Troppo
spesso dimentichiamo il grande ruolo innovativo che ha rappresentato la
creazione della pubblica istruzione nella modernità, come istituzione che,
assieme ad altre, collabora a formare la figura del cittadino. Il suo ruolo
specifico è di contribuire a tal fine attraverso la creazione di conoscenza secondo
standard corrispondenti ai livelli più elevati del momento e nel senso più
ampio del termine, il che significa sia fornire conoscenze a tutti i livelli, sia
creare senso critico e capacità (oggi si dice “competenze”) di operare
attivamente e autonomamente. La divisione in “teoria” (racchiusa in “torri
d’avorio” ) e “pratica”, non è mai stata altro che espressione di una cattiva
istruzione: la buona istruzione è sempre e soltanto stata quella che si è
basata su una stretta integrazione tra i due aspetti. L’ingegnere Luigi Cremona
– fondatore con Francesco Brioschi ed altri della grande tradizione dei
politecnici ingegneristici italiani postunitari – definì coloro che denigravano
la scienza “pura” (oggi si dice “di base”) in nome del principio “a che
serve?”, come «apostoli delle tenebre». L’istruzione contribuisce alla
formazione del cittadino trasmettendo conoscenza e creando spirito critico e
capacità operative autonome come fondamento di libertà. Di questo approccio
deve far parte una vigorosa formazione umanistica. È una visione che ha
condotto alla costituzione di grandi tradizioni scientifiche e culturali, che è
alla base degli sviluppi della tecnologia contemporanea e che permise a un paese
inesistente come l’Italia di entrare in pochi decenni nel novero delle nazioni
più avanzate sul piano culturale e scientifico-tecnologico.
Tutto
questo va ricordato perché troppo spesso si contrappongono conoscenze e
“competenze”, lasciando intendere che le prime appartengano a una visione
obsoleta, e inducendo menti poco critiche a un’esaltazione premoderna della
“didattica delle competenze” contro le discipline e le conoscenze. Il modo
superficiale con cui è stata affrontata la tematica dell’istruzione comunitaria
non ha aiutato: invece di proporsi il compito difficile di integrare le grandi
tradizioni nazionali ai massimi livelli si è scelto di identificare una sorta di
minimo comun denominatore corrispondente ai requisiti per lo scambio della
forza-lavoro. La dichiarazione di Bologna propose come modello di scambi
internazionali nientemeno che le università medioevali, quando questi scambi
erano ristretto a poche élite e le università erano centri di teologia, scienze
giudiriche e poco più. Le famose otto competenze chiave di Lisbona
rappresentano quanto di più mediocre e rinunciatario si potesse pensare per
definire il profilo di un cittadino europeo istruito.
Ripetiamo
che tutto questo va ricordato nel momento in cui il governo Renzi lancia un
manifesto sulla “buona scuola” che dovrebbe costituire la carta da visita con
cui il paese si presenta in Europa, ridefinendo i connotati della propria
istruzione nazionale disastrata da tanti errori e sperimentazioni avventate.
Siamo convinti che ogni riforma che trascuri l’istruzione tecnica e
professionale, non curi una formazione scientifica che abbia una seria base
teorica e buone esperienze di laboratorio, o tagli la formazione umanistica
(storica, filosofica, artistica) non solo per il suo valore intrinseco ma per la
sua stretta relazione con un’autentica formazione scientifica, è destinata a
combinare l’ultimo e definitivo disastro. Ed è chiaro che il rischio è tutto
sull’ultimo fronte: perché sono i licei sotto attacco, è la cultura umanistica
a essere additata come un inutile orpello e persino la scienza è salvata a
condizione che non sia “pura” ma ridotta a tecnica e “innovazione”.
