Una
quindicina di giorni fa il presidente del Consiglio ha annunciato la volontà di
aprire una riflessione che conducesse alla revisione di alcuni aspetti della
legge sulla “Buona Scuola”. In realtà, al termine di questo periodo, è emersa
invece la decisione di sospendere del tutto la legge, incluso il provvedimento
di assunzione dei precari. Tuttavia, a questo colpo di scena pare che potrebbe
subentrarne un altro: e cioè la trasformazione della riforma in maxiemendamento
su cui porre la fiducia. In attesa che la situazione si chiarisca, sarebbe un
vero peccato non cogliere l’occasione di mettere in luce gli aspetti più
critici della riforma che richiedono una riflessione meditata. Proviamo a
farlo, limitandoci ai più importanti.
La
chiave del progetto è di ristrutturare una scuola di matrice statalista sul
concetto di autonomia. Questo comporta un cambiamento radicale che pare che
molti non abbiano compreso: il giudizio sui rendimenti dell’istituzione non
compete più in modo esclusivo al ministero – che dovrebbe attenersi a una
funzione di servizio – ma all’istituzione medesima. In sostanza, l’autonomia non
è pensabile se non con una precisa strutturazione di un sistema di valutazione
rigoroso e trasparente. Sembra che tutti siano d’accordo, anzi uno dei motivi
dominanti del testo è il continuo ricorso al termine “valutazione”, come se
fosse un’ovvietà, e invece non lo è affatto. Sono anni che in Italia se ne
parla senza concludere nulla. Le vie possibili sono due. La prima è affidarsi a
metodi quantitativi di carattere statistico, mediante test: non soltanto siamo
lontanissimi dall’avere strutture adeguate a un simile approccio ma, nei paesi
che l’hanno implementato o a livello europeo e internazionale, è soggetto a
crescenti critiche. La seconda via è quella delle ispezioni, non gestite alla
vecchia maniera ministeriale, altrimenti sarebbe vano parlare di autonomia. Nel
Regno Unito esiste un’istituzione ispettiva esterna e autonoma (Ofsted) che
tuttavia è stata duramente criticata per il suo carattere autoreferenziale e senza
controlli. L’altra via è quella di una valutazione ispettiva interna al sistema
scuola, che coinvolga tutte le componenti, assumendo il principio che sono i
pari (con l’aggiunta di qualche istanza superiore) a poter giudicare e aprire così
un confronto che sia origine di una crescita culturale; e non istanze esterne,
se non da consultare come elementi per la formulazione di un giudizio, e ciò
per il motivo che la scuola non è un’impresa basata sulla “customer
satisfaction”. Per far questo, occorrerebbe una precisa strutturazione del
sistema ispettivo e nulla è stato fatto di serio in questa direzione. Nell’assoluta
vaghezza che circonda il termina “valutazione” è inquietante sentir dire che
“poi si valuterà” rinviando la definizione di questo intervento a tempi e modi
fumosi.
Non
è quindi da stupirsi se, in assenza di idee sia pur vaghe di cosa intendere per
valutazione, ci si sia appigliati all’idea di trasformare la figura del
dirigente scolastico in un valutatore autonomo e autocratico, un punto
singolare nel sistema scolastico, dotato di poteri incompatibili con un sistema
democratico dove tutto è regolato da pesi e contrappesi. Era inevitabile che
una simile scelta suscitasse aspre reazioni. Ad esse è seguito un coacervo di
proposte riduttive, di cui l’ultima è la peggiore di tutte. Si tratta di
limitare a due turni la presenza di un dirigente in una scuola, che sarà poi trasferito
altrove. In tal modo, il dirigente viene gravemente penalizzato (e avrebbe
diritto pieno di protestare a sua volta). Che senso ha interrompere per via
burocratica l’azione di un ottimo dirigente, spedendolo altrove come “punizione”
per il suo operato; e, viceversa, trasferire un cattivo dirigente affinché
possa fare più danni? L’unico risultato è danneggiare sia il dirigente che
l’istituzione.
Per rendere più accettabile il
ruolo attribuito al preside si parla di trasformarlo in “leader educativo” il
che implicherebbe meno burocrazia e più attenzione alla vita scolastica. Ma qui
siamo fuori della realtà: mai la scuola è stata sommersa come ora da un’invadente,
soffocante burocrazia imposta dal ministero attraverso un diluvio di circolari.
Tutti sanno che uno dei problemi principali di questo paese è la presenza nei
ministeri di un’alta burocrazia che agisce in modo autonomo dalla politica.
