(Corriere della Sera, 26 novrembre 2008)
In quanto ebrei italiani impegnati da tempo nel dialogo ebraico-cristiano, pur rispettando le decisioni prese il 17 novembre dall’Assemblea dei Rabbini d’Italia, esprimiamo il nostro profondo dissenso da ogni tentativo di imporre la rottura di tale dialogo e ci impegniamo a proseguirlo sia con gruppi religiosi e laici sia con strutture riconducibili alle autorità ecclesiastiche.
La reintroduzione, nella preghiera in latino del venerdì precedente la Pasqua cristiana, della speranza di “illuminazione” per i fratelli ebrei è un fatto, peraltro circoscritto, al quale è seguita una spiegazione autorevole che ha fatto affermare al presidente dell’International Jewish Committee, Rabbino David Rosen: «Siamo molto grati per le chiarificazioni che abbiamo ricevuto dal Cardinale Kasper reiterate dal Cardinale Bertone nella sua lettera al Rabbino Capo di Israele, che affermavano che questa preghiera ha una natura escatologica e in nessun modo riflette nessuna presa di posizione di proselitismo nei confronti degli Ebrei».
Il Talmud insegna che le spiegazioni e i chiarimenti sono ancor più importanti delle affermazioni del testo: ne rappresentano il completamento e mirano alla loro corretta interpretazione. Queste spiegazioni, e gli atti conseguenti, come le reiterate dichiarazioni del Papa contro l’antisemitismo, di amicizia e di affetto nei confronti degli Ebrei, ci inducono e ci convincono a considerare circoscritta e risolta la discussione, sia pur legittima, seguita alla reintroduzione nella preghiera in latino.
Il dialogo e l’amicizia ebraico-cristiana sono troppo importanti – soprattutto nel contesto di una crisi etica di dimensioni planetarie e di fronte alla minaccia del fondamentalismo di matrice islamica – perché si possa pensare di interromperli o di attenuarli delimitando le modalità e gli interlocutori da prescegliere.
Fin dalla metà dell’Ottocento insigni studiosi e rabbini hanno posto, in condizioni ben più difficili delle attuali, l’obbiettivo del dialogo ebraico-cristiano, nell’intento di superare secoli di persecuzioni, di teologia della sostituzione e di quello che Jules Isaac chiamò “l’insegnamento del disprezzo”. Il grande rabbino livornese Elia Benamozegh scriveva: «La conciliazione sognata dai primi cristiani come una condizione dalla Parusia o avvento finale di Gesù, il ritorno degli ebrei nel grembo della Chiesa … si effettuerà in verità non nel modo in cui si è voluto attenderla, ma nel solo modo serio, logico e durevole, soprattutto nella sola maniera vantaggiosa per la nostra specie. Sarà come lo dipinge l’ultimo dei profeti, il sigillo dei veggenti, come i dottori chiamano Malachia, un ritorno del cuore dei figli ai loro padri e di quello dei padri ai loro figli, vale a dire dell’ebraismo e delle religioni che ne sono derivate».
Noi crediamo che, se crescerà la capacità di ascolto, i figli di Israele e i figli della Chiesa giungeranno dopo duemila anni di incomprensioni a quella riconciliazione nella differenza, la cui importanza e urgenza deve essere riconosciuta da ogni uomo responsabile.
In una recente lettera il Papa Benedetto XVI ha osservato che «un dialogo interreligioso nel senso stretto della parola non è possibile senza mettere tra parentesi la propria fede», mentre è invece necessario «affrontare nel confronto pubblico le conseguenze culturali delle decisioni religiose di fondo» e «qui il dialogo e una mutua correzione e un arricchimento vicendevole sono possibili e necessari». Questo è un approccio che prefigura una forma di dialogo corretto, alieno da confusi sincretismi e tentativi di riappropriazione, e volto a promuovere la dimensione religiosa nella sfera pubblica. Questo obbiettivo è fondamentale per l’ebraismo. Vogliamo ricordare, al riguardo, Isaia quando afferma: «È troppo poco che tu sia mio servo per ristabilire le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Voglio fare di te la luce delle genti onde tu porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Isaia, 49,6).
Ebraismo e cristianesimo sono legati da vincoli assolutamente speciali, e questo fatto ha reso ancor più dolorose le vicende dei due millenni passati. È un terreno che rende particolarmente necessario, importante e proficuo il dialogo. Nel 2001 il Cardinale Ratzinger, scriveva ne “Il popolo ebraico e le sue Sacre scritture nella Bibbia cristiana”: «È chiaro che un congedo dei cristiani dall’Antico Testamento non solo avrebbe la conseguenza di dissolvere lo stesso cristianesimo, ma non potrebbe neppure essere utile a un rapporto positivo tra cristiani ed ebrei, perché sarebbe loro sottratto proprio il fondamento comune».
Su questo sentiero ormai largo e agevole, in questo campo dissodato, va proseguito il dialogo, secondo le parole del salmista: «Ecco, come è bello e come è dolce sedere fra fratelli che vivono d’accordo!….Perché il Signore vi ha imposto la benedizione e la vita per sempre» (Salmo, 133, 1-3).
