Fortunato chi, avendo vissuto buona parte della vita nel Novecento, è riuscito a non farsi contagiare neppure un po’ dalla malattia del totalitarismo. Quantomeno quel che importa è aver appreso la lezione il cui nucleo più importante è evitare il radicalismo, la tendenza a vedere il mondo in bianco e nero, a pensare che la ragione stia tutta da una parte sola e, di conseguenza, a rendersi disponibile ad arruolarsi in qualche esercito votato alla distruzione del “nemico”. I fanatismi del Novecento ci hanno indicato la necessità di praticare la virtù della tolleranza e dell’uso della ragione e a diffidare di ogni forma di estremismo, non soltanto di quelle dei classici totalitarismi – comunismo, nazifascismo – ma di qualsiasi estremismo: anche un liberismo fanatico può essere pericoloso. Tolleranza e ricerca delle sfumature quindi, ma proprio per questo non si può non essere severi e intransigenti nei confronti di coloro che non hanno appreso la lezione e che insistono a voler avvelenare il mondo con il loro fanatismo.
Questa premessa per dire che il premio Nobel recentemente defunto, José Saramago, rappresenta il modello di questo impenitente fanatismo ed evoca in me l’immagine di quei neonazisti che coltivano la memoria del Reich raccogliendone i cimeli in casa. Chi è stato comunista o fascista può avere delle ragioni da accampare per la propria scelta ed è giusto cercare di comprenderle razionalmente, ma quel che è insopportabile è che continui a difendere l’indifendibile. Qualcuno si aspetterà che detesti Saramago per le sue posizioni contro Israele e gli ebrei, ma dirò piuttosto che è la rivendicazione ostinata e assolutamente acritica del comunismo che trovo disgustosa.
Egli raccontò di aver letto una frase di Marx ed Engels nella “Sacra Famiglia” che fu per lui come la via di Damasco, quel che lo spinse a credere che soltanto il comunismo avrebbe potuto soddisfare i suoi aneliti di giustizia. La frase era: «Se l’uomo è formato dalle circostanze, allora bisogna formare le circostanze umanamente». Fin qui nulla da dire. Possiamo accogliere questa come una descrizione delle motivazioni che hanno condotto tante persone in buona fede nel seno del comunismo.
Ma molti anni dopo, di fronte a un Bernard Pivot che voleva sapere perché continuasse a essere comunista dopo gli errori, i disastri e i crimini del sistema sovietico, rispose di essere un comunista «ormonale» e che il suo rifiuto di rinnegare il comunismo era un «non possumus» biblico. «Ho osato scrivere che il socialismo – e a maggior ragione il comunismo – è uno stato dello spirito. Continuo a pensarlo. E la realtà si incarica giorno dopo giorno di darmi ragione».
Lasciando da parte questa ridicola manifestazione di vanità, ci si chiede quale senso morale animi chi, alla memoria di milioni di morti trucidati in nome di un principio di igiene sociale, opponga un gelido «non possumus». In questa sordità morale c’è tutta la ferocia dell’ideologia stalinista. E qual è la coerenza tra il «non possumus» e la luce che illuminò Saramago sulla via della sua Damasco? Forse il gulag fu un modo di «formare le circostanze umanamente»?
Come stupirsi allora che una persona di un simile livello intellettuale e morale abbia detto che Gaza è peggio di Auschwitz (da cui, come è noto, gli ebrei lanciavano razzi sulle città tedesche); e che gli ebrei «hanno superato i maestri» e non meritano più «comprensione per le sofferenze patite durante l’Olocausto»? Come stupirsi che abbia detto che «Geova, o Jahvé, o comunque si chiami, è un dio astioso e feroce che gli israeliani mantengono permanentemente aggiornato»? È lui ad aver superato il maestro: persino Stalin riuscì ad essere antisemita senza ricorrere all’arsenale dell’antigiudaismo religioso.
(Tempi, 7 luglio 2010)
(Tempi, 7 luglio 2010)
8 commenti:
Fanatici stupidi alla Saramago ce ne saranno sempre, se si pensa al "legno storto" kantiano o alla Genesi. Quello che non si può tollerare è che a un simile figuro sia stato assegnato un premio prestigioso a livello mondiale. C'è da meravigliarsi che non l'abbiano dato pure all'autore del Mein Kampf. Ma forse in quei tempi le giurie del Nobel erano più rispettabili di quelle dei nostri giorni.
Ero già al corrente che Saramago fosse riusciuto a definire la natura della sua militanza comunista "ormonale". A questo proposito, in un commento sulla mia bacheca facebook al seguente articolo di Paolo Flores D' Arcais
http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2500922&yy=2010&mm=06&dd=19&title=saramago_luomo_che_chiamavabrl
mi sono permesso di prendere in considerazione l' ipotesi che le opinioni politiche dello scrittore, così pervicacemente radicali, fossero in realtà solo conseguenze di certe disfunzioni ormonali. Sperando sinceramente di non essere scivolato nell' ironia di cattivo gusto, volevo chiedere al prof. Israel e a tutti i frequentatori del blog se hanno notato anche loro l' unanime peana intonata all' attivismo politico "illuminato" e "illuminante" di Saramago su tanti giornali e blog (a fronte di scarsissimi riferimenti alla sua letteratura e al suo stile). Come possano esserci persone anche molto istruite e stimate che mantengono immutate in anni e anni la nostalgia per certe visioni ideologiche è per me, tutto sommato, ancora un mistero. Comunque è come dice Flores D' Arcais: lo scrittore era "uomo che chiamava le ingiustizie (degli altri) per nome".