Forse in nessun ministero come quello dell’istruzione questa autonomia ha
raggiunto simili livelli. Chi abbia frequentato anche per poco i corridoi di
Viale Trastevere sa che la formula circolante è «i ministri passano, noi restiamo
e siamo l’architrave del sistema». Del resto, lo si è visto in questi giorni:
mentre la legge non è stata ancora approvata, il ministero ne ha già
predisposto le procedure attuative. Ma è ancor più indicativo della situazione
guardare al merito di quel che il ministero fa piovere sulle scuole con le sue
circolari. Limitiamoci a un solo esempio: la certificazione delle competenze
per la scuola primaria e il primo ciclo. Lasciando perdere le elefantiache
linee guida, diamo un’occhiata al modello di certificazione. La prima cosa che
colpisce è che gli unici livelli di competenza ammessi sono quattro: avanzato,
intermedio, base, iniziale. Quest’ultimo significa: «L’alunno/a, se opportunamente guidato/a, svolge compiti semplici in
situazioni note». In altri termini, l’insufficienza è abolita per decreto: non
esiste chi non possa conseguire un livello “iniziale”. Chi conosca un minimo la
cucina del pedagogismo costruttivista sa che una simile bizzarra visione
corrisponde all’idea di una scuola imperniata sull’idea del “successo formativo
garantito”. Trattasi di una visione discutibile, e mai discussa e approvata
formalmente in alcuna sede. È un autentico abuso che essa passi coercitivamente
attraverso circolari. Quando poi si passa all’osservazione del merito delle
competenze c’è da trasecolare. Tra le competenze sociali e civiche spicca la
capacità di «collaborare per la costruzione del bene comune» e l’«osservanza di
un sano e corretto stile di vita». Ma chi, e con quale diritto può definire per
decreto cosa sia «il bene comune» e un «sano e corretto stile di vita»?
Concediamo che il liberalismo espresso nel celebre aforisma di John Stuart Mill
– «ciascuno
è l’unico autentico guardiano della propria salute sia fisica sia mentale e
spirituale» – sia invecchiato. Ma qui siamo fuori da ogni liberalismo, per
entrare in un dirigismo che evoca forme di gestione totalitaria degli
individui. Che dire poi, quando nelle competenze del primo ciclo si prescrive al
soggetto «attenzione per le funzioni pubbliche alle quali partecipa»,
persino nelle «occasioni rituali nelle comunità che frequenta». In sostanza, il
ministero s’impiccia che lo studente osservi rispettosamente il catechismo
(cattolico), o altri sistemi rituali se di altra religione… Ogni commento
dovrebbe essere superfluo.
Molti
altri rilievi possono essere fatti, in particolare per quel che riguarda
l’esplicita tendenza a ridurre lo spazio delle discipline tradizionali
(matematica, storia, scienze, ecc.) a favore di altre competenze digitali e
linguistiche e attività pomeridiane extra-curricolari che dovrebbero essere anche
la via privilegiata affinché un insegnante consegua i migliori giudizi.
Ci
fermiamo qui perché ce n’è abbastanza per capire che non è ammissibile
ristrutturare da cima a fondo la scuola italiana secondo principi discutibili e
mai realmente discussi, secondo un’idea inesistente di valutazione e, per
giunta, per via di circolari autoritarie.
A
questo punto, una scelta ragionevole sarebbe quella di procedere esclusivamente
a un decreto per l’assunzione dei precari (visto che l’Europa ce lo chiede
perentoriamente) e accantonare tutto il resto, per una approfondita, seria e
costruttiva riflessione, gestita dalla politica assieme ai competenti in
materia, arrestando una buona volta il diluvio delle circolari che frustra e
umilia il lavoro dei migliori insegnanti.
Giorgio
Israel
Ringrazio il direttore del Mattino di avermi chiesto e pubblicato questo articolo, sfilandosi dal clima autocratico che si sta diffondendo nel paese.
2 commenti:
Gent.mo prof. Israel,
in tanti ritengono che l'approvazione definitiva del ddl sulla “buona scuola” porterebbe a una deriva clientelare e nepotistica. Il rischio esiste ma le confesso che a me fa più paura la deriva ideologica che spingerebbe gran parte dei presidi ad assumere nelle loro scuole i docenti che si conformano all'ideologia pedagogica dominante credendo,in buona fede, di aver scelto il meglio in maniera trasparente e oggettiva.
Lei è uno dei pochi ad aver colto questo aspetto scrivendo a chiare lettere che l'ultimo concorso per dirigenti scolastici era pensato e strutturato in maniera tale da selezionare gli aderenti ad una determinata ideologia pedagogica.
Ma anche i vecchi presidi, seppur selezionati con differenti modalità, subiscono un continuo bombardamento ideologico, assai simile a un lavaggio del cervello, che li porta ad aderire in massa ad una certa visione di scuola (che è poi quella propugnata dall'ANP, sindacato a cui aderisce la maggioranza dei dirigenti scolastici).
Essendo questi i presupposti trovo persino difficile comunicare e confrontarmi con costoro. Ritengo infatti che sia di uno squallido provincialismo pensare che i modelli scolastici stranieri siano per forza di cose migliori di quello che è stato il nostro modello storico. Trovo inoltre patetico il culto forsennato di un concetto fumoso come quello di “competenza”; mi dà fastidio il “nuovismo” di chi pensa che per fare una buona didattica sia per forza di cose necessario ricorrere agli “effetti speciali” e che la colpa dell'insuccesso scolastico degli studenti debba necessariamente essere attribuita al docente che non ha utilizzato le dovute metodologie (ovviamente tutte efficaci, miracolose e, soprattutto, differenti da quelle tradizionali).