Guido Guastalla
Assessore alla cultura della Comunità ebraica di Livorno
Giorgio Israel
Professore all’Università di Roma “La Sapienza”
12 commenti:
Condividere questo documento è necessario perchè logico, ancor più della geometria. Di più è la storia che lo impone prima ancora della fede.
Gianfranco Massi
Davvero belle parole le vostre.
Nonostante il sentiero "ormai largo e agevole", putroppo tante persone inciampano ancora.
A Lei un saluto, con stima,
piccolo-uomo
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
grazie!
Aderisco all'appello al dialogo tra ebrei e cristiani, come studioso e come credente cattolico.
Augusto Cosentino
Monsignor Luigi Giussani scrive che in realtà "noi siamo degli Ebrei". Non ci si separa da ciò che si è al fondo, neppure volendolo.
Oggi non conta tanto l'essere di quegli ebrei che hanno riconosciuto Messia Gesù di Nazareth, ossia i cristiani, od essere di quegli ebrei che ancora attendono. Oggi conta realmente porre gesti, occasioni, avvenimenti in cui una moralità si manifesti. Perché esiste troppa "religione" affatto priva di anticorpi contro la violenza, quanto accade a Mumbay lo dimostra. Il dialogo è un urgenza, occorre che i due ebraismi, quello cristiano e quello in attesa, mostrino al mondo che solo nell'Israele di Dio esiste la possibilità della PACE. Pertanto non perdiamoci dietro formulazioni: sarebbe come se, di fronte ad una casa pericolante, discettassimo se è più grammaticamente corretto usare il verbo "cadere" o "crollare". E, visto che è il mondo al posto della casa del mio esempio...
Sono ormai note le affinità tra religione cristiana ed ebraica ed è per questo importante un continuo dialogo.
E', a mio avviso, altrettanto importante mantenere un dialogo tra islam ed ebraismo.
Ci unisca quel Dio che tutti ha creato.
Egr. Prof. Israel,
ho letto l'articolo di Laras, Luzzatto, Nahum sul Corriere del 4 dicembre, pag. 36 (http://archiviostorico.corriere.it/2008/dicembre/04/dialogo_non_sia_anti_Islam_co_9_081204060.shtml), in risposta alle sue parole. Mi permetto, pur rendendomi conto di entrare in una dialettica interna al mondo ebraico, di fare alcune considerazioni.
1. Mi sembra che i firmatari vogliano a tutti i costi avere l'esclusiva del 'dialogo', e per far ciò elencano i 'dialoganti' che - a loro avviso - sono degni di tale nome. Non si rendono contro che il dialogo tra ebrei e cristiani vive in tante altre sedi e con modalità diverse (ad esempio sul piano personale, o su quello liturgico: il Cammino Neocatecumenale, di cui faccio parte, ha da alcuni decenni avviato un processo di recupero di tanta tradizione liturgica ebraica)
2. I firmatari sottolineano che "a scanso di equivoci, è opportuno anche ricordare che il Rabbinato italiano e i membri dell'Unione delle comunità ebraiche italiane sono i soli ufficiali responsabili della rappresentanza religiosa e civile degli ebrei italiani". Pur notando come l'ebraismo non abbia al suo interno un equivalente del papato cattolico, essi ne rivendicano in certo qual modo le prerogative. Ma questo non toglie che ognuno possa esprimere - come lei giustamente fa - le sue intenzioni e idee, come ognuno può portare avanti, seppur rappresentando solo se stesso, un dialogo che è certamente utile e proficuo. Come da parte mia posso esprimere idee e notazioni da cattolico 'semplice', pur non essendo papa né vescovo.
3. L'osservazione per cui "i rapporti tra Ebraismo e Islam generalmente sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra Ebraismo e Cristianesimo" mi sembra da una parte paradossale, seppur funzionale alla polemica anti-cattolica. Magari i rapporti tra Ebraismo e Islam fosero così proficui!
Augusto Cosentino
Avgvstvs, si vede come è sereno Ahmedinejad quando parla di Israele. Per questo, suggerisco a Laras, Luzzatto e Nahum di farsi un giretto dalle parti di Teheran, con la kippah indosso, magari.
"Si ricordi, poi, che i rapporti tra Ebraismo e Islam GENERALMENTE sono stati più proficui e sereni rispetto a quelli intercorsi tra Ebraismo e Cristianesimo... ma questa è un’altra storia!".
Quale equilibrio, quale neutra e saggia equanimità in questo asserto.
Egregio Caroli, non dia alla leggera suggerimenti insidiosi, perchè pare che queste persone potrebbero seguirli, e per loro (oggi, non ieri) potrebbe generalmente finire maluccio.
Caro Vanni, tutto sommato, il "finire maluccio" che Lei dice sarebbe comunque triste perché si tratta di esseri umani, ma sicuramente se ne avvantaggerebbe il dialogo tra cristiani ed ebrei, non trova? Se poi si trovasse coinvolto anche un certo principe della chiesa in questo "maluccio", beh, mi riuscirebbe molto difficile piangere...
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