Questa
lunga premessa era necessaria per dire qualcosa circa il documento di quasi 200
pagine (“L’Education per la crescita”) con cui Confindustria è scesa nell’arena
con 100 proposte per l’istruzione. È impossibile analizzare in dettaglio in un
articolo un documento tanto corposo. Possiamo limitarci a esprimere tre
impressioni. La prima è che non può che essere salutato positivamente l’impegno
del mondo imprenditoriale ad occuparsi attivamente e con tanto dispendio di
forze del tema dell’istruzione. Casomai occorrerebbe segnalare l’impressionante
latitanza della cultura italiana, sintomo di una crisi crescente, certamente
sintomo dello stato esangue cui è stata ridotta l’università tra tagli e
burocratizzazione e una visione sciaguratamente tecnocratica della valutazione.
La seconda impressione è che è positivo che qualcuno scenda in campo per
difendere il valore della formazione tecnica e professionale, uno dei comparti
dell’istruzione tra i migliori del mondo che è stato sistematicamente fatto a
pezzi e ridotto a ricettacolo degli studenti che si sentivano incapaci di
frequentare i licei. È bene che le imprese, con i progetti di alternanza
scuola-lavoro illustrati nel documento, mettano le loro forze a disposizione
della riqualificazione della formazione tecnica e professionale. La terza
impressione è invece negativa e si ricava per contrasto con la nostra premessa.
I temi che il documento propone come assi fondamentali per la rifondazione
della “education” sono: domanda delle imprese, alternanza scuola-lavoro,
valutazione, merito, autonomia e innovazione didattica. Tutto qui? E dove
stanno le discipline fondamentali? Dove sta l’esigenza per un paese che voglia
dirsi avanzato di formare anche ottimi fisici, biologi, chimici, matematici, il
che significa anni e anni di studio anche teorico, come e più di prima? Dove
sta la cultura umanistica, e non solo per formare persone capaci di valorizzare
l’immenso patrimonio artistico, monumentale, librario del paese, ma anche per
formare persone dotate di spirito critico, capaci di muoversi con autonomia e
non come polli di batteria addestrati a una sola funzione, per avere la
coscienza di cittadini liberi? Dove sta la cultura? Dove sta la scienza?
Davvero si pensa che l’impresa possa avere un ruolo di supplenza in queste
direzioni? Oppure si pensa che si tratti di un “vecchiume” da gettare alle
ortiche? C’è da temerlo vedendo lo scarso interesse del documento per
l’impianto disciplinare, ché anzi si propone una riduzione delle materie e
della durata del percorso scolastico, ovviamente a danno dei detestati licei.
Questa
non è la via per riproporre l’Italia come un paese di primo piano nel consesso
internazionale, capace non solo di bricolage tecnologico al rimorchio delle
grandi potenze, ma di sviluppare in sede nazionale – e non espellendo le
proprie menti –la scienza e la tecnologia avanzata. Disinteressarsi della
cultura umanistica e classica non è la via per rimettere il paese sulla via del
progresso. Quel che si chiede a una discesa in campo come quella di
Confindustria è l’umiltà di dire che il proprio contributo, in un sistema
dell’istruzione degno di un paese moderno e avanzato, può essere soltanto una
parte del tutto. Altrimenti si fa avanti il sospetto che il movente sia la
solita trovata all’italiana di ridurre il sistema pubblico dell’istruzione a
luogo di formazione di forza-lavoro a costo zero.
Vi
sarebbero molte altre cose da dire sui temi della valutazione e dell’autonomia,
ma ci riserviamo di tornarvi in altra occasione.
(Il Mattino, 12 ottobre 2014)
15 commenti:
Caro prof. Israel, mi congratulo con Lei e sono sostanzialmente d'accordo con tutto ciò che ha scritto; in particolare a me, docente di lingue classiche, fa piacere che un insigne matematico come Lei ritenga ancora importante la cultura umanistica per la formazione del pensiero autonomo e critico.
Un solo punto mi ha lasciato perplesso, quando ha detto che l'Italia, prima dello sviluppo industriale, era un paese "inesistente". Forse non ho inteso bene io, ma le ricordo che la cultura italiana (e con ciò intendo la letteratura, la grande musica, le arti figurative ecc.) ha dominato la scena europea e mondiale dal Medioevo a tutto l'800, e per alcuni aspetti fino ai nostri giorni. Mi perdoni il mio notorio nazionalismo, ma mi sono sentito in dovere di fare questa precisazione.
