martedì 16 settembre 2014

L'istruzione pubblica nella babele dei progetti

Con l’inizio delle lezioni è iniziato il sondaggio sul progetto “La buona scuola” e il clima non è promettente: le prime e numerose voci che vengono dal mondo degli insegnanti non sono entusiaste e lo scetticismo si mescola alla disillusione. I pareri circa il progetto di prosciugare il precariato con un’immissione di massa sono divergenti (qui l’abbiamo difeso), ma lo scetticismo deriva dalla scarsa fiducia che si possa affrontare una spesa simile; così come non appare convincente che si realizzerà in tempi brevi l’agognato piano edilizio.
Sul resto, il progetto “La buona scuola”, è animato da un intento condivisibile: la rinascita del paese passa attraverso la riqualificazione dell’istruzione; senza formare giovani competenti e colti a tutti i livelli necessari una società avanzata non può resistere. Perciò la riqualificazione profonda dell’istruzione è uno degli obbiettivi più importanti per far fronte alla crisi. Ma come realizzarlo?
Intanto, è bene non giocare a rimpiattino su punto cruciale: il nostro è un sistema a fortissima prevalenza pubblica, anzi statale – altrimenti un progetto come “La buona scuola” non avrebbe senso – e quindi, quando si parla di “autonomia” sarebbe bene tracciarne le caratteristiche con chiarezza e senza infingimenti. Aspetti che in un sistema pubblico non possono non essere definiti a livello centrale sono quantomeno: la struttura dei percorsi scolastici e delle materie; quelli che un tempo erano chiamati “programmi” e ora (con una certa dose di ipocrisia) “indicazioni nazionali”; le fasce orarie d’insegnamento. Al contrario, assistiamo a forme di dirigismo intollerabile: l’imposizione di apparecchi, le Lavagne interattive multimediali, l’intrusione nelle metodologie d’insegnamento, una superfetazione burocratica che raggiunge livelli kafkiani; viceversa, si lascia via libera a “sperimentazioni”  (come il liceo di 4 anni) o al dilagare della settimana di 5 giorni nei licei che fa comodo a qualcuno ma costringe i ragazzi persino a giornate di 7 ore.
La chiarezza su questi aspetti è importante, ma lo è molto di meno dell’idea di scuola che una buona volta si deve avere il coraggio di definire. Difficile non consentire sul fatto che la scuola (con la famiglia) è il luogo di formazione dei nuovi cittadini e questa formazione non si riduce né alla trasmissione di nozioni né all’addestramento a mansioni specifiche. Non solo perché le nozioni da sole non servono a niente senza la capacità di farne uso, ma perché l’addestramento a una specifica mansione può essere una mera perdita di tempo in una società mutevole come l’attuale in cui servono persone autonome, capaci di spostarsi da un settore all’altro, e non polli di batteria addestrati a una sola funzione. E ancora questo è poco: perché la scuola – che si tratti di un liceo classico o di un istituto professionale – mira a creare cittadini consapevoli, che lavorano per il loro benessere sì, ma non soltanto per far quattrini; bensì per far avanzare una società che promette di soddisfare le proprie aspirazioni e una vita dignitosa. Altrimenti – diciamolo chiaramente – perché credere nella democrazia? Perché affannarsi a diventare competenti in una professione e non affiliarsi alla malavita organizzata o all’ISIS? Ora, si dovrebbe avere il coraggio di riconoscere che lo smantellamento della scuola basata sulle conoscenze a profitto