Con la morte di
Elio Toaff viene a mancare quella che, senza ombra di dubbio, può essere
considerata la massima personalità dell’ebraismo italiano del ventesimo secolo.
Mi limiterò ad alcuni ricordi che mi si affollano alla mente, perché vi saranno
altre occasioni per un’analisi approfondita della sua multiforme presenza
pubblica, dall’impegno nella lotta antifascista alla difesa intransigente e
coraggiosa delle comunità ebraiche nei momenti difficili che culminarono
nell’attentato terrorista che provocò la morte del piccolo Stefano Taché, nel
1982. Fu l’episodio finale di un’ondata di odio che aveva visto un corteo
sindacale deporre una bara davanti alla lapide dei deportati sul Tempio
Maggiore di Roma. In quella occasione egli mi chiamò a partecipare accanto a
lui alla campagna di condanna di quell’ignobile gesto, il che riuscì a fare con
quella miscela di fermezza e di cordiale bonomia che caratterizzava tutti i
suoi comportamenti, ottenendo un’esplicita autocritica. Inutile dire che, con
l’accoglienza di Papa Giovanni Paolo II nel Tempio Maggiore, al suo nome resta
legato uno degli eventi più importanti nella storia dei rapporti
ebraico-cristiano che ne ha cambiato il corso in modo incancellabile.
Ma nei ricordi che
si affollano in questi momenti emozionati, su tutto spicca la sua visione
aperta e colta dell’ebraismo, capace di imporsi e comunicare nei rapporti con
l’esterno. Il suo più brillante insegnamento è stato quello di conciliare la
visione tradizionalmente ortodossa dell’ebraismo italiano con un atteggiamento
aperto e inclusivo, capace di trasmettere i valori ebraici validi per tutti e
comprensibili da chiunque. E tra i ricordi si affollano per primi sono quelli
personali: ho avuto un legame affettivo con lui fin da piccolo, quando
presenziò alla mia Bar Mizvà (il rito d’ingresso di un ragazzo nella comunità)
che curò con particolare attenzione per il legame che aveva sempre avuto con
mio padre Saul, in particolare con due iniziative da lui fondate, la rivista Ha-Makor
e il Centro di Studi Ebraici per cui
scrisse articoli e tenne conferenze. Il legame con mio padre si mantenne così
intensamente che egli si precipitò alla sua morte per benedirlo con
un’intensità che ancor oggi non posso non ricordare con commozione. E così
ricordo con commozione l’affetto con cui accolse nella comunità il mio primo
figlio.
Come ho già detto,
la sua personalità intellettuale e religiosa richiede un’analisi ben più
approfondita. In questo momento prevale l’emozione dei ricordi e il dolore per
la perdita di una persona dal grande cuore, capace sempre di suscitare rispetto
e farti sentire a proprio agio. La tua morte, Elio Toaff, non è un abbandono:
la tua figura rimarrà nel cuore degli ebrei italiani come un esempio da seguire
e un incoraggiamento ad andare avanti.
(Il Messaggero, 20 aprile 2015)
1 commento:
Il suo ricordo sia per noi una benedizione.
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