«Quando giunsi all'Institute of Advanced Study di Princeton – raccontava nel 1964 il premio Nobel per la medicina Albert Szent-Györgyi – speravo che gomito a gomito con quei grandi scienziati atomisti e matematici avrei appreso qualcosa sulla “vita”. Appena dissi loro che in ogni sistema vivente vi sono più di due elettroni, i fisici smisero di parlarmi. Con tutti i loro calcolatori, non potevano neppure dire cosa avrebbe fatto il terzo elettrone».
Szent-Györgyi non faceva che descrivere in modo sarcastico la consapevolezza dei fisico-matematici dei limiti di previsione della loro disciplina. Fin dalla fine dell’Ottocento è noto che in meccanica classica non si può prevedere in modo esatto la dinamica del moto di più di due corpi celesti. Non solo. Per fare questa previsione occorre conoscere i dati che definiscono lo stato iniziale del sistema. Ma può accadere che una perturbazione anche minima di quei dati conduca a prevedere un’evoluzione completamente diversa e, siccome la determinazione dei dati è inevitabilmente soggetta a errori, la previsione sul medio-lungo periodo è inattendibile. Poi ci si è resi conto che anche i modelli matematici usati per prevedere i fenomeni atmosferici sono soggetti a questa “patologia”, il che spiega come mai le previsioni meteorologiche sul medio e lungo periodo siano inattendibili. Ma anche nel caso del sistema solare si è calcolato che oltre i 100.000 anni le previsioni perdono valore.
Un altro esempio. Fin dal Settecento si è tentato di dimostrare che il sistema solare è “stabile”, nel senso che mai potrà accadere che uno dei suoi pianeti scappi via perdendosi nell’universo oppure che due pianeti entrino in collisione. Ebbene, una dimostrazione completa dell’impossibilità di simili spiacevoli eventi non esiste, salvo un risultato in questa direzione, un teorema estremamente complesso alla cui dimostrazione ha contribuito in modo decisivo Vladimir I. Arnold, uno dei massimi matematici contemporanei. Mal visto dal regime sovietico, dopo la caduta del Muro si trasferì a Parigi, dove è morto di recente, quasi ignorato dai mezzi d’informazione.
Insomma, quanto precede per dire che sono noti i limiti di previsione nel campo dei fenomeni fisici. Eppure in questo contesto la situazione è relativamente “semplice”: Giove non cade in crisi depressive per la morte di una moglie che non ha, le nuvole non divorziano, non si è mai vista una pietra far figli e Venere (il pianeta) non va incontro alla menopausa. Ciononostante, ci si racconta quotidianamente che, in contesti enormemente più complessi e soggetti a influssi esterni ed evoluzioni interne imprevedibili, gli scienziati sono in grado di prevedere tutto. Un giorno si annuncia la scoperta di un metodo con cui determinare la data esatta in cui una donna avrà la menopausa. Un altro giorno si annuncia la scoperta di un metodo con cui determinare chi sarà centenario, oppure individuare chi avrà il mal di schiena. Quanto alla felicità, non so se sia noto che il suo decorso è assolutamente determinato: secondo una vasta letteratura “scientifica” la felicità è “convessa”, U-shaped, a forma di U. In parole povere, sarete felici all’inizio e alla fine, mentre in mezzo vedrete il peggio.
È fin troppo facile, quasi maramaldesco, infierire sulle assurdità che inficiano queste “previsioni”. È poco serio fare previsioni sulla data d’inizio della menopausa di una donna, indipendentemente dal fatto che costei si sposi oppure no, che abbia figli e quanti, che subisca aborti, che la sua vita sia felice oppure no, che abbia altre malattie e vada incontro a eventi che, come questi, possono avere influssi determinanti sulle sue funzioni ormonali. Si tratta di esercizi inutili, e anche poco commendevoli, se servono a fabbricare credenziali di produttività scientifica. E che senso ha fare previsioni circa il futuro mal di schiena di una persona indipendentemente dalle sue abitudini di vita – se sarà sedentario oppure no, se farà il mestiere del sarto o quello del taglialegna – e dalla sua inclinazione a “somatizzare” i dispiaceri della vita? È fin troppo facile, ripeto, andare alla ricerca dei fattori perturbativi che rendono queste previsioni senza senso, inutili, fuorvianti, e colpevoli di diffondere un’immagine mitica e magica della scienza.