delle competenze – che ha significato svilire lo studio della storia, della scienza, della filosofia, ecc. a profitto di qualcosa di direttamente “utile” – non solo non ha migliorato le cose, ma è stato un disastro. Non è una buona idea riproporre, caricando la dose, la “scuola per progetti”, la personalizzazione dei percorsi di apprendimento, lasciando credere che il compito di cui sopra possa essere assolto da noiosissimi corsi di cittadinanza o addirittura dai corsi di educazione affettiva di cui si vocifera.
Questo è il vero grande dibattito nazionale che deve essere aperto, visto che esistono opinioni divergenti al riguardo. Di certo, una questione del genere non la risolvono gli “economisti della scuola”, tantomeno i “manager” che fanno credere che ricette di scarso successo anche in azienda possano funzionare in un sistema che forma persone nel senso pieno del termine. L’amore per la democrazia, e quindi per il senso della collettività nazionale, per l’efficienza e l’onestà nel lavoro non si crea con prediche o ingurgitando power-point, ma studiando la storia e discutendo con l’insegnante; le capacità tecnologiche non sono frutto di ricettine ma di una solida base culturale, in questo caso scientifica, ricordando che la tecnologia senza la scienza non esisterebbe e la scienza è parte della cultura.
Discorsi generici e poco concreti? Al contrario. Basta puntare, e con decisione, a una rivalutazione dell’approccio disciplinare in tutti i percorsi. Ora, su questo, il progetto “La buona scuola” è evasivo e accentua piuttosto la tematica della “scuola per progetti” che relega le discipline quasi in un cantuccio.
Coerente con tale discutibile tendenza è il modo in cui è concepito il tema della valutazione degli insegnanti, che è la questione scottante del giorno. Dal progetto si deduce che chi imbastirà ricerche sul “global warming” o analoghi temi “politicamente corretti” avrà una valutazione migliore di un insegnante che vada ad aggiornarsi sui più recenti sviluppi della biologia in un corso universitario. Più in generale non c’è chiarezza sui metodi che si vogliono usare per premiare il merito. Il tema è scottante, si diceva, e all’estero – dove sono stati sperimentati numerosi sistemi – lungi dal giungere un messaggio univoco, come taluno pretende, arriva l’eco di accese divergenze. Fermiamoci ad ascoltarla in modo serio e responsabile, senza improvvide accelerazioni. Attribuire a un comitato d’istituto la facoltà di premiare i propri insegnanti più meritevoli è una presa in giro e porterà a sicuri abusi. Credere di risolvere le cose mediante la valutazione degli apprendimenti degli studenti con test è insensato: un ottimo insegnante in una classe critica sarà penalizzato rispetto a un cattivo insegnante di una classe di livello elevato. Siamo costretti a ripeterlo fino alla noia: l’unico sistema sensato è quello ispettivo, non in senso burocratico-ministeriale, ma tra scuole e scuole, come accade con buoni esiti in altri paesi. Certo, è un sistema costoso. Ma se non ci sono quattrini è meglio non fare qualcosa di pessimo purchessia. Perché anche la valutazione di una scuola, di una classe e di un docente è un processo culturale e non è la misurazione di una temperatura. Si valuta perché i migliori possano far sentire la loro voce e imporre la superiore qualità del loro insegnamento, e così far progredire il sistema. Anche questo è un obbiettivo estremamente concreto.

(Il Messaggero, 16 settembre 2014)


8 commenti:

santino ha detto...

Gent.mo prof. Israel,
il progetto di valorizzazione del merito presentato nel documento "la buona scuola" è gravato da un'ipocrisia di fondo: si pretende di stabilire a priori che gli scatti, che un tempo spettavano a tutti, saranno attribuiti solo al 66% del corpo docente. Sarebbe come che un docente decidesse a priori che il 34% dei suoi studenti dovrà avere una valutazione insufficiente a prescindere da quale sia la loro preparazione.
Questa proposta è quindi un'infamia che grida vendetta e che va smascherata pubblicamente, almeno per far capire a certi cialtroni che non tutti sono disposti a sottostare alla logica da venditore di pentole del premier e che i salti logici, i sofismi e le false deduzioni non possono essere accettate da chi vuole discutere seriamente di determinate questioni.
Sull'assurdità e arbitrarietà dei criteri per determinare i docenti meritevoli si già espresso degnamente Lei e non ho nulla da aggiungere.
Mi limito a osservare che il peccato originale di una riforma nata per fare cassa delegittima qualsiasi ragionamento successivo.

pupipupi ha detto...

Funziona così, oggi: tutto è un pretesto per tagliare i soldi. Vorrei vedere uomini di cultura al governo dell'Europa, non persone che pensano a inserire nei libri di testo pagine sulla "mediazione dei conflitti" e sulla letteratura sessuata (!). La crisi sarebbe un'occasione per ripensare ai valori profondi che la cultura europea possiede e ha coltivato per secoli.
Ancora complimenti per il chiarissimo articolo.

pupipupi ha detto...

Segnalo un blog di protesta civile e intelligente contro la chiusura degli istituti superiori al sabato, ove si dimostra che la Regione Liguria destina due milioni di euro al Giro d'Italia, mentre la Provincia moribonda non ha 345.000 euro per riscaldare le scuole.
http://scuoleapertealsabato.blogspot.it/

Angelo ha detto...

La riforma della scuola passa per la riforma della preparazione degli insegnanti! Nessuno ne parla ...

Angelo ha detto...

Una vera riforma deve essere preceduta/accompagnata dalla riforma della preparazione degli insegnanti. Nessuno ne parla ...

vanni ha detto...

La Scuola è un grande fondo elettorale e la politica ne è certamente consapevole. Intelligente non credo, ma la classe politica smaliziata e furba certamente è, allorchè si tratta della propria conservazione e del proprio potere. In più di un commento trapela - magari con tristezza e rammarico - come il gatto sia accarezzato per lo più, tutto sommato, per il verso del pelo: esemplari nel blog di giovedi 11 settembre i commenti delle gentili Raffaella e ancora Barbara Marcolini e dell’egregio Santino.
Ora riparte con passo risoluto ed idee quantitative già chiare - come ben evidenziato dall’egregio santino 9/16/2014 08:32:00 PM - la rivoluzione del premio al merito.
Se la facoltà di giudizio dell’insegnante sull’allievo è insidiosamente messa con le spalle al muro e posta pure ideologicamente in dubbio nella sua correttezza e oggettività, non credo per converso che il giudizio su merito ed efficacia dell’insegnante - apertura verso retribuzione e carriera - sarà facilmente lasciato senza un controllo che garantisca influenza e potere (si può pensare che la valutazione del merito dei docenti avverrà “somministrando” loro test “oggettivi”, anonimi, INSULSI o roba del genere?).
Tranquilli: in modo palese o velato saranno tenute ben salde le redini, con opportuni e appropriati enti organismi commissioni e commissari: la prima cosa che mi viene in mente è una roba similare al sindacato - che già ha dato in varie occasioni dimostrazioni di capacità di gestione - o ad esso imparentata.
Sia peraltro chiaro che i miei discorsi vani si adattano non alla Scuola soltanto, bensì alla società nostra tutta nelle sue varie articolazioni (lo scrivente è nel mazzo). Ed anche Renzi - destinatario di appelli psperanzosi o di più realistiche giaculatorie - salvando pure qualche buona fede forse un po’ infantile e facilona, ha già e avrà sempre più le sue belle rognette ed i suoi condizionamenti brutali.

bhrihskwobhloukstroy ha detto...

Vergognoso il proclama dei Confindustriali sulla Stampa di oggi: tagliare un anno di scuola, tagliare le materie, eliminare i costi. Ma come è possibile che mentre si discute in lungo e in largo di nozze gay un gruppo di industriali falliti proponga tagli all'istruzione? Siamo tutti dormendo?

pupipupi ha detto...

Mi sa che hanno qualche complesso nei confronti della cultura. Non devono far altro che aprire un classico per capire l'inestimabile valore che possiamo trasmettere ai giovani attraverso una scuola pubblica, gratuita e seria. Ma sarà quello che non vogliono?