Se poi chiediamo a costoro come mai il livello di preparazione degli studenti è calato proprio da quando queste nuove idee hanno avuto ampio accesso nella scuola, essi rispondono che il motivo è che gli insegnanti non si sono ancora adeguati abbastanza. Della serie: non c'è peggior sordo di chi non vuole sentire, non c'è peggior cieco di chi non vuole vedere.
Ma la cosa peggiore si ha quando l'ideologia pedagogica, propagandata purtroppo da molti dirigenti scolastici, si presta a giustificare determinate scelte politiche finalizzate esclusivamente al contenimento della spesa pubblica.
Secondo tale visione le piccole scuole andrebbero chiuse perché si può avere un servizio di qualità solo se si raggiunge un gran numero di iscritti. Sia chiaro, se i numeri sono minimali anche io credo che si debba optare per la chiusura (e non solo per motivi economici), ma se invece questi sono sufficienti a consentire l'attivazione anche di un solo corso con un numero adeguato di studenti (18-20 per classe), ritengo che quella scuola debba restare aperta.
Il trasporto sottrae tempo ed energie allo studio. Non sempre può essere evitato perché ovviamente nessuno può pensare di aprire scuole superiori in ogni comune italiano, ma nei limiti del possibile occorre porre le condizioni per evitarlo o per contenerne i tempi. Ma a costoro poco importa perché il nuovismo pedagogico impone che l'apprendimento debba svolgersi solo a scuola. In questo contesto va pertanto bene anche adottare la settimana corta, con seste-settime e ottave ore di lezione. L'attenzione dei ragazzi naturalmente cola a picco (e per i cultori della nuova pedagogia la colpa è ovviamente sempre e solo del docente che è stato in grado di catturare l'attenzione degli studenti). Gli alunni rientrano a casa fisicamente distrutti? Pazienza, tanto si studia solo a scuola e c'è il week-end per rigenerarsi, in compenso però lo stato risparmia.
Che orrore!
E' sempre un piacere leggerla professore.
La "valutazione" senza "democrazia" (di cui la colegialità è il cardine) come suona?
Come suona l'"apprendimento" senza "democrazia"..e le "conoscenze" "non democratiche"?...direi suona tutto molto male, anche filosoficamente.
Mi pare evidente che la Scuola Statale Italiana parla di "valutazione" ma dovrebbe più correttamente parlare di assoggettamento gerarchico e ideologico.
Mi pare ovvio che il sistema sta cercando di fare un elenco di "performances" e di "performanti", in modo da rendere licenziabile o ricattabile, ammovibile, assoggettabile, influenzabile, controllabile, il 70% dei docenti che sanno già essere "non allineati".
La valutazione dei DS sta tutta in numero 170/9.800 dove a numeratore ci sono gli ispettori e a denominatore ci sono i presidi...che dire?
Mi pare decisamente più penetrante la valutazione dei famossissimi "revisori dei conti" che annualmente visitano le segreterie delle Scuole.
Infine il "merito", dunque nella c.d. "Riforma", l'assunzione dei precari dalla graduatoria di merito (concorsuale o permanente) è una specie di "ope legis", di "ultima volta" dopo di che si entrerà solo per concorso come prevede la Costituzione.
Invece, potenza della menzogna, l'assunzione dei presidi che non hanno superato il concorso per decadenza e rinnovo della procedura concorsuale statuita dai Tribunali, è "merito" e di questo se ne parla pochissimo, ma nel DDL c'è questa parte di "sanatoria"...solo che in questo caso non ci sarebbe l'obbligo di assunzione come per i precari a seguito della pronuncia europea. Ma la sanatoria viene fatta.
Naturalmente nessuno, nessun dirigente del MIUR o di altri enti, ha pagato per i danni di quelle procedure concoprsuali e di altre, sono stati promossi.. perchè il merito è sempre e solo degli altri.
Che dire?....la riforma è solo ideologica, francamente senza nessuna base "scientifica", senza nessun tipo di coerenza giuridica, semplicemente inaccettabile e che segue ben altre finalità che sono chiarissime agli insegnanti.
Del resto in una società dove prevale unicamente il "capitalismo finanziario", credo che anche solo pensare di ritornare a un capitalismo industriale, cosa assolutamente necessaria per "il sistema", può essere percepito come pericoloso..per questo serve la "buona scuola" con i "buoni presidi", per provare ad evitare questo "rischio" creando gli "ambienti di apprendimento" adatti.
La valutazione dovrebbe avere solo un aspetto pedagogico non un aspetto punitivo e intrusivo...se vuoi migliorare le performances di un sistema, devi fare degli investimenti e devi gratificare coloro che lo fanno funzionare il sistema....ma anche questo rientra nella logica da "capitalismo industriale" che è antitetica alla volatilità del "capitalismo finanziario", dove conta "la percezione" e "il cinguettio".
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