Dalil Boubaker, rettore della Moschea di Parigi, ha
rilasciato un’intervista a Il Mattino,
il 21 luglio 2014, che avrebbe dovuto ricevere maggiore attenzione sia per il
prestigio di chi l’ha rilasciata sia per il suo contenuto. Richiesto di
commentare il contributo delle comunità religiose europee nella presente
critica situazione – l’esplicito riferimento era alle violente manifestazioni
di importanti fasce della comunità musulmana francese contro l’intervento
militare israeliano a Gaza intrise di accenti antiebraici e anche di atti di
violenza contro sinagoghe e persone – Boubaker ha ricordato che le comunità
religiose debbono essere «organi di uno spirito di fraternità e di compassione»,
mentre accade che «ognuno è troppo preso dai problemi del proprio culto, e si
occupa troppo poco degli altri». Boubaker ha dichiarato il suo pessimismo
perché le «religioni sono senza più dialogo» e, di conseguenza, «anche l’Europa
sarà coinvolta». E all’intervistatore che ha osservato «Pessimista e quasi in
collera. È così?», ha risposto: «Sì, perché la religione che vogliamo, quella
che è la mia, per cui mi sono battuto, una religione di spiritualità e di
fraternità, è oggi soprattutto una religione di fondamentalisti».
Sarebbe importante se ognuno facesse la sua parte
combattendo ogni sorta di fondamentalismo religioso e quindi tentando di
prosciugare questa sorgente di intolleranza che rischia di trascinare le nostre
società in conflitti di imprevedibile drammaticità; anche se, sarebbe ipocrita
non dirlo, la parte che spetta al mondo islamico, in questa fase storica, è quella
decisiva. Proprio per questo, dichiarazioni come quella di Boubaker sono
importanti ed è grave che non abbiano l’eco dovuta. Boubaker, per il suo ruolo,
dovrebbe rappresentare l’opinione dominante nella comunità musulmana francese; purtroppo,
troppi sintomi indicano che le cose non stanno in questi termini e che una
componente rilevante vada invece nella direzione del fondamentalismo,
alimentando così una faglia della società francese che rischia di trascinarla
sull’orlo di una vera e propria guerra civile. Sarebbe irresponsabile far uso
di un termine tanto pesante se l’adesione al fondamentalismo fosse soltanto una
questione interna alle comunità musulmane presenti sul suolo europeo, il che
sarebbe già assai grave tenendo conto dell’entità numerica che queste hanno
assunto in diversi paesi, e che va rapidamente crescendo con le recenti ondate
di immigrazione. Il problema è che il fondamentalismo, malgrado i suoi aspetti
più efferati, tra cui il violento antisemitismo, non soltanto non provoca un
generale rigetto nell’insieme delle società europee, ma trova anzi tolleranza e
persino consensi. Il buon senso lascerebbe credere che la coscienza morale debba
prima o poi sollevarsi di fronte a stragi inaudite. E invece prevale la più
ottusa ideologia, per cui migliaia e migliaia di vittime in Siria non bastano
neppure a sollevare un sopracciglio, mentre l’attenzione è riservata
esclusivamente ai “crimini” perpetrati dagli “occupanti” israeliani a Gaza. Ci
si chiede: «Ma come è possibile restare inerti di fronte a decine di migliaia
di cristiani costretti a fuggire o a morire se non accettano di essere
convertiti all’islam, a centinaia di donne schiavizzate e sottoposte a
violenza?». Ebbene è possibile. I telegiornali mostrano combattenti del
califfato islamico che, agitando i mitragliatori, promettono alle televisioni
occidentali: «Stiamo arrivando da voi». E un sacerdote cattolico intervistato
conferma che la vera intenzione, la più profonda ambizione è di venire a
Parigi, Roma e Londra – un’intenzione che riecheggia nei proclami degli imam
londinesi che promettono di sgozzare a Trafalgar Square chiunque non accetterà
il primato della sharia. Qualche anno fa si poteva cavarsela ridendo di fronte
