel modo più banale: premiando chi lavora di più. Se l’uovo di Colombo fosse
l’idea di incrementare l’orario di apertura degli istituti in conformità a
un’idea della scuola come centro di aggregazione sociale, e di premiare i docenti
che si impegnano di più nelle attività extra, ricevendo un giudizio positivo
dei dirigenti scolastici e degli “utenti”, allora – ammesso che si trovino le
risorse per una siffatta operazione – non ci siamo proprio. Può benissimo
accadere che, invece di migliorare la qualità degli insegnamenti e degli
apprendimenti delle materie fondamentali, accada il contrario. Sono molti gli
insegnanti (indiscutibilmente bravi) che paventano una situazione in cui sia
premiato chi, anziché rompersi la testa sui “programmi” di base, mette in piedi
progetti sul riscaldamento globale, sull’accoglienza e sulla miriade di tematiche
nobilitate dall’appartenenza alla categoria del “politicamente corretto”, e
ulteriormente nobilitate dalla loro presentazione digitale (video, power point,
ecc.); e paventano che ciò vada a scapito degli apprendimenti linguistici,
matematici, storici, letterari, scientifici di base. Ed è tutt’altro che
sospettoso temere che siano penalizzati gli insegnanti “tradizionali”, meno
ligi alla dogmatica delle “competenze”, della didattica alternativa e al
feticismo dei test, senza che questo significhi che siano i peggiori:
potrebbero essere tra i migliori. Non si tratta di
timori campati in aria. Basta vedere come sono state ridotte le nostre scuole
primarie, un tempo declamate come le migliori del mondo, che fanno disperare le
famiglie che vorrebbero vedere i propri bambini tornare a casa avendo appreso
qualcosa, mentre sono sempre più un emporio di “attività” disperse e dispersive
che consegnano alle secondarie di primo grado alunni con drammatiche carenze
ortografiche, lessicali e matematiche (magari diagnosticate come Dsa). Se si
pensa di esportare tale modello ai livelli superiori, anziché correggerlo a
quello primario, allora non c’è da essere profeti per prevedere i risultati che
avremo di fronte tra un certo numero di anni.
(Il Mattino, 3 settembre 2014)
12 commenti:
Un modo per misurare in modo estremamente preciso (“oggettivo”) il merito dei docenti ci sarebbe, semplicissimo e a costo zero: il giudizio degli studenti più capaci e più responsabili (i presidi sanno quali sono). Il giudizio dovrebbe articolarsi in tre voci: competenza, capacità esplicativa, impegno didattico.
Nah, i presidi non ne hanno la minima idea, direi. Ormai sono dirigenti/burocrati, non perdono certo tempo a girare per le classi.
Anche perché un preside con dieci scuole come fa a entrare in classe?
Nella mia carriera (sono quasi trenta ormai) ho conosciuto ottimi insegnanti. Sono la maggior parte.
Sono gli stessi che hanno resistito alle inutili didattiche di regime, impegnandosi nel quotidiano lavoro di aula convinti che fosse il modo migliore per cercare di garantire una scuola di qualità, nonostante la gestione folle ed irresponsabile di politici e dirigenti. Io penso che si dovrebbe rendere merito a questi insegnanti: "ad honorem" !
Ma non sarà così.. Basta aver vissuto nelle scuole negli ultimi anni, partecipato ai collegi pensiero unico, ai corsi di formazione coatta ecc., per capire che il merito andrà a coloro i quali faranno le famose attività aggiuntive: dallo star bene alla sicurezza, ai corsi sui DSA, alla green school e che si fanno coinvolgere in qualsiasi commissione/rete si formi. Ma dopo vent'anni di massacro della scuola italiana, cosa si aspettano di trovare ? Insegnanti che non aspettano altro di essere giudicati per potersi finalmente meritare quel che gli spetta ? Troveranno le macerie: insegnanti delusi e sottopagati (travolti da una sexy finta scuola sempre più serie Tv..) stufi e con una grande confusione in testa. Perchè non capiscono come mai tutto quel che hanno imparato fino ad ora sembra non servire più a niente, dal momento che affettività e sessualità, pasticceria e scrittura creativa ormai contano più di M.C.D. e m.c.m.! Ecco a chi andrà il merito.
