Un’“autorità” accademica ha segnalato in giro un video dal titolo “Did you Know 3.0” (http://www.youtube.com/watch?v=jpEnFwiqdx8), presentato come utile a «pensare la knowledge society».
Il succo del video è che viviamo in “tempi esponenziali” e governati dalla comunicazione. Si spiega che stiamo preparando studenti per lavori e per usare tecnologie che non esistono ancora e per risolvere problemi che ancora non sappiamo che siano tali. Si racconta che un ottavo delle coppie sposate negli USA negli ultimi anni si è conosciuto in rete: bisogna vedere come va a finire. Il primo paese al mondo per Internet a banda larga è Bermuda, mentre gli USA sono soltanto al 19esimo posto e il Giappone al 22esimo: quindi Bermuda è al vertice della knowledge society? Il numero di anni necessari perché un messaggio pubblicitario raggiunga 50 milioni di persone è 38 per la radio, 13 per la TV, 4 per Internet e 2 soltanto per Facebook. Le comunicazioni telefoniche triplicano ogni sei mesi e il numero di apparati Internet da 1000 nel 1984 è passato a un miliardo nel 2008.
Ma la parte più interessante riguarda il modo tutto quantitativo con cui si tratta la “conoscenza”. Secondo il filmato il 25% della popolazione indiana ha il massimo di IQ (quoziente intellettivo), più della popolazione degli USA. Si da per scontato che chi ha un alto IQ sia “intelligente”, mentre sappiamo che questo parametro di valutazione è a dir poco discusso. Nel 2006 venivano fatte 2,6 miliardi di ricerche al mese su Google, oggi ne vengono fatte 31 miliardi al mese. A chi venivano rivolte queste domande? si chiede il filmato. Forse non bisognerebbe fare tante domande, soprattutto sarebbe bene astenersi dal fare domande inutili o cretine. Informa ancora il video che una settimana del New York Times offre più informazione di quanta ne poteva accumulare un uomo dell’Ottocento in tutta la vita. Inoltre quest’anno sono state generati 40·1019 bytes di informazione, più di tutti i 5000 anni precedenti. Ma è proprio sicuro che una dose così massiccia di notizie serva davvero a trovare risposta a qualche domanda sensata? Infine, pare che la lingua inglese contenga oggi circa 540.000 parole, più di cinque volte di quante ne avesse all’epoca di Shakespeare.
Nonostante tale ricchezza di vocabolario, di Shakespeare oggi se ne vedono pochi in giro e la gente continua ostinatamente a leggere quello “povero”. Anche il numero di parole dell’ebraico biblico è disperatamente modesto. Eppure la Bibbia continua ad essere il libro più letto al mondo. Quando morì il celebre filosofo Spinoza in casa gli trovarono meno di trecento volumi. Eppure i più accaniti paladini della postmodernità tecnoscientifica – per esempio, il neuroscienziato Jean-Pierre Changeux – non trovano di meglio che rifarsi all’autorità di Spinoza.
Il filmato termina saggiamente lasciando aperta la domanda: «Cosa significa tutto questo?». A me pare che significhi che la crescita quantitativa è utilissima ma l’informazione non è conoscenza. Non basteranno un trilione di terabytes a unificare meccanica quantistica e relatività o a decidere se la teoria delle stringhe funzioni. Sarebbe auspicabile saper gestire il flusso crescente di informazione senza dimenticare i grandi problemi della conoscenza che ci stanno aperti di fronte.
L’“autorità” accademica consiglia il video a “conservatori” e “laudatores tempore acti”. Per parte mia, vivo contento nell’innovazione tecnologica che ritengo di saper usare meglio di molti lodatori del presente. Oltretutto riesco ancora a scrivere correttamente “laudatores temporis acti” senza bisogno di ricerche su Google.
(Tempi, 30 aprile 2009)
8 commenti:
Questa lettura mi fa tornare alla mente un saggio, che devo assolutamente ritrovare e riprendere in mano, di Jean Francois Revel dal titolo "La conoscenza inutile". In esso l'autore sottolinea la sproporzione fra la mole imponente di informazione accessibile da una parte, e la deludente carenza di conoscenza dall'altra.
