sabato 20 giugno 2015

La Buona Scuola è senza circolari

Una quindicina di giorni fa il presidente del Consiglio ha annunciato la volontà di aprire una riflessione che conducesse alla revisione di alcuni aspetti della legge sulla “Buona Scuola”. In realtà, al termine di questo periodo, è emersa invece la decisione di sospendere del tutto la legge, incluso il provvedimento di assunzione dei precari. Tuttavia, a questo colpo di scena pare che potrebbe subentrarne un altro: e cioè la trasformazione della riforma in maxiemendamento su cui porre la fiducia. In attesa che la situazione si chiarisca, sarebbe un vero peccato non cogliere l’occasione di mettere in luce gli aspetti più critici della riforma che richiedono una riflessione meditata. Proviamo a farlo, limitandoci ai più importanti.
La chiave del progetto è di ristrutturare una scuola di matrice statalista sul concetto di autonomia. Questo comporta un cambiamento radicale che pare che molti non abbiano compreso: il giudizio sui rendimenti dell’istituzione non compete più in modo esclusivo al ministero – che dovrebbe attenersi a una funzione di servizio – ma all’istituzione medesima. In sostanza, l’autonomia non è pensabile se non con una precisa strutturazione di un sistema di valutazione rigoroso e trasparente. Sembra che tutti siano d’accordo, anzi uno dei motivi dominanti del testo è il continuo ricorso al termine “valutazione”, come se fosse un’ovvietà, e invece non lo è affatto. Sono anni che in Italia se ne parla senza concludere nulla. Le vie possibili sono due. La prima è affidarsi a metodi quantitativi di carattere statistico, mediante test: non soltanto siamo lontanissimi dall’avere strutture adeguate a un simile approccio ma, nei paesi che l’hanno implementato o a livello europeo e internazionale, è soggetto a crescenti critiche. La seconda via è quella delle ispezioni, non gestite alla vecchia maniera ministeriale, altrimenti sarebbe vano parlare di autonomia. Nel Regno Unito esiste un’istituzione ispettiva esterna e autonoma (Ofsted) che tuttavia è stata duramente criticata per il suo carattere autoreferenziale e senza controlli. L’altra via è quella di una valutazione ispettiva interna al sistema scuola, che coinvolga tutte le componenti, assumendo il principio che sono i pari (con l’aggiunta di qualche istanza superiore) a poter giudicare e aprire così un confronto che sia origine di una crescita culturale; e non istanze esterne, se non da consultare come elementi per la formulazione di un giudizio, e ciò per il motivo che la scuola non è un’impresa basata sulla “customer satisfaction”. Per far questo, occorrerebbe una precisa strutturazione del sistema ispettivo e nulla è stato fatto di serio in questa direzione. Nell’assoluta vaghezza che circonda il termina “valutazione” è inquietante sentir dire che “poi si valuterà” rinviando la definizione di questo intervento a tempi e modi fumosi.
Non è quindi da stupirsi se, in assenza di idee sia pur vaghe di cosa intendere per valutazione, ci si sia appigliati all’idea di trasformare la figura del dirigente scolastico in un valutatore autonomo e autocratico, un punto singolare nel sistema scolastico, dotato di poteri incompatibili con un sistema democratico dove tutto è regolato da pesi e contrappesi. Era inevitabile che una simile scelta suscitasse aspre reazioni. Ad esse è seguito un coacervo di proposte riduttive, di cui l’ultima è la peggiore di tutte. Si tratta di limitare a due turni la presenza di un dirigente in una scuola, che sarà poi trasferito altrove. In tal modo, il dirigente viene gravemente penalizzato (e avrebbe diritto pieno di protestare a sua volta). Che senso ha interrompere per via burocratica l’azione di un ottimo dirigente, spedendolo altrove come “punizione” per il suo operato; e, viceversa, trasferire un cattivo dirigente affinché possa fare più danni? L’unico risultato è danneggiare sia il dirigente che l’istituzione.