a queste rodomontate. Ma ora è difficile considerarle tali, solo se si guardi
all’estensione fisica di un integralismo che si radica in territori sempre più
vasti, che vanno dall’Iraq al Mediterraneo e coinvolgono diverse nazioni
africane. A questo punto riderci sopra è da imbecilli. Ma il guaio è che in
Occidente, e in Europa in particolare, c’è chi non soltanto non ride, ma anzi manifesta
simpatia per le bandiere nere sulla base dell’inesausta mitologia della
rivoluzione dei poveri che, evidentemente, non solo si è fatto ben poco per
sradicare, ma che è stata alimentata in correnti neanche tanto sotterranee. Solo
così si può capire che un rappresentante di un movimento che ha raccolto un
terzo dei voti in Italia abbia potuto aprire una “riflessione” sull’Isis e
l’avanzata dello stato islamico, arrivando a dire che oggi il terrorismo è
l’unica arma rimasta a chi si ribella. Né consola che vi sia stata un’ondata di
reazioni scandalizzate, e non solo perché questa ondata non si è manifestata in
quel movimento, ma anche perché da altre parti politiche c’è chi se l’è cavata
dicendo che «il «terrorista è altrettanto disumano quanto i droni» e non ha evitato
la solita giaculatoria contro i crimini dell’imperialismo e dell’occidente. In
epoca di rottamazione troppi hanno dimenticato il vecchio slogan “né con lo
Stato né con le Brigate Rosse» e forse non riescono neppure a vedere come
l’unica cosa che non venga rottamata è la continuità nell’alimentare l’odio di
sé delle società occidentali, il disprezzo per la democrazia e la pulsione
all’autodistruzione. Di che stupirsi se una città come Livorno, un tempo
considerata un baluardo della sinistra democratica, sia finita in mano a un
sindaco che ha recalcitrato di fronte a uno striscione intriso di simpatia nei
confronti dei movimenti terroristi, espressione di quella ipocrisia morale che
identifica nel sionismo tutti i mali del mondo? Il rettore Boubaker ha fatto la
sua parte e si è espresso con coraggio, ma il lavoro da fare per non
sprofondare nella catastrofe dovrebbe mobilitare ben altre forze “laiche” che
sono invece attente a diseducare nelle forme più irresponsabili le giovani
generazioni. Quando in televisione vediamo un capitano curdo dirci «dateci le
armi, combatteremo anche per voi», è difficile non provare vergogna e sconforto.
(Shalom, settembre
2014)
3 commenti:
Sono d'accordo. L'unica cosa che mi chiedo è cosa intenda il Rettore della moschea di Parigi per 'fraternità' (penso, in particolare, alla condizione delle donne nel mondo mussulmano).Quando Lei giustamente parla di giaculatorie contro i crimini dell'imperialismo e dell'occidente si riferisce anche a questo?http://www.barbadillo.it/28532-il-punto-di-franco-cardini-e-la-terza-guerra-mondiale-e-francesco-vuole-svegliarci/
Sono d'accordo. L'unica cosa che mi chiedo è cosa intenda il Rettore della moschea di Parigi per 'fraternità' (penso, in particolare, alla condizione delle donne nel mondo mussulmano).Quando Lei giustamente parla di giaculatorie contro i crimini dell'imperialismo e dell'occidente si riferisce anche a questo?http://www.barbadillo.it/28532-il-punto-di-franco-cardini-e-la-terza-guerra-mondiale-e-francesco-vuole-svegliarci/
Egregio Professore, e se non fosse tanto una questione di intensità, ma di radice, come pare asserire uno dei più luminosi intellettuali dei nostri tempi nel suo notorio Discorso di Ratisbona?
Sarà bene per la dialettica dell’Occidente nelle controversie con il mondo maomettano ancorarsi a questo saldo vincolo, oppure eluderlo in sciolta deriva? (egregio professore, mi dispiace essere talvolta ruvido, ma non possiedo la sua perseveranza, la sua cultura, la sua personalità e la sua visione delle cose).
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