La maestra entra in classe e chiede il congiuntivo presente del verbo “cantare”. «Che io canti…» rispondono subito alcuni bambini. «No! – grida la maestra – si dice “che io canta, che tu canta, che egli canta”». «Ma signora maestra…» protestano alcuni. «Silenzio! È così! E mettetevelo bene in testa!... Che io canta, che tu canta, che egli canta…».
È un episodio autentico che dice molto di più dello stato della scuola elementare italiana delle statistiche Ocse-Pisa o di altri costosi sondaggi. Ma coloro che con quelle statistiche vogliono consolarsi e riproporre la solfa che la nostra scuola primaria è la migliore del mondo, se la cavano dicendo che quel che conta sono le analisi “scientifiche” – anche se basta niente per vedere quanto siano poco scientifiche – e che non si ricavano giudizi dagli episodi isolati. Isolati un accidente, per chi non viva con i paraocchi. Casomai va detto che i bambini di quella classe sono pronti per entrare nel novero degli affetti da Dsa (Disturbi specifici di apprendimento) e per fruire – a norma della nuova legge approvata con un’unanimità trasversale degna di miglior causa – di percorsi didattici semplificati, di sussidi e di orari di lavoro flessibili per i genitori.
Alcuni genitori sono inorriditi dagli exploit di quella maestra – come della sua collega che detta «oggi la maestra ci ha imparato» o di un’altra che pretende che si calcoli il perimetro di un triangolo di cui sono noti soltanto base e altezza – altri invece la difendono. Si dividono anche nel giudizio sulle attività alternative che invadono la scuola come una gramigna: alcuni favorevoli a quelle ludiche («poveri figli, studiano già tanto…»), altri che vorrebbero attività che sviluppino le loro capacità mentali e la loro cultura. Perciò questi ultimi salutano con favore il progetto di alcune uscite da scuola per rappresentazioni teatrali. Non è questa una delle vie maestre per sviluppare la fantasia e le capacità creative dei bambini? «Io ero un pirata…», spiega il bambino a chi gli chiede il tema del suo gioco. “Ero” e non “sono”, tanto è forte la propensione infantile al racconto, a collocarsi nel mondo fantastico della narrazione. Di questa tendenza naturale – che costituisce la base migliore non soltanto per sviluppare la passione per la letteratura ma anche per la storia – fa parte la straordinaria capacità che i bambini hanno di immedesimarsi nei “personaggi”. È quella capacità che gli antichi Greci chiamavano “mimesis” e che è il fondamento del teatro, e più modernamente del cinema: ma il teatro ha la virtù di essere dal vivo. E allora, evviva il programma di uscite teatrali. Pazienza per la grammatica, che almeno si appassionino al teatro, alla letteratura.
Poi arriva il programma. Povero illuso chi si aspettava una rappresentazione teatrale propriamente detta. Una compagnia di teatranti assoldati allo scopo ha preparato rappresentazioni sul tema… della formazione del senso civico e della convivenza sociale… Insomma, un predicozzo ispirato al più noioso e insulso politicamente corretto, nello spirito dell’educazione di stato volta a sviluppare quelle che sono state ineffabilmente definite come le “competenze della vita”. Del resto, visto che si ripete tutti i giorni che le “conoscenze” non sono importanti, che non è rilevante che uno studente “sa” che esistono infiniti triangoli di base e altezza data (e quindi che è assurdo chiedere di calcolarne il perimetro) di che stupirsi? Dopo la lezione di ignoranza, tutti a teatro, ma non per assistere, che so, a una commedia di Goldoni, magari adattata per bambini, ma per sorbirsi una predica in salsa zapaterista.
15 commenti:
"Mamma mia, arrivano i..." somari. Ma quelle povere bestie non hanno,anzi non conoscono la sicumera di certi insegnanti. Purtroppo non si vedono rimedi efficaci al degrado ormai sceso ben oltre al livello di guardia. L'ortografia poi rotola ormai senza ritegno alcuno, "xke" mi "kiedo": come se la caveranno questi ragazzi con quella inglese?
A proposito delle statistiche, avevo già segnalato che non dimostrano affatto che la scuola italiana è una delle migliori del mondo: c'è un calo progressivo di qualità che è evidente al di là degli strafalcioni di qualche collega e si legge anche nelle indagini nazionali e internazionali, a saperle consultare. Senz'altro è anche un problema professionale: la selezione del personale è discutibile e i corsi di laurea in scienze della formazione primaria non hanno migliorato moltissimo le cose, sfornando insegnanti laureati ma poco preparati nelle conoscenze disciplinari e sprovvisti di alcuni rudimenti metodologici necessari; ovviamente senza generalizzare. Ma è anche un problema di strumenti e di finanziamenti, sui quali non mi dilungo perché si andrebbe troppo lontano; e di clima generale in senso più culturale e perfino lessicale: il passaggio da abilità e conoscenze a competenze, per esempio, su cui si potrebbe discutere all'infinito; o da istruzione a "formazione"(?), entro il cui alveo rientrano tutte le attività segnalate dal professor Israel, dal teatro all'educazione emotiva. In sostanza, la scuola ha smarrito negli ultimi anni il senso del suo compito (mission, si dice adesso), che invece era chiarissimo un tempo. Anche per questo si fa fatica ad affrontare le difficoltà di apprendimento, in troppi casi spacciate malamente per DSA per sopperire alle carenze strutturali e professionali.
Cordialità, Vincenzo Manganaro
Caro Israel,
l'episodio da Lei citato sul congiuntivo di cantare è divertente. E' davvero rappresentativo della situazione della scuola elementare?
Ho un figlio che l'ha appena lasciata ed è stato ben più fortunato, simili orrori non gli sono capitati. Certo, ho avuto l'impressione che la sua preparazione, confrontata con quella che ebbi io, sia comunque più debole in certe materie di base, come l'italiano (ah, i riassunti!), la geografia e la storia, mentre appare più ampia per la lingua straniera e le scienze, e abbastanza equivalente per l'aritmetica e la geometria.
Anche le attività extra-scolastiche non sono state del tenore che Lei denuncia; ho visto ore ben spese nel far preparare agli alunni spettacoli corali e strumentali, con buoni risultati, nonché ore aggiuntive di lingua fatte ad un livello onesto.
Persino la cultura religiosa gli è stata insegnata in modo non distorto; di certo ha imparato su buddismo, ebraismo e islam ben più di quanto sapessi io, ai suoi anni.
Da profano, sulla base di questa esperienza, avevo quindi derivato l'illusione (speranza?) che la scuola elementare fosse tutto sