Con l’inizio delle
lezioni è iniziato il sondaggio sul progetto “La buona scuola” e il clima non è
promettente: le prime e numerose voci che vengono dal mondo degli insegnanti
non sono entusiaste e lo scetticismo si mescola alla disillusione. I pareri
circa il progetto di prosciugare il precariato con un’immissione di massa sono
divergenti (qui l’abbiamo difeso), ma lo scetticismo deriva dalla scarsa
fiducia che si possa affrontare una spesa simile; così come non appare
convincente che si realizzerà in tempi brevi l’agognato piano edilizio.
Sul resto, il
progetto “La buona scuola”, è animato da un intento condivisibile: la rinascita
del paese passa attraverso la riqualificazione dell’istruzione; senza formare
giovani competenti e colti a tutti i livelli necessari una società avanzata non
può resistere. Perciò la riqualificazione profonda dell’istruzione è uno degli
obbiettivi più importanti per far fronte alla crisi. Ma come realizzarlo?
Intanto, è bene non
giocare a rimpiattino su punto cruciale: il nostro è un sistema a fortissima
prevalenza pubblica, anzi statale – altrimenti un progetto come “La buona
scuola” non avrebbe senso – e quindi, quando si parla di “autonomia” sarebbe
bene tracciarne le caratteristiche con chiarezza e senza infingimenti. Aspetti
che in un sistema pubblico non possono non essere definiti a livello centrale
sono quantomeno: la struttura dei percorsi scolastici e delle materie; quelli
che un tempo erano chiamati “programmi” e ora (con una certa dose di ipocrisia)
“indicazioni nazionali”; le fasce orarie d’insegnamento. Al contrario,
assistiamo a forme di dirigismo intollerabile: l’imposizione di apparecchi, le
Lavagne interattive multimediali, l’intrusione nelle metodologie
d’insegnamento, una superfetazione burocratica che raggiunge livelli kafkiani; viceversa,
si lascia via libera a “sperimentazioni”
(come il liceo di 4 anni) o al dilagare della settimana di 5 giorni nei
licei che fa comodo a qualcuno ma costringe i ragazzi persino a giornate di 7
ore.
La chiarezza su
questi aspetti è importante, ma lo è molto di meno dell’idea di scuola che una
buona volta si deve avere il coraggio di definire. Difficile non consentire sul
fatto che la scuola (con la famiglia) è il luogo di formazione dei nuovi
cittadini e questa formazione non si riduce né alla trasmissione di nozioni né
all’addestramento a mansioni specifiche. Non solo perché le nozioni da sole non
servono a niente senza la capacità di farne uso, ma perché l’addestramento a
una specifica mansione può essere una mera perdita di tempo in una società mutevole
come l’attuale in cui servono persone autonome, capaci di spostarsi da un
settore all’altro, e non polli di batteria addestrati a una sola funzione. E
ancora questo è poco: perché la scuola – che si tratti di un liceo classico o
di un istituto professionale – mira a creare cittadini consapevoli, che
lavorano per il loro benessere sì, ma non soltanto per far quattrini; bensì per
far avanzare una società che promette di soddisfare le proprie aspirazioni e
una vita dignitosa. Altrimenti – diciamolo chiaramente – perché credere nella
democrazia? Perché affannarsi a diventare competenti in una professione e non
affiliarsi alla malavita organizzata o all’ISIS? Ora, si dovrebbe avere il
coraggio di riconoscere che lo smantellamento della scuola basata sulle
conoscenze a profitto delle competenze – che ha significato svilire lo studio
della storia, della scienza, della filosofia, ecc. a profitto di qualcosa di
direttamente “utile” – non solo non ha migliorato le cose, ma è stato un
disastro. Non è una buona idea riproporre, caricando la dose, la “scuola per
progetti”, la personalizzazione dei percorsi di apprendimento, lasciando
credere che il compito di cui sopra possa essere assolto da noiosissimi corsi
di cittadinanza o addirittura dai corsi di educazione affettiva di cui si
vocifera.
Questo è il vero
grande dibattito nazionale che deve essere aperto, visto che esistono opinioni
divergenti al riguardo. Di certo, una questione del genere non la risolvono gli
“economisti della scuola”, tantomeno i “manager” che fanno credere che ricette
di scarso successo anche in azienda possano funzionare in un sistema che forma
persone nel senso pieno del termine. L’amore per la democrazia, e quindi per il
senso della collettività nazionale, per l’efficienza e l’onestà nel lavoro non
si crea con prediche o ingurgitando power-point, ma studiando la storia e
discutendo con l’insegnante; le capacità tecnologiche non sono frutto di
ricettine ma di una solida base culturale, in questo caso scientifica,
ricordando che la tecnologia senza la scienza non esisterebbe e la scienza è
parte della cultura.
Discorsi generici e
poco concreti? Al contrario. Basta puntare, e con decisione, a una
rivalutazione dell’approccio disciplinare in tutti i percorsi. Ora, su questo,
il progetto “La buona scuola” è evasivo e accentua piuttosto la tematica della
“scuola per progetti” che relega le discipline quasi in un cantuccio.
Coerente con tale
discutibile tendenza è il modo in cui è concepito il tema della valutazione
degli insegnanti, che è la questione scottante del giorno. Dal progetto si
deduce che chi imbastirà ricerche sul “global warming” o analoghi temi
“politicamente corretti” avrà una valutazione migliore di un insegnante che
vada ad aggiornarsi sui più recenti sviluppi della biologia in un corso
universitario. Più in generale non c’è chiarezza sui metodi che si vogliono
usare per premiare il merito. Il tema è scottante, si diceva, e all’estero –
dove sono stati sperimentati numerosi sistemi – lungi dal giungere un messaggio
univoco, come taluno pretende, arriva l’eco di accese divergenze. Fermiamoci ad
ascoltarla in modo serio e responsabile, senza improvvide accelerazioni.
Attribuire a un comitato d’istituto la facoltà di premiare i propri insegnanti
più meritevoli è una presa in giro e porterà a sicuri abusi. Credere di
risolvere le cose mediante la valutazione degli apprendimenti degli studenti
con test è insensato: un ottimo insegnante in una classe critica sarà
penalizzato rispetto a un cattivo insegnante di una classe di livello elevato.
Siamo costretti a ripeterlo fino alla noia: l’unico sistema sensato è quello
ispettivo, non in senso burocratico-ministeriale, ma tra scuole e scuole, come
accade con buoni esiti in altri paesi. Certo, è un sistema costoso. Ma se non
ci sono quattrini è meglio non fare qualcosa di pessimo purchessia. Perché
anche la valutazione di una scuola, di una classe e di un docente è un processo
culturale e non è la misurazione di una temperatura. Si valuta perché i
migliori possano far sentire la loro voce e imporre la superiore qualità del
loro insegnamento, e così far progredire il sistema. Anche questo è un
obbiettivo estremamente concreto.
(Il
Messaggero, 16 settembre 2014)
8 commenti:
Gent.mo prof. Israel,
il progetto di valorizzazione del merito presentato nel documento "la buona scuola" è gravato da un'ipocrisia di fondo: si pretende di stabilire a priori che gli scatti, che un tempo spettavano a tutti, saranno attribuiti solo al 66% del corpo docente. Sarebbe come che un docente decidesse a priori che il 34% dei suoi studenti dovrà avere una valutazione insufficiente a prescindere da quale sia la loro preparazione.
Questa proposta è quindi un'infamia che grida vendetta e che va smascherata pubblicamente, almeno per far capire a certi cialtroni che non tutti sono disposti a sottostare alla logica da venditore di pentole del premier e che i salti logici, i sofismi e le false deduzioni non possono essere accettate da chi vuole discutere seriamente di determinate questioni.