Per rendere più accettabile il ruolo attribuito al preside si parla di trasformarlo in “leader educativo” il che implicherebbe meno burocrazia e più attenzione alla vita scolastica. Ma qui siamo fuori della realtà: mai la scuola è stata sommersa come ora da un’invadente, soffocante burocrazia imposta dal ministero attraverso un diluvio di circolari. Tutti sanno che uno dei problemi principali di questo paese è la presenza nei ministeri di un’alta burocrazia che agisce in modo autonomo dalla politica. Forse in nessun ministero come quello dell’istruzione questa autonomia ha raggiunto simili livelli. Chi abbia frequentato anche per poco i corridoi di Viale Trastevere sa che la formula circolante è «i ministri passano, noi restiamo e siamo l’architrave del sistema». Del resto, lo si è visto in questi giorni: mentre la legge non è stata ancora approvata, il ministero ne ha già predisposto le procedure attuative. Ma è ancor più indicativo della situazione guardare al merito di quel che il ministero fa piovere sulle scuole con le sue circolari. Limitiamoci a un solo esempio: la certificazione delle competenze per la scuola primaria e il primo ciclo. Lasciando perdere le elefantiache linee guida, diamo un’occhiata al modello di certificazione. La prima cosa che colpisce è che gli unici livelli di competenza ammessi sono quattro: avanzato, intermedio, base, iniziale. Quest’ultimo significa: «L’alunno/a, se opportunamente guidato/a, svolge compiti semplici in situazioni note». In altri termini, l’insufficienza è abolita per decreto: non esiste chi non possa conseguire un livello “iniziale”. Chi conosca un minimo la cucina del pedagogismo costruttivista sa che una simile bizzarra visione corrisponde all’idea di una scuola imperniata sull’idea del “successo formativo garantito”. Trattasi di una visione discutibile, e mai discussa e approvata formalmente in alcuna sede. È un autentico abuso che essa passi coercitivamente attraverso circolari. Quando poi si passa all’osservazione del merito delle competenze c’è da trasecolare. Tra le competenze sociali e civiche spicca la capacità di «collaborare per la costruzione del bene comune» e l’«osservanza di un sano e corretto stile di vita». Ma chi, e con quale diritto può definire per decreto cosa sia «il bene comune» e un «sano e corretto stile di vita»? Concediamo che il liberalismo espresso nel celebre aforisma di John Stuart Mill – «ciascuno è l’unico autentico guardiano della propria salute sia fisica sia mentale e spirituale» – sia invecchiato. Ma qui siamo fuori da ogni liberalismo, per entrare in un dirigismo che evoca forme di gestione totalitaria degli individui. Che dire poi, quando nelle competenze del primo ciclo si prescrive al soggetto «attenzione per le funzioni pubbliche alle quali partecipa», persino nelle «occasioni rituali nelle comunità che frequenta». In sostanza, il ministero s’impiccia che lo studente osservi rispettosamente il catechismo (cattolico), o altri sistemi rituali se di altra religione… Ogni commento dovrebbe essere superfluo.
Molti altri rilievi possono essere fatti, in particolare per quel che riguarda l’esplicita tendenza a ridurre lo spazio delle discipline tradizionali (matematica, storia, scienze, ecc.) a favore di altre competenze digitali e linguistiche e attività pomeridiane extra-curricolari che dovrebbero essere anche la via privilegiata affinché un insegnante consegua i migliori giudizi.
Ci fermiamo qui perché ce n’è abbastanza per capire che non è ammissibile ristrutturare da cima a fondo la scuola italiana secondo principi discutibili e mai realmente discussi, secondo un’idea inesistente di valutazione e, per giunta, per via di circolari autoritarie.
A questo punto, una scelta ragionevole sarebbe quella di procedere esclusivamente a un decreto per l’assunzione dei precari (visto che l’Europa ce lo chiede perentoriamente) e accantonare tutto il resto, per una approfondita, seria e costruttiva riflessione, gestita dalla politica assieme ai competenti in materia, arrestando una buona volta il diluvio delle circolari che frustra e umilia il lavoro dei migliori insegnanti.


                                                          Giorgio Israel

Ringrazio il direttore del Mattino di avermi chiesto e pubblicato questo articolo, sfilandosi dal clima autocratico che si sta diffondendo nel paese.