Sappiamo bene qual è l’autodifesa. Si proclama di voler fornire previsioni circa il futuro di un individuo sulla base della sua struttura genetica indipendentemente dai fattori perturbativi del tipo di quelli sopra descritti. Questo sarebbe conforme al metodo scientifico della fisica galileiana. Occorre “difalcare gli impedimenti”, diceva Galileo, ovvero descrivere il moto dei corpi prescindendo dall’attrito e da caratteristiche particolari e inessenziali, come il colore. Il piccolo dettaglio è che in fisica il metodo funziona, perché gli “impedimenti” sono effettivamente marginali: e quando non lo sono si sa spesso come tenerne conto. Invece qui non funziona perché i fattori marginali sono per lo più essenziali, e molto spesso persino predominanti. La predisposizione genetica è uno dei tanti elementi determinanti, ma non è né l’unico né il principale.
Ma anche se si potesse considerare l’individuo come un corpo isolato e considerare la sua evoluzione in modo puramente interno, il ragionamento che è alla base di quelle previsioni è viziato alla radice. Difatti, esso si basa sul principio secondo cui “tutto è genetico”. Ma questo principio è falso: lo hanno mostrato tutte le scoperte e le acquisizioni delle genetica contemporanea, a partire dal successo della clonazione degli animali. Eppure questa premessa “scientificamente” falsa viene data continuamente per vera: altrimenti bisognerebbe ammettere che tutte quelle “previsioni” non sono altro che osservazioni di importanza marginale.
Inutile dire che la colpa di questa disinformazione non è dei mezzi d’informazione ma degli pseudo-scienziati che producono una valanga di notizie sensazionali di fronte alle quali è difficile destreggiarsi. Fa quasi pena vedere un giornale riportare con clamore la notizia che si nasce centenari e poi commentarla spiegando che i centenari abbondano in Sardegna in virtù dei vantaggi dell’ambiente rurale e a Trieste per il buon sistema di welfare. Ma non era una faccenda puramente genetica?
Ora leggiamo che uno scienziato ha scoperto come andare indietro e avanti nel tempo. Non si trova neppure la forza per avanzare le cento osservazioni e riserve sul modo avventuroso con cui vengono manipolate questioni tanto sottili. E anche qui fa pena il povero giornalista costretto addirittura a riferire che questa scoperta permetterebbe di risolvere uno dei problemi più ostici dell’ultimo secolo scientifico: la conciliazione tra relatività einsteiniana e meccanica quantistica.
Non stupisce che certi “scienziati” si comportino così, annunciando grandi “scoperte” e “risolvendo” problemi epocali sulla pubblica piazza. Sono della stoffa di coloro che annunciarono di essere prossimi alla scoperta del vaccino per l’Aids. Sono passati dieci anni. Qualcuno ha visto quel vaccino? Anzi, si è ammesso a denti stretti che realizzarlo era teoricamente impossibile. Nel frattempo, c’è chi ha ottenuto notorietà e quattrini.
Povero Arnold. Dopo aver dovuto rinunciare alla medaglia Fields per l’opposizione del regime sovietico viene ignorato pure dopo la morte, mentre i chiassosi scopritori di pietre filosofali assurgono agli onori delle cronache. E poi c’è chi straparla di cultura scientifica e, invece di rimboccarsi le maniche a divulgare le scoperte di un vero scienziato, propaganda come “scienza” queste sceneggiate.
(Il Giornale, 30 luglio 2010)
10 commenti:
La divulgazione scientifica seria sarebbe davvero una bella cosa, certo aiuterebbe una maggiore diffusione di un minimo di cultura scientifica (e non solo!), ma non disperiamo e ognuno di noi cerchi di fare quel che può fare :)
grazie dell'articolo
cordiali saluti, Fabio Milito Pagliara
Trovo sconcertante che sullo stesso giornale e a poche settimane di distanza possa essere pubblicato un articolo serio e fondato come questo sui limiti della scienza, e una terribile bufala, spacciata per vera in prima pagina, sul "raggio della morte" di Marconi.
http://attivissimo.blogspot.com/2010/07/il-raggio-della-morte-di-marconi.html
Nei panni d'un lettore medio cosa si potrebbe pensare, che il mondo è bello perchè è vario?
Leggendo questo suo articolo,Professore, non ho potuto fare a meno di pensare a quale sarà il concetto di Scienza propalato dai mass media tra qualche lustro. Quando la platea dell’audience sarà praticamente priva di cultura umanistica,quando ben pochi avranno letto, non dico Sofocle - così antico - ma almeno Dante, per non parlare della Bibbia.In compenso rimarrà, ne sono certo, la dose giornaliera dell’ immancabile oroscopo.
La “Scienza” sta diventando una nuova “fede” materialista e universale, con i suoi “simboli”e i suoi Santoni, assolutamente priva di etica.