Perdoni anche me se guardo le cose dal punto di vista dell'istruzione. Un paese esiste quando possiede una struttura dell'istruzione unificata e non sparpagliata in tanti staterelli, ognuno con le sue modalità, con un territorio occupato che adottava i manuali austriaci, con uno stato pontificio su cui è meglio stendere un velo pietoso che occupava tutte le regioni centrali, senza università, senza accademie nazionali, ecc. ecc. ecc. Il grande sforzo di uomini di cultura e scienziati italiani fu di studiare i modelli stranieri e di costruire in breve tempo un sistema di istruzione unificato, per esempio adottando Euclide per l'insegnamento della matematica a livello nazionale, creando i grandi politecnici di ingegneria (diretti da persone come Cremona che conoscevano il latino come l'italiano e coltivavano la centralità delle scienze classiche). Prima di questo l'Italia come potenza nazionale sul piano culturale e dell'istruzione era un vaso di coccio, in trent'anni si è collocata in terza posizione dietro Germania e Francia. Il genio dei singoli non basta.
Una riflessione sulle ultime righe:
"forza-lavoro". Quale e quanto lavoro ha creato la C. negli ultimi decenni? Quando il sistema-Italia funzionava, non era forse la scuola molto più tradizionale, sia essa liceo o istituto tecnico? Non è che questi signori tirano a convertire risorse destinate alla scuola in aiuti statali per sé?
A proposito di cultura umanistica, nel sito www.giovannitonzig.it sono leggibili alcuni passaggi del rapporto Mortimer: l'impressionante documento con cui nel 1983 un gruppo di scienziati americani sosteneva che nell’odierna società, sempre più dominata dalla tecnologia, la cultura umanistica deve essere più che mai alla base della formazione dei giovani. Nota bene: al documento non è mai stata data in Italia la minima diffusione.
Gli Americani lo hanno capito così bene che il libro di S. Greenblatt Il Manoscritto ha vinto il premio Pulitzer 2011: vi si dimostra che il fiorire della scienza europea prende le mosse dalla riscoperta del De Rerum Natura di Lucrezio.
Purtroppo le politiche scolastiche non recepiscono o fingono di non recepire: come se si volesse sottrarre ai giovani la possibilità di accedere direttamente ai classici in nome di una finta modernità senza consistenza.
Mi scuso, approfitto di questa pagina, perchè non ho altri riferimenti per contattarla.
Nell'elenco dei firmatari della peizione che ho promosso sugli esami di maturità ho trovato il suo nome, e volevo sincerarmi che non si trattasse di un'omonimia.
Giorgio Allulli
Non è omonimia perché mi risulta che l'unico altro Giorgio Israel esistente in Italia non pare affatto interessato ai problemi dell'istruzione. Né è sorprendente perché è del tutto coerente con le posizioni che ho sempre assunto sui temi della valutazione. Sono favorevole ai sistemi di valutazione esterna, assolutamente contrario a questi sistemi di valutazione interna che possono produrre fenomeni addirittura mafiosi, come sono contrario ai sistemi di valutazione con test. E non ho alcun pregiudizio ad aderire agli appelli che condivido, chiunque li promuova. Un cordiale saluto
Non è omonimia perché mi risulta che l'unico altro Giorgio Israel esistente in Italia non pare affatto interessato ai problemi dell'istruzione. Né è sorprendente perché è del tutto coerente con le posizioni che ho sempre assunto sui temi della valutazione. Sono favorevole ai sistemi di valutazione esterna, assolutamente contrario a questi sistemi di valutazione interna che possono produrre fenomeni addirittura mafiosi, come sono contrario ai sistemi di valutazione con test. E non ho alcun pregiudizio ad aderire agli appelli che condivido, chiunque li promuova. Un cordiale saluto
Ma nia non era sorpresa, perchè conosco la sua attenzione alla serietà della scuola, ma scrupolo, perchè in rete si fa presto a scrivere un nome, ed ho controllato i nomi di tutte le persone note che hanno firmato.
Mi fa piacere che abbia firmato e spero che possa contribuire a diffondere la petizione.
