giovedì 11 febbraio 2010

Il ritorno dell’esame collettivo (ma col timbro dell’università)


La follia che sta facendo a pezzi il sistema educativo in Europa dilaga senza incontrare resistenze. In questa rubrica abbiamo raccontato vicende e decisioni deliranti prese in questo o quel paese dell’Unione. L’ultima della serie è questa. In Spagna, l’università di Siviglia ha introdotto una normativa sullo svolgimento degli esami scritti decretando che tutti gli studenti hanno il diritto di completare la prova di esame anche se durante lo svolgimento vengono sorpresi dall’insegnante a copiare. La questione verrà successivamente portata dinnanzi a una commissione di garanzia che deciderà, sulla base del reclamo dello studente, se il docente ha prove sufficienti che lo studente ha copiato oppure se ha ecceduto nel chiedere l’annullamento dello scritto. Il direttore della comunicazione dell’università ha giustificato la decisione dicendo che non era più accettabile che ogni professore seguisse criteri propri e che occorreva regolamentarne l’intervento di fronte a suggerimenti, al passaggio di foglietti o alla copiatura dei compiti mediante cellulare, chiarendo una volta per tutte che al docente è “proibito” sequestrare il telefono. Non solo: se il docente ritenesse di sequestrare fogli o altre prove della copiatura dovrebbe darne un verbale scritto allo studente affinché questi possa difendersi di fronte alla commissione. Il nuovo regolamento contiene altre cose amene, come l’abolizione di qualsiasi obbligo alla frequenza ai corsi: tutt’al più potrà essere premiato l’alunno che frequenta.
Confesso che mi mancano le parole e l’idea di argomentare contro un simile delirio mi provoca un senso di smarrimento, come se dovessi spiegare che per camminare si mette un piede davanti all’altro. Fortunatamente le reazioni che è dato leggere sui siti della stampa spagnola sono quasi unanimemente di sconcerto inorridito e di desolazione. Ma il sollievo è di breve durata. Difatti, subito dopo si legge la notizia che il ministro spagnolo dell’istruzione è sceso in campo in difesa dell’università di Siviglia sostenendo che la linea scelta è giusta perché occorre lavorare per realizzare «forme di esame che non dipendano da approcci mnemonici, dal copiare o dal non copiare»… «Spero – ha aggiunto – che troveremo delle formule di apprendimento sufficientemente innovatrici, di valutazione continua che non richiedano di fare esami convenzionali». Insomma, per evitare l’approccio mnemonico la soluzione è ricorrere alla memoria collettiva. «Non te lo ricordi tu? Allora te lo ricordo io, e quel che non ricordo io me lo ricordi tu». Così facciamo un bell’esame che non dipende dal copiare e non copiare. Come se la questione fosse soltanto di memoria (che pure non è da disprezzare). Se uno studente non sa risolvere un problema di matematica non è perché non lo “ricorda”, è perché non ha i mezzi e le capacità per risolverlo. Se scrive un tema pieno di errori di ortografia o sintassi non è perché gli manchi la memoria ma perché non ha gli elementi di base. Ma il signor ministro ha una grande idea: la valutazione continua senza “esami convenzionali”. Vecchia muffa demagogica di stampo sessantottino fritta e rifritta in salsa di didattica innovativa postmoderna. 
Negli Stati Uniti – dove pure le faccende dell’istruzione non vanno al meglio – copiare è considerato un atto immorale. Ed è giusto che sia così, perché dare prova delle proprie capacità in modo onesto è il dovere più importante di uno studente, in modo continuo o discreto che sia. In Europa, invece, impazza la demagogia e la dittatura degli esperti con il cappello d’asino. Chiedersi perché le cose vadano male è una pura perdita di tempo.



(Tempi, 11 febbraio 2010)

14 commenti:

Lucio ha detto...

Negli Stati Uniti esiste una forma di test parziale chiamato "take-home time-limit test". Nessuno bara!!

Io sequestro i compiti non appena due studenti/studentesse si scambiano uno sguardo. Anche se teneri fidanzati. E' cosi' che si fa.