P.S.: Myosotis, però bisogna anche ricordare che il premio nobel vinto da Saramago è per la letteratura e la sua letteratura è infatti piaciuta a molti; sarebbe stato corretto da parte della giuria assegnare il premio ad un altro solo per le opinioni politiche del candidato? Riguardo all’ autore del Mein Kampf, mi sembra d’ aver letto (quindi non garantisco nulla) che il suo nome venne proposto per una candidatura, ma non se ne fece niente.
Io sono uno dei pochi "ritardatari" del '900 che ho avuto la fortuna di evitare il contagio dalla peste marxista. E sapete a chi debbo la vaccinazione anti-totalitaria? A quel grande giornalista che fu Mario Pannunzio e a tutta la vecchia guardia del suo Mondo, a cominciare da Arrigo Benedetti e finire con Ennio Flaiano. Entrai per caso in contatto con loro che avevo appena diciannove anni!
Nobel uno così? Povero Solzenicyn, in simile compagnia. Credevo che il danno al premio Nobel si chiamasse solo Dario Fo; mi accorgo che ce ne sono altri.
Per parte mia, proporrei il Nobel a Salman Rushdie, se non l'ha già ottenuto.
"...sarebbe stato corretto da parte della giuria assegnare il premio ad un altro solo per le opinioni politiche del candidato?" si chiede il sig. Marinelli. Forse no. Però domandiamoci anche: avrebbe vinto il premio se avesse espresso simpatie, chessò, per Francisco Franco o per Pinochet? Mi sembrerebbe ingenuo crederlo.
Mysotis cercando di fare un esempio ha prospettato un fatto reale: Jorge Luis Borges fu candidato al premio per oltre vent'anni e non lo vinse mai proprio per le sue simpatie conservatrici, e un anno gli prospettarono una sorta di ultimatum: non vada in visita in cile e avrà il premio.
La sua risposta? "Un altro buon motivo per andare in Cile".
La ridicolezza del Nobel era già chiara allora alle persone intelligenti.
Per qualche motivo ci si aspetta che uno scrittore di talento (a differenza, per esempio, da un grande fisico) abbia una speciale comprensione delle cose umane e sia, quindi, tendenzialmente buono e ragionevole: la storia dimostra che non è così, e un lettore onesto apprezza il valore letterario di un autore indipendentemente dalla sua caratura morale o dalle sue convinzioni politiche, per quanto grottesche esse siano (tutti a leggere Céline!). Quanto all'adesione al comunismo e alle forme che essa ha preso dopo la fine del comunismo stesso, l'ostinazione ingenua e vanitosa del fu Saramago non è poi più perversa di certe mutazioni: mi permetto di segnalare un mio pezzo sul tema (http://lospecchiodinigromontanus.blogspot.com/2010/06/il-male-radicale-e-i-gusci-dei.html), che sfacciato...
Camilleri ha in comune con Saramago non solo l’età e il mestiere di scrittore, ma anche il credere ancora nel comunismo. Lo dice sull’Unità del 16/7 con questi argomenti:
“Certo che molte cose del comunismo, nella sua attuazione pratica, sono state sbagliate e si sono trasformate in errori tragici proprio nel conteggio di vite umane. Ma continuo a ritenere che l’aspirazione all’uguaglianza, al diritto uguale per tutti sia il dettame più cristiano che io abbia mai sentito, cristiano non cattolico. Purtroppo è un’applicazione terrena e quindi destinata a errori enormi, a sparire non saprei. Perché molti di quei princìpi sociali che erano alla base del comunismo sono entrati quasi senza avvertimento in certe visioni dello Stato sociale, della cura delle persone… Tante cose che nel primo Novecento non erano neppure ipotizzabili si sono insinuate, perché necessarie nel cammino sociale degli uomini. Non era un’utopia.
È stata consumata e voltata in utopia proprio perché si è mal realizzata. Quando noi ci troviamo di fronte alla rivoluzione comunista in Cina, e dalla fame assoluta riesce a dare una scodella di riso a tutti, che cos’è questo se non un passo avanti nel vivere insieme di tutti gli uomini? Il comunismo è una perdita di libertà, perché si manifesta come dittatura. E questo è inevitabile. È possibile ipotizzare un comunismo senza dittatura? Pare che non sia possibile. Io credo che lo sia.”
E ci crede perché il futuro ci riserba tali disastri che l’uomo dovrà volontariamente ricorrere a pratiche solidali per non perire.
Ora già questa è un ammissione che il comunismo per avere (forse!) possibilità di successo deve essere applicato in circostanze eccezionalmente negative, altrimenti i popoli non lo accettano. Come d’altra parte accettano il cristianesimo solo a parole, se si cercasse di imporlo nei fatti ci vorrebbero dittature anche per quello, come avviene in Iran.
L’uomo semplicemente non è fatto per queste rispettabili utopie e chi ci crede ancora.. non so come faccia, forse perché son troppo belle per NON essere vere.
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