A volte, scherzando, dico che mio bisnonno Luigi ha sfiorato la novantina, mio nonno Vincenzo se n'è andato a 63 e mio padre Aldo è morto a 89. Io ne ho 54, dovrei essere quello "corto", ma è ovvio che è uno scherzo. Anche perché, se è vero quanto sopra da "parte di padre", è del tutto falso da "parte di madre", dove 83 sembra una cifra fissa. Allora? Cerchiamo di essere seri, e di non fare previsioni. Altrimenti diventiamo tutti patetici servi dei vari enalotti. Pardon, diventano. "Vince assai chi non gioca mai".
In realtà sarebbe interessante sapere quale "atomista e matematico" abbia fatto credere a Szent-Györgyi di saper prevedere il comportamento anche del secondo elettrone. G.E. Brown, citato in Mattuck, A Guide to Feynman Diagrams in the Many-Body Problem, riassume l'opinione corrente già allora: «In eighteenth-century Newtonian mechanics, the three body problem was insoluble. With the birth of general relativity around 1910 and quantum electrodynamics in 1930, the two- and one-body problems became insoluble. And within modern quantum field theory, the problem of zero bodies (vacuum) is insoluble. So, if we are out after exact solutions, no bodies at all is already too many!».
Dal punto di vista classico, macroscopico il problema dei due corpi è risolto. Evidentemente si faceva riferimento a questo punto di vista e non trovo nulla di male che si sia detta una cosa simile. Quando si parla del problema degli n corpi si fa sempre riferimento al punto di vista classico. Inoltre l'idea di irresolubilità dal punto di vista classico è diversa da quella dal punto di vista quantistico. Il passaggio citato è più una boutade che altro.
Ai tempi che vanno dai Regimontano e dei Fiponacci, fino a quelli di Pacioli, Cardano, Tartaglia, Scipione del Ferro e oltre, fino a quella vera e propria rete “web” gestita da Mersenne, c’era una vivace attività di sfide feroci tra scienziati sui problemi posti alla frontiera. Gli scienziati erano pochi allora, e quelle sfide si svolgevano forse nei chiostri conventuali o sui sacrati delle chiese. Comunque anche allora penso che l’audience fosse elevato. Oggi la televisione e il portatile sono entrati nei salotti. Addirittura si pensa che la tecnologia digitale trasformerà le salette dei multisala in salotti aperti, dove il pubblico potrà partecipare alle scelte della regia. Si potrà così realizzare la fantasia del Contrafactus preconizzata da Douglas R. Hofstadter e modificare a piacimento della platea l’esito dei Mondiali o, chissà,forse anche quello delle elezioni.
chirdo scusa per l'errore:non Fiponacci ma Fibonacci
Il mondo della biologia e delle scienze della vita sembra progredire sempre più decisamente verso un riduzionismo sistematico, secondo il quale ogni aspetto della vita, anche il più sfuggevole ad ogni definizione, quali quelli legati alla mente, alla coscienza, al senso etico, si può spiegare in termini di geni, di DNA, di proteine; insomma un po’ di biochimica ben maneggiata può spiegare tutta la complessità della vita.
E così, mentre la fisica sa ben scrivere le equazioni che descrivono l’atomo (così mettiamo fuori questione la fisica classica e il problema dei tre corpi), ma non le sa risolvere se non per l’atomo di idrogeno, la biologia sembra trionfalmente avviata verso la capacità di risolvere problemi di complessità astronomicamente maggiore.
La gente sembra digerire di buon grado queste panzane, perché “lo dice la Scienza”; salvo che il progressivo discredito che ha la scienza (tutte le scienze) nell’opinione pubblica, testimoniato dal continuo diminuire delle iscrizioni alle facoltà scientifiche, dipende, ne sono convinto anch’io, da questa marea di informazioni “scientifiche” che vengono falsificate nel giro di pochi giorni (ma spesso le falsificazioni non hanno la stessa risonanza delle affermazioni).
Mi sembra che la biologia si trovi in una strana posizione; da un lato in questi anni è probabilmente la scienza in più rapido sviluppo, dall’altro sembra soffrire di un deficit di strumenti e modelli matematici, ed è certamente vero che la formazione fisica e matematica dei biologi è modesta. Ora, se è vero che «Non vi è scienza di un oggetto se questo oggetto non ammette la misura. Ogni scienza tende alla determinazione metrica attraverso la definizione di costanti o invarianti» (cito una sua citazione di Georges Canguilhem), allora la biologia (o almeno alcuni suoi rami) ha qualche problema. Non le negherò di certo lo status di “scienza”; dico però che talvolta è troppo qualitativa, o che fa affermazioni perentorie (come quelle da lei citate) non supportate da argomenti che meritino di essere definiti scientifici.