Lucio Demeio.

Andrea Viceré ha detto...

Ahimè questa notizia non mi stupisce neanche un po', se penso che uno dei criteri per valutare le Università in Italia è la quota di abbandoni. Col che se bocci ripetutamente un somaro non stai facendo il bene della tua Facoltà.

Nemmeno si riesce ad immaginare come il sistema si possa riformare, tanto intrecciate sono le responsabilità, si pensi a quelle Università che hanno gonfiato a dismisura gli organici proprio grazie al numero di studenti, senza sforzarsi di operare alcuna selezione.

Selezione che è anzitutto nell'interesse degli studenti;
ricordo ad esempio il mio primo anno di Fisica a Pisa; venivo da un Classico, dove non avevo studiato abbastanza matematica, e fu una bella fatica.
E il professore di Geometria, l'ottimo Vinicio Villani, organizzò un compitino di valutazione, a pochi mesi dall'inizio del corso, allo scopo di aiutare gli studenti a verificare se davvero avessero la stoffa per gli studi scientifici, in tempo utile per cambiare indirizzo se necessario.

Ecco, più che di tante riforme, io penso che avremmo bisogno di più persone come il Prof. Villani; un buon governo dovrebbe cercare di incoraggiare simili comportamenti, come in tutta umiltà non lo so.

Cordialmente

Andrea Viceré

Lucio ha detto...

Attenzione, dottor Vicere': non so quando si e' laureato, ma l'Universita' di oggi e' molto diversa, ad esempio, dalla mia. I corsi durano di meno e ci sono molti piu' studenti, quindi meno tempo da dedicare a test parziali ed altre forme di ausilio didattico. Purtroppo, molti di questi studenti pretendono di affrontare facolta' come Ingegneria con l'odio verso la matematica (e spesso anche verso la fisica) in cuore. In aggiunta, negli ultimi dieci anni siamo entrati in un regime di riforma permanente, che confonde gli studenti e demoralizza i docenti. Voler modellare il nostro sistema universitario sulla falsariga di quelli anglosassoni per me va bene (so che molti non sono d'accordo, ma non intendo discutere questo), ma solo alla condizione di dedicarvi le stesse risorse, umane e finanziarie. Da noi, invece, si taglia. Come si fanno a fare dei test intermedi a 200 studenti senza i teaching assistants ed i grading assistants?

Cordialmente,
Lucio Demeio.

Gianfranco Massi ha detto...

Purtroppo non c' è da stupirsi se è sempre più invadente questa deriva collettivistica e livellatrice.
Avrà pure una spiegazione il fatto che le punte estreme dell' abbattimento del merito individuale trovino maggiore accoglienza nei Paesi giunti per ultimi alla democrazia.
massi.gian

Unknown ha detto...

... a questo punto, propongo che il docente fornisca il compito con le soluzioni!

Andrea Viceré ha detto...

Caro Demeio

sì quel che scrive è del tutto vero, io mi sono iscritto a Fisica nell'83 e i corsi erano tutti annuali e di ampio respiro, ogni attività era organizzata in modo diverso e permetteva valutazioni intermedie e test efficaci.

Ora abbiamo i semestri, i corsi parcellizzati o magari integrati fra materie differenti, e centinaia di iscritti, di fronte ai quali i docenti sono praticamente soli, senza appunto alcun ausilio istituzionale.
Esiste il tutorato, ma è tutt'altra cosa rispetto ad un grading assistant o un teaching assistant.

Appunto sono state fatte una serie di riforme a costo zero che hanno creato una situazione di emergenza continua.

Io lancio una provocazione; si dice che abbiamo bisogno di un sistema che produca più laureati, perché non basterebber. A mio parere invece avremmo bisogno di buoni diplomati, perché per moltissimi lavori la laurea davvero non serve, se gli studi superiori sono di qualità. Davvero occorre la laurea per insegnare alle elementari? Non basta un diploma ben fatto come era una volta?
E si dovrebbe avere una accurata selezione all'ingresso di tutte le Facoltà, non solo di alcune.