Bisogna battersi con forza contro tutto questo. Io ci proverò, per quel che conta in questo povero paese. Scriverò a Renzi per ribadire la centralità della cultura nel processo di formazione dei giovani. La scuola non è un contenitore di attività aggiuntive. Il patto educativo dovrebbe essere proprio questo: fuori la non-scuola dalla scuola!
Invito tutti quelli che la pensano così a metterlo in guardia dal pericolo. Non so se serva a molto: è una persona piuttosto rozza, ma forse sensibile alle istanze del "popolo".
Gli interessa fa colpo con le 150mila assunzioni e l'edilizia, insomma, con le iniziative di grosso impatto. Sui programmi credo che incida molto meno, e per questo non bisogna che li prendano in mano i vari ideologi che infestano la scuola come le mosche. Come sempre aggiungo i complimenti al prof. Israel che individua sempre i veri problemi.
Ho dato una rapida occhiata ai 12 punti... the horror!
Comunque, quanto all'articolo, almeno la seconda metà dei punti da lei proposti è stata esplicitamente negata. In particolare l'ultimo è come se fosse stato preso a modello in quello che lei sottolinea non vada fatto. Le pagine 48-58 sono un autentico inno a fare tutto tranne lezione.
Gentile professore, le sue sono proposte lucide e razionali, ma le linee guida rese note dal governo vanno in direzione opposta.
Matteo Renzi millanta una riforma volta a premiare i docenti che fanno bene il loro lavoro e a punire coloro che lo fanno male. La realtà è che fissando a priori la percentuale degli insegnanti meritevoli degli scatti (il 66%) si sta attuando una volgare operazione per fare cassa, risparmiando un bel 34% della spesa sinora destinata alle progressioni stipendiali dei docenti. Sarebbe come se un docente decidesse a priori che solo il 66% dei suoi studenti potrà ottenere una valutazione negativa allo scrutinio di fine anno.
Si dirà che in questo modo di vogliono premiare i migliori, ma il discorso non regge perché le intenzioni propagandate dal governo erano quelle di premiare chi lavora bene e non chi dimostra di essere più bravo degli altri, innescando fra l'altro un'assurda competitività fra colleghi che non può certo fare bene alla qualità del servizio scolastico.
Se il governo avesse avuto intenzioni oneste, avrebbe previsto per tutti la possibilità di ottenere gli scatti retributivi, vincolandoli però all'accertamento dell'adeguatezza del servizio svolto, ma senza stabilire a priori il numero dei meritevoli, con l'obiettivo furbesco di tagliare come al solito la spesa destinata all'istruzione.
I criteri con cui verrà stilata la graduatoria appaiono poi assai discutibili. I "crediti" infatti si baseranno sugli esiti della famigerate valutazioni standardizzate degli apprendimenti, su attività di progetto legate alla solita aria fritta dal carattere fortemente ideologico (BES, didattica per competenze, gruppi per l'inclusività e amenità varie).
Il docente che lavora bene in classe, che prepara con cura le proprie lezioni, che mostra disponibilità con gli studenti, che cura il suo aggiornamento professionale orientandolo verso tematiche realmente culturali e formativa e non verso l'aria fritta propugnata da certi geni falliti e ignoranti, verrebbe invece tagliato fuori perché il suo lavoro lodevole e proficuo non prevede l'attribuzione di punti.
Lascia perplessi inoltre il ruolo che verrà assunto dai Dirigenti Scolastici, che avranno la possibilità di dire l'ultima parola sulle progressioni di carriera del 66% di eletti. A parte il fatto che non tutti i presidi hanno la statura culturale per esercitare un tale ruolo (alcuni di loro non sono nemmeno in grado di scrivere una circolare in italiano corretto), ci si chiede se è opportuno attribuire loro un potere così ampio, che potrebbe legittimare e incentivare clientele, raccomandazioni e ruffianeria. Possiamo permetterci di mandare in malora la libertà di insegnamento, che peraltro è costituzionalmente garantita?