Direi che il saggio abbia almeno quindici anni di età: la pervasività dei nuovi media internet & c. era allora soltanto in fìeri. Revel imputa alla menzogna consapevole e inconsapevole la responsabilità di questo squilibrio: una menzogna che nasce dall'ideologia, dalla corrività, dal conformismo e che corrompe non solo l'informazione mediatica, ma la scienza, la scuola, insomma la cultura tutta.
Penso a come sia stato sempre duro per me imparare e che quel po' di conoscenze possedute non sono state acquistate a buon mercato. Oggi – proprio oggi che la fatica per imparare si è per me decuplicata, e, beffardamente, la voglia di imparare è cresciuta – ci sono possibilità nuove ed enormi.
Per comoda leggerezza si tende però a confondere pervasività e autorevolezza. Parlare di knowledge society mi pare improprio e celebrativo. Dividere il grano dal loglio è un compito che fa tremare i polsi.
A me pare un fatto molto positivo che le molecole della conoscenza, cioè le informazioni, abbiano trovato gli attuali potenti sistemi di comunicazione per essere diffusi. E a costi sempre più bassi! Non vedo, a livello razionale, possibilità di atteggiamenti critici verso questa vera e propria grazia di Dio.
Sarebbe come pensare di criticare la Natura per l' enorme abbondanza di polline prodotto a fronte del numero dei pistilli cui è destinato.
Per Massi:
La critica "razionale" non e' rivolta alla "quantita'" in quanto tale, quanto all'interpretazione che si fa di questa "quantita' di informazione" in termini di "qualita' di "conoscenza". Un numero grande non e' ancora un infinito, e quindi l'informazione non puo' assurgere allo stato di deita', ma solamente di idolo di legno, fatto da mani d'uomo. Ora cerco di spiegare meglio il mio pensiero.
Lavorando come ricercatore, osservo quotidianamente la massiccia quantita' di nuove riviste scientifiche e di informazione in essi contenuta. Questa e' di fatto conoscenza solamente per chi ha scritto, o al massimo referato gli articoli. Non e' ancora una conoscenza per me, fino a quando leggo e assimilo il contenuto di queste informazioni. Dal momento che per me e' fisicamente impossibile leggere tutta la produzione scientifica atuale, ne risulta che sono ignorante ne' piu' ne' meno di prima. E' vero che ho l'opportunita' di scegliere, catalogare, e rigettare piu' celermente il tipo di informazione di cui non ho bisogno, ma la mia capacita' intellettiva non aumenta "magicamente" all'aumentare della quantita' di informazione disponibile.
E' da qui che nasce secondo me il "mito" della singolarita' tecnologica di Vinge. Secondo questo punto di vista, seguendo la legge di Moore per lo sviluppo delle capacita' computazionali dei nostri processori, esiste una soglia dove i computer eccederanno la capacita' computazionale umana, e secondo seguaci di questa dottrina, non passernno molti prima che buttando un aggregato disordinato di nano sensori/attuatori, in un bagno pubblico sporco, questi lo puliscano meglio di come un essere umano non lo farebbe. A questo punto, sempre secondo i seguaci di questa dottrina della sigolarita', le macchine sarebbero intelligenti abbastanza da generare macchine ancora piu' intelligenti di loro stessi, rendendo l'umanita' inutile in quanto tale. Mi sembra un delirio di onnipotenza che se fosse relegato solamente alla sfera ristretta degli appassionati di fantascienza troverei abbstanza divertente. Lo trovo meno divertente quando Google stessa fonda una Universita' della Singolarita' che e' destinata a prepararci a questa (presunta) inevitabile transizione.
Si tratta ancora una volta del mito di Prometeo, riproposto in chiave post-moderna, dove sono le macchine questa volta che rubano la scintilla creativa all'uomo e non a Dio. Un altro modo, se si vuole, per descrivere la attuale visione dell'uomo che vuole mettere se stesso al posto di Dio. E come conseguenza, se l'umanita' puo' perire a causa dell'intelligenza delle macchine, allora Dio e' gia morto, sepolto e maleodorante da un bel pezzo a causa della "nostra intelligenza".
Credo che questa debba essere la critica fondamentale all'adorazione acritica della "quantita' d'informazione".