Insomma, difficile far funzionare l'Università se non si riforma anche la Scuola Superiore, e giù in cascata.
Non so valutare, in questo senso, se la riforma Gelmini delle Superiori sia un passo nella giusta direzione.

Cordialmente

Andrea Viceré

Caroli ha detto...

Che sia anche per fatti come questo che recenti sondaggi avrebbero decretato un crollo di popolarità del governo spagnolo? Se le ragioni fossero queste, vorrebbe dire che se un ateneo ed un governo sono in crisi di rimbambimento, la società sta guarendo dall'ubriacatura che ha spinto costoro "in sella". Infatti Lei dice che la stampa si è sollevata: ciò è innegabilmente un buon segno.

Qualcuno mi corregga se sbaglio, ma la docenza universitaria non è definita "libera" docenza? Che razza di libertà riconosce questa caricatura di ateneo ai suoi?

Dissento infine sul fatto del "giunti per ultimo alla democrazia", Massi: come spiegare il disastro inglese, documentato qui qualche tempo fa?

Gianfranco Massi ha detto...

Con la legge dell'entropia, caro Caroli.
massi

francesca caneva ha detto...

Professor Israel, ho letto il suo articolo, come tutti gli altri, che condivido e apprezzo. Leggo che è ancora capace di sconcerto di fronte alla follia del pedagoghese politicamente corretto. Io dopo l'allucinante esperienza dell'ultimo anno di insegnamento, in un liceo classico romano che non voglio nominare, non mi stupisco più di nulla.
Ho cercato di fare il mio lavoro come ritenevo dovessi fare: spiegare come meglio potevo gli argomenti, rispiegarli tutte le volte che per qualcuno non risultassero chiari, rendermi disponibile anche fuori orario o negli sportelli pomeridiani per rispiegarli anche mille volte nel modo più chiaro e coinvolgente possibile, indicare i criteri di valutazione delle verifiche e delle interrogazioni prima di assegnarli, sobbarcarmi molto lavoro supplementare non dovuto per incrementare la quantità di esercizio di alunni molto indietro; correggere indicando sempre la natura e il tipo di eventuale errore, senza mancare di valorizzare il positivo e di rallegrarmi per ogni piccolo progresso. E persino, nel caso in cui alcuni (sempre gli stessi, pochi, ben determinati a non ascoltare nulla e a non aprire mai un libro, neanche sotto tortura) manifestassero ancora difficoltà, persino a fare simulazioni delle verifiche, dello stesso standard di difficoltà, corrette e valutate, come quelle reali, ma non ufficiali, a titolo di esercitazione, perchè testassero il metodo di lavoro. Ciononostante, alcune famiglie (una percentuale del 2%, direi con buona approssimazione), hanno da protestare su tutto. Una valutazione insufficiente a mio figlio, che aveva sempre voti ottimi? Come si è permessa? Due valutazioni a quadrimestre, per una materia secondaria come la storia o la geografia? Ma dove siamo, a Guantanamo? Pretendere che mio figlio sia in grado di decifrare una terzina dantesca spiegata e rispiegata da mesi esprimendosi in lingua intellegibile? A cosa serve, nel 2009? Pretendere che il contenuto di un tema abbia una lontana pertinenza con la richiesta? Ma a che pro, i temi, al giorno d'oggi? E come si permette di interrogare mio figlio, non lo sa che nei fine settimana ha sempre gli allenamenti, e il lunedì è intoccabile (trascurando che da mesi si rende irreperibile e si dà alla macchia ad ogni valutazione paventata, tanto da essere arrivato a giugno senza voto)? Come osa? E così via. Il giorno prima degli scutini di fine anno, il preside mi intima: non si sogni di assegnare a qualcuno il debito formativo: storia e geografia non sono materie caratterizzanti. Sull'Italiano nel triennio, non arriva a tanto, e alcuni alunni, ahimè, dal 4 non si sono sollevati, e non ho scelta. Al momento del "saldo" del debito, a fine luglio (sorvolo sulla beata illusione dell'utilità di un mese di studio, per chi ha in testa il nulla su tre o quattro materie di indirizzo), il risultato è identico, ma mi viene detto che, se almeno in uno dei tre o quattro "debiti" l'alunno è salito a 5 e 1/2, quella buona volontà gli va riconosciuta e non va fermato. Il risultato? Il 17 luglio, a scrutini dei "debiti" conclusi, il preside mi comunica che il mio contratto non verrà rinnovato. Nulla da dire sulla preparazione (eccellente), nulla da dire sulla qualità della didattica e sulla serietà e impegno nel lavoro (eccellenti); ma è che.. beh, alcune famiglie hanno avuto da ridire, sa: i ragazzi vanno sempre incoraggiati.
Ecco spiegato il mio capo d'imputazione: non ho garantito a tutti il diritto al successo. Ventidue anni di onorata docenza, generazioni di alunni (e di loro famiglie) grati per il mio lavoro, con moltissimi dei quali sono tuttora in contatto e in amicizia, un'alta percentuale di ex alunne che hanno proseguito negli studi di Lettere e che ora sono a loro volta insegnanti appassionate e capaci, ed ecco cosa mi tocca sentirmi dire.
Ne concludo amaramente che oggi non occorre più saper insegnare alcunchè, occorre solo garantire sempre e a qualunque costo il diritto alla sufficienza: incoraggiare.