Sull'assurdità e arbitrarietà dei criteri per determinare i docenti meritevoli si già espresso degnamente Lei e non ho nulla da aggiungere.
Mi limito a osservare che il peccato originale di una riforma nata per fare cassa delegittima qualsiasi ragionamento successivo.
Funziona così, oggi: tutto è un pretesto per tagliare i soldi. Vorrei vedere uomini di cultura al governo dell'Europa, non persone che pensano a inserire nei libri di testo pagine sulla "mediazione dei conflitti" e sulla letteratura sessuata (!). La crisi sarebbe un'occasione per ripensare ai valori profondi che la cultura europea possiede e ha coltivato per secoli.
Ancora complimenti per il chiarissimo articolo.
Segnalo un blog di protesta civile e intelligente contro la chiusura degli istituti superiori al sabato, ove si dimostra che la Regione Liguria destina due milioni di euro al Giro d'Italia, mentre la Provincia moribonda non ha 345.000 euro per riscaldare le scuole.
http://scuoleapertealsabato.blogspot.it/
La riforma della scuola passa per la riforma della preparazione degli insegnanti! Nessuno ne parla ...
Una vera riforma deve essere preceduta/accompagnata dalla riforma della preparazione degli insegnanti. Nessuno ne parla ...
La Scuola è un grande fondo elettorale e la politica ne è certamente consapevole. Intelligente non credo, ma la classe politica smaliziata e furba certamente è, allorchè si tratta della propria conservazione e del proprio potere. In più di un commento trapela - magari con tristezza e rammarico - come il gatto sia accarezzato per lo più, tutto sommato, per il verso del pelo: esemplari nel blog di giovedi 11 settembre i commenti delle gentili Raffaella e ancora Barbara Marcolini e dell’egregio Santino.
Ora riparte con passo risoluto ed idee quantitative già chiare - come ben evidenziato dall’egregio santino 9/16/2014 08:32:00 PM - la rivoluzione del premio al merito.
Se la facoltà di giudizio dell’insegnante sull’allievo è insidiosamente messa con le spalle al muro e posta pure ideologicamente in dubbio nella sua correttezza e oggettività, non credo per converso che il giudizio su merito ed efficacia dell’insegnante - apertura verso retribuzione e carriera - sarà facilmente lasciato senza un controllo che garantisca influenza e potere (si può pensare che la valutazione del merito dei docenti avverrà “somministrando” loro test “oggettivi”, anonimi, INSULSI o roba del genere?).
Tranquilli: in modo palese o velato saranno tenute ben salde le redini, con opportuni e appropriati enti organismi commissioni e commissari: la prima cosa che mi viene in mente è una roba similare al sindacato - che già ha dato in varie occasioni dimostrazioni di capacità di gestione - o ad esso imparentata.
Sia peraltro chiaro che i miei discorsi vani si adattano non alla Scuola soltanto, bensì alla società nostra tutta nelle sue varie articolazioni (lo scrivente è nel mazzo). Ed anche Renzi - destinatario di appelli psperanzosi o di più realistiche giaculatorie - salvando pure qualche buona fede forse un po’ infantile e facilona, ha già e avrà sempre più le sue belle rognette ed i suoi condizionamenti brutali.
Vergognoso il proclama dei Confindustriali sulla Stampa di oggi: tagliare un anno di scuola, tagliare le materie, eliminare i costi. Ma come è possibile che mentre si discute in lungo e in largo di nozze gay un gruppo di industriali falliti proponga tagli all'istruzione? Siamo tutti dormendo?
Mi sa che hanno qualche complesso nei confronti della cultura. Non devono far altro che aprire un classico per capire l'inestimabile valore che possiamo trasmettere ai giovani attraverso una scuola pubblica, gratuita e seria. Ma sarà quello che non vogliono?
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