Tra tutti i punti, certo il più critico è la valutazione degli insegnanti.
Ma la domanda che mi faccio è "perchè valutarli?" Se per legare lo stipendio alla valutazione, allora è pura follia. E' un colpo di piccone contro la scuola.
Io non sono un insegnante, purtroppo. Ho sempre lavorato nell'industria privata e posso garantire che la valutazione individuale a fini di carriera è sempre stata foriera come minimo di conflittualità interna e perdita di capacità di collaborazione tra colleghi. Premiava il conformismo e la ripetizione dell'abituale (se faccio qualcosa di diverso e non va bene rischio di essere penalizzato) e generava la creazione di scorciatoie.
Tra le cose per cui ho sempre considerato fortunati gli insegnanti è proprio questo "essere tutti uguali" e tutti ugualmente responsabili del proprio lavoro.
Quelle che dico potrebbero essere le considerazioni di uno sfigato, invece fior di studiosi stanno considerando gli effetti negativi sulla produttività legati al premio in denaro legato alla valutazione individuale. Segnalo
Jurgen Appelo con Management 3.0; Kenneth W Thomas con "intrinsic motivation at work"
Steve Denning .... e molti articoli su riviste del tipo Harvard Businnes Review.
Mi chiedo se c'è qualcuno che abbia una precisa idea di cosa potrebbe celarsi dietro alla valutazione "PER MERITO" da cui dipendono tutti scatti stipendiali ai professori con la annunciata riforma della scuola.
Le mie domande generali sono: nelle altre nazioni ci sono sistemi di scatti stipendiali per merito? Funzionano su basi analoghe?
Nel dettaglio.
Leggo il documento in 12 punti messo sul sito di vendita di pentolam... informazione istituzionale Passo dopo Passo nelle pagine dedicate alla questione (48-58) e parafraso.
Riceve lo scatto il 66% dei docenti di ogni scuola che nell'arco dei cicli di 3 anni ha maturato più crediti. I crediti si dividono in 1) didattici 2) formativi 3) professionali, ovvero vengono presi in base al lavoro svolto nel "1) miglioramento della didattica 2) propria qualificazione professionale attraverso la formazione 3) partecipazione ai progetto di miglioramento della scuola".
Intuisco che la 2 voglia dire fare corsi di formazione e la 3 partecipare a progetti vari, ma su cosa possa celarsi dietro la 1 (a parte variazioni del 2) ho solo il parere di mia madre che dice "Probabilmente sono quelli che si guadagnano dimostrando di usare LIM e simili tecniche "innovative". Voleva già metterlo in piedi Berlinguer un sistema del genere".
Si dà per scontato che i docenti più bravi siano quelli che ricevono più crediti, ovvero dimostrano di passare tempo a fare queste attività *che non sono lo stare in classe o correggere i compiti e preparare le lezioni*. Mi pare ci sia una totale assenza di riferimenti alla capacità dimostrata in queste ultime cose (che certo sono di difficile valutazione), tranne forse una frase criptica a fine pagina 51.
Dopo aver perso facciate su facciate a mostrare i conti in tasca ai professori con gli eventuali scatti (nell'ipotesi uno li guadagni tutti) ed aver liquidato l'origine dei crediti alla base di quegli scatti con un paio di periodi generici, l'intera pagina 58 sembra scritta per rassicurare contro la facile obiezione "E se in una scuola sono tutti *bravi* e nell'altra tutti *sfaticati*?" con l'argomento machiavellico "I *bravi* che si trovano nel 3° percentile di scuole ricolme di *bravi* per guadagnare di più si sposteranno nelle scuole popolate da *meno bravi* e in questo modo si raggiungerà l'equilibrio fra *bravi* e *meno bravi* delle varie scuole". I professori giusti al posto giusto tramite meccanismi di libero (?) mercato, insomma. (In caso di dubbio: è sarcasmo)
In ogni caso, la percentuale di premiati è indipendente dal livello medio dei professori, ma non mi pare la cosa peggiore.