Buona serata
Grazie
Gentile Professore,
mi ha sorpreso la Sua risposta a Massimo Rossi, nella quale leggo che sull'istruzione universitaria nello stato pontificio è meglio stendere un velo pietoso, e che l'Italia pre-unitaria era prima di università.
Eppure, proprio nello Stato Pontificio lo "Studium" di Bologna conobbe un grande sviluppo anche scientifico, non ostacolato ma anzi sostenuto da papi come Benedetto XIV. Né Bologna fu la sola: Perugia, Urbino, la stessa Sapienza di Roma non furono forse università, ben prima dell'unifità d'Italia?
Del resto, praticamente tutte le grandi università europee (Parigi, Oxford, Bologna) nacquero sotto egida ecclesiastica: tanto che S. Giovanni Paolo II parlava delle università come nate dal cuore della Chiesa (Cfr. Ex corde Ecclesiae).
Ma forse ho inteso male il Suo pensiero.
- Andrea Viceré
Certamente erano università anche di alto livello. Ma – non mi fa faccia fare la parte del laicista, ma quel che è giusto è giusto – dove stava questo gran sviluppo scientifico? Nella università medioevali non esistevano facoltà di scienze, nel senso moderno, né si insegnava la filosofia se non come teologia o in subordine alla teologia. E la Controriforma ha peggiorato le cose mettendo all'indice filosofi come Descartes, Spinoza, Leibniz ecc. ecc. ecc. Per cui, in quelle università non si insegnava la scienza moderna, postgalileiana e la filosofia moderna. L'immagine culturale dell'Italia preunitaria a fronte di paesi come la Francia è desolante. Ripeto, non mi va di fare la parte del laicista o addirittura dell'anticlericale, ma che le università siano nate nel contesto del pensiero occidentale cristiano è indubbio, che a un certo punto non siano state più fattori della modernità, è indubbio. E la critica del laicismo non mi conduce ad auspicare un ritorno a una condizione pre-illuministica. In questo sono fermamente "ratzingeriano".
Nemmeno io vorrei far la parte del clericale, o tanto meno polemizzare!
Però mi permetto di osservare che a Bologna nel XVII secolo Malpighi studiava i polmoni e la funzione respiratoria; nel XVIII secolo Galvani studiava l'elettricità in biologia e sviluppava le celle elettrochimiche.
Certo, luci e ombre: basti pensare al matematico Cardano che pure insegnò a Bologna ma poi a Roma subì un processo per eresia.
Insomma, sono d'accordo con Lei che non si può paragonare lo sviluppo scientifico italiano pre-unitario a quello di un paese come la Francia.
Ma anche nello Stato Pontificio ci fu chi poté fare della scienza sperimentale, e in questo senso pienamente galileiana.
"Pienamente galileiana" mi sembra troppo generoso, tenendo conto che la definitiva riabilitazione di Galileo risale al 1992.... Che il "territorio italiano" abbia avuto grandi scienziati sempre non c'è dubbio, ma, nella modernità, per fare una scienza occorrono libere istituzioni appropriate e una istruzione di livello nazionale, il che si è avuto soltanto dopo l'Unità e non certo con il concorso della Chiesa che si è opposta in tutti i modi. Per fortuna, non abbiamo più bisogno dell'anticlericalismo di quei tempi che fece parlare il celebre matematico Luigi Cremona, nella sua prima inaugurazione dell'anno accademico della Bologna liberata dei massimi nemici della nuova condizione nazionale come "lo sgherro austriaco" e "il livido gesuita". Possiamo anche rivalutare quanto è stato fatto anche prima di quei periodi illuministi. Ma di qui a una rivalutazione totale, fino a dire che dovremmo oggi adottare il modello delle università medioevali ne corre...
Mi sembra che l'idea della maturità interna prenda piede: è grottesco, contrario a ogni idea d'esame. Stanno cercando di distruggere la scuola dal di dentro. Tagliano all'istruzione per gettarci briciole monetarie che nessuno ha chiesto. Demagogia postmussolinberlusconiana.
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