È noto che Zicchichi, invece, nega la dignità di “scienza” all’evoluzionismo proprio per il fatto che esso manchi di modelli matematici. Odifreddi gli dà del “balzano” ricordandogli che la prima legge matematica dell’evoluzionismo (legge di Hardy e Weinberg) ha compiuto da poco cent’anni. In realtà, a ben guardare le cose, verrebbe da dare ragione a Zicchichi, perché la legge di Hardy e Weinberg spiega la stabilità degli alleli, anche recessivi, in una popolazione in equilibrio (c’entra ben poco, quindi, con l’evoluzionismo, che si ha in assenza di equilibrio), e per di più questa legge, dal contenuto matematico molto modesto, ha avuto bisogno di un matematico per essere formulata, perché i biologi da soli non ci arrivavano. Hardy non ha mancato di esprimere il suo sconcerto per questo fatto, quando ha pubblicato il suo risultato.
Ma sono passati 102 anni; qualcosa sarà ben cambiato. Però un fatto accadutomi qualche mese fa mi indurrebbe a pensare che le cose non siano poi cambiate molto.
(contunua al prossimo commento)
(continua dal commento precedente)
Il fatto è questo. Ho dovuto leggere la tesi di uno studente di fisica, di indirizzo biofisico, che ha svolto una serie di misure sull’elettroporazione (una tecnica per indurre, mediante l’applicazione di campi elettrici, dei microscopici pori temporanei sulla membrana cellulare, in modo da permettere il passaggio nel citoplasma di macromolecole, quali farmaci o frammenti di acidi nucleici). Lo studente, meritoriamente e comprensibilmente, ha premesso alla presentazione del suo lavoro di laboratorio una sintesi dei suoi approfondimenti sugli aspetti teorici del problema affrontato. La prima formula che scrive esprime il potenziale di membrana di una cellula immersa in un campo elettrico uniforme. Convinto che sia frutto delle sue elucubrazioni (non riporta alcun riferimento!), gli faccio notare che la formula deve essere sbagliata: non contiene nessuna dipendenza dallo spessore della membrana e contiene invece un’inverosimile dipendenza dal raggio della cellula. Lo studente ribatte che l’ha trovata in un articolo di una rivista scientifica specialistica. Mi faccio mostrare l’articolo, desideroso di vedere la dimostrazione di questa strana formula. Nell’articolo la dimostrazione non c’è, ma attribuisce la formula ad una precedente fonte. Inizio una mia ricerca della dimostrazione, e di citazione in citazione (incluse autocitazioni e citazioni circolari) arrivo fino ad un articolo del 1953 (!) dove una formula simile a quella incriminata è asserita senza dimostrazione e senza ulteriori citazioni. In compenso gli autori si prodigano in affermazioni altisonanti (“the transmembrane voltage is calculated by solving the Laplace partial differential equation”) a riguardo della soluzione di un problema (sfera conduttiva in campo elettrico uniforme) che è uno dei pochi che si risolve esattamente con tecniche elementari (è un esercizio canonico del corso di elettromagnetismo).
Altre frasi (“the analytical calculation do not apply in case of a charged membrane surface”) fanno dubitare che gli autori siano consapevoli che il campo elettrico è additivo (principio di sovrapposizione). Altrove, siccome il potenziale calcolato con la formula incriminata è assai più grande di quello che si misura (e di quello che si calcola come dico io), gli autori si soffermano sull’inadeguatezza del modello; cosa che in nessun modo, a mio avviso, può rendere ragione di differenze che arrivano a qualche ordine di grandezza.
Io sono basito! È pur vero che si tratta di un problema assolutamente accademico, perché il potenziale necessario a produrre gli effetti voluti viene determinato, a quanto ho capito, a tentativi, ma è del tutto incettabile e incomprensibile che degli studiosi, dei super-esperti, affrontino così un problema. Io sono un incompetente totale in biofisica e può essere (e quasi me lo auguro, ma non lo credo) che non abbia capito bene la questione, ma comunque mi resta incomprensibile come degli autori seri possano tramandare una formula dal 1953 senza sentire il bisogno di cercarne una dimostrazione. E le riviste, i referee, che ci stanno a fare?
Lei ha tutte le ragioni di combattere contro i modi con cui si fa scienza in piazza, ma se questo è il modo con cui si fa scienza in accademia, cosa ci si può aspettare di meglio in piazza? Se trattano così un problema semplice, che credito possono vantare sui problemi davvero complessi?
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