Tutto bene, tutto bello: la crescita quantitativa delle informazioni, eccetera. Ma io preferivo meno standardizzazione "in basso". E mi spiego, premettendo che il mio discorso è strettamente tecnologico: la quantità di informazioni a disposizione sarebbe stata egualmente fruibile se i computer in rete fossero stati a sistema operativo proprietario? In altre parole, se Windows non avesse avuto l'immeritato successo che ha conseguito? In base alla mia esperienza sì, e con tanti rischi in meno (per questo dico "immeritato successo"). Siccome usare "se" al passato non produce nulla, se non inutili nostalgie, ritengo che non sarebbe poi un gran male se i vari sistemi eterogenei a Windows (UBuntu, Linux, Mac) lo soppiantassero. Sulle opinioni in merito alla quantità, concordo in pieno sul fatto che quantità non significa ipso facto qualità, e che le cernite in ordine a quanto mi serve o no coinvolgono la libertà individuale. In fondo deve essere sempre l'uomo che decide.
Ritengo che l' articolo del professore Israel fosse puramente accademico (nel significato nobile del termine), che cioè prescindesse da fatti commerciali e di bottega.
Capisco che date le dimensioni dei fatturati in gioco la parola bottega possa apparire ridicola. Ma le guerre commerciali, se rispettose delle leggi, servono a fare emergere la qualità e a ridurre i costi. A me pare che questo avvenga - in Occidente.
Qualche spunto per una critica “razionale” si può forse trovare nel recente libro “L’efficienza insignificante” di F. Merlini.
Riassumendo in modo assai grossolano, l’autore cerca di delineare le conseguenze sull’individuo derivanti dal passaggio, realizzatosi nell’arco di poche decadi, da un modello “lineare”, in cui il presente era uno spazio operativo, caratterizzato da una successione di azioni volte a provocare il futuro secondo un progetto esistenziale definito dall’individuo, a un modello “puntiforme” in cui il presente occupa lo spazio del passato e del futuro (diviene, per così dire, totalizzante). L’elevazione dell’istante puntuale del presente a paradigma del tempo comporterebbe, secondo l’autore, la perdità della memoria (perchè “il passato non sembra insegnare nulla che il presente non possa insegnare meglio”) e in ultima analisi dell’identità stessa del soggetto, la cui azione nel presente pare finalizzata unicamente ad accrescere in modo compulsivo l’innovazione tecnologica, in assenza di qualunque significato individuale di lungo respiro.
Questo fenomeno può essere colto proprio nel modo in cui conoscenza e informazioni tendono oggi a organizzare i loro contenuti.
In una cultura dominata dal libro, conoscenza e informazioni possono essere acquisite a condizione di disporre di una intelligenza sequenziale capace di analizzare i contenuti e organizzarli in modo lineare secondo nessi causali stringenti; il “modello di internet”, centrato sull'immagine, promuove la semplice gestione della simultaneità, in assenza di un (duro) lavoro mentale di articolazione dei contenuti. Ecco perché la quantità di informazioni può idealmente aumentare all’infinito senza che ciò implichi necessariamente una corrispondente crescita di "conoscenza".
Mi pare che l'analisi di Merlini offra spunti interessanti e sia pertanto meritevole di approfondimento.
io trovo tremendamente frustrante l'eccesso di informazione.
Ti costringe a doverti esprimere su un'eccessivo numero di questioni che spesso non sono di tua competenza e allora provi ad informarti. Ma la quantità di informazione disponibile è così grande che non ti basta una vita per leggere con senso critico quello che si trova e per formarti un'opinione.
Personalmente preferisco occuparmi di un limitato numero di questioni facendo la figuraccia della qualunquista disinformata. L'altrenativa che vedo all'orizzonte è però una sola: affidarsi ad un guru e riportare la sua opinione, non la mia. E credo che poi alla fine è quello che succede in molti casi.
Certo per quei pochi argomenti di cui mi occupo, il fatto di potere disporre di tanta informazione è indubbiamente un vantaggio, però che fatica!
Sempre aspettare, vedere, e conoscere prima di giudicare, ma forse nel caso del tanto strombazzato lancio dell'auto-proclamato "computational engine" Wolphramalpha, avrei potuto scrivere queste commento anche ad occhi chiusi.
In breve? Un altro tentativo fallito di organizzare informazione per generare conoscenza.
Nota: quando ho proposto l'input $40\times 10^{19}$, il sito mi ha risposto con: "Taglia dell'ego di Stefan Wolphram", e da li e' seguita un compendio della sua autobiografia in 10,000 pagine.
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