Giorgio Israel ha detto...

Gentile professoressa, intanto grazie della sua testimonianza. Mi piacerebbe raccoglierla insieme a tutte quelle che ricevo in un libro, ma intanto forse già qui in rete servono a qualcosa.
Neanche io mi creda mi sorprendo più di nulla. Ma seguo un precetto che si riassume in una celebre bellissima frase pronunziata da Martin Luther King poco prima di essere ammazzato:
VI SUPPLICO DI INDIGNARVI...
Il giorno in cui non avremo più neanche la forza di indignarci sarà davvero finita.

Lucio ha detto...

Eh, come si fa a parlare di ontologia (nell'altro post) di fronte a questa testimonianza. Purtroppo di casi simili ce ne son tanti e, di nuovo purtroppo, quello che la professoressa dice a proposito delle famiglie si propaga come un cancro fino all'ambiente universitario.

Lucio Demeio.

Fausto di Biase ha detto...

Insegno matematica al primo anno dell'universita` e anche quest'anno l'unico studente che aveva mai sentito parlare di quella famosissima scoperta fondamentale, che risale a circa 2500 anni fa, dovuta alla scuola di Pitagora (secondo cui non esiste un numero razionale il cui quadrato sia uguale a due) e` stato uno studente albanese: nessuno degli italiani ne aveva mai sentito parlare.

Un mio collega mi ha confermato che anche nella sua classe e` cosi`: i migliori sono gli stranieri (albanesi e rumeni), e ha aggiunto amaramente che siccome stanno ``indietro'', il loro sistema educativo produce ancora risultati soddisfacenti, ma che quando anche loro ``andranno avanti'', allora diventeranno come qui da noi, tra i paesi ``avanzati''.

Nautilus ha detto...

Quel che scrive la prof.ssa Caneva è nel suo complesso agghiacciante.
E' anche istruttivo notare come il giudizio sull'insegnante affidato al solo preside possa dare risultati così disperanti: costui è i grado di riconoscere il valore dell'insegnante ma nonostante ciò la boccia (gli studenti fannulloni no lei sì) per adeguarsi al mercato (le famiglie).
Peggio di così...

Caroli ha detto...

Professoressa Caneva, ma quelle famiglie (famiglie???) credono davvero che, poi, (è il "poi" che è il mio quotidiano, l'industria) qualcuno avrà del tempo da perdere con degli imbecilli nullasapienti e nullafacenti come quelli che Lei ha descritto? Ci saranno personaggi che si sono sudata una preparazione come si deve, in scuole ed università libere dal pedagoghese e da caricature di presidi come quello che Lei ha incontrato. E questi personaggi faranno le scarpe, come si suol dire, ai vezzeggiati cocchini che le sono costati il contratto. In particolare, in circostanze storiche come la presente, dove o si hanno certi attributi, oppure...