Quello che veramente mi spaventa è ciò che a me (e non solo) sembra l'inevitabile conclusione di questo sistema accoppiato con l'indescrivibile definizione di "professore bravo".
Semplificando molto, se tutti i professori fanno N corsi di aggiornamento e progetti per un tot di crediti, chi è sicuro di ricevere l'aumento è chi ne fa N+1. L'unico esito che vedo possibile è una corsa concorrenziale fra professori a riempirsi di sperimentazioni didattiche, corsi di aggiornamento di ogni sorta e qualsiasi progetto possibile, dove l'unica cosa che non conta minimamente è il tempo di lezione "alla vecchia maniera" fatta in classe per quanto in modo efficace e fruttuoso. Per me questo è il peggior mondo possibile.
Spero che qualcuno mi smentisca.
I medici sono sottoposti da anni all'obbligo dell'aggiornamento e per ottenere i crediti necessari frequentano (con dubbi risultati) congressi solitamente organizzati e sponsorizzati dalle case farmaceutiche.
La Pearson, società editrice multinazionale, sta diffondendo corsi gratuiti online su tutto lo scibile umano (BES e co.) ed è (a detta delle agenzie librarie concorrenti) l'unica che assume agenti e incrementa il fatturato, connotando ancora di più nel senso tecnologicamente corretto la nostra didattica. Ecco: chi volesse potrebbe ottenere i crediti relativi all'aggiornamento restando connesso per un'ora al sito della Pearson, adottando i suoi libri e i relativi materiali digitali e LIM. Bel progresso culturale della scuola!
Tutti i commenti sono sacrosanti ma il dito nella piaga lo ha messo a mio avviso Giovanedi lungocorso: gli aumenti agganciati al "merito" produrrebbero gravi distorsioni e abusi.
La soluzione, secondo me, è che i dirigenti tornino a fare i presidi (e perciò aumentino di numero, così ci sarebbero anche più ruoli apicali disponibili per chi vuole fare carriera) e siano realmente presenti a scuola, preoccupandosi della didattica e della disciplina (e non solo di fare quadrare conti, applicare circolari ministeriali o di tessere complicate trattative con i csa per ottenere un bidello o un amministrativo, inseguendo spasmodicamente le iscrizioni per far scattare i parametri i base ai quali il personale viene assegnato ecc., cose umilianti che distorcono il sistema educativo con il porre le scuole, anche gli istituti comprensivi!, in competizione tra loro, ma una competizione tutta basata sul glamour). I presidi non dovrebbero però mettere radici nelle scuole, dovrebbero invece cambiare ogni cinque-sette-dieci anni. Alcuni prof. anziani (dieci o più anni di ruolo), potrebbero candidarsi a essere designati, sulla base di un curriculum e della valutazione congiunta di preside e collegio docenti, a ricevere delle funzioni tutoriali retribuite, con relativa responsabilità per l'aggiornamento dei colleghi, in ciascuna area disciplinare.
In effetti già adesso, molti docenti arrotondano lo stipendio con incarichi vari, progetti ecc. Per il resto, un minimo di aumenti legati all'anzianità credo esistano in tutte le categorie del pubblico impiego.
Poiché tutte queste osservazioni sono sensate, vi invito a scriverle sul sito del governo Passodopopasso: non c'è da crederci molto, ma bisogna sempre protestare, con garbo e lucido raziocinio, in un'epoca folle che aggredisce il sapere e persino il buonsenso, che imporrebbe di non avre presidi con 1000 studenti e scuole chiuse al sabato con carico orario insopportabile gli altri giorni della settimana, come se studenti e docenti fossero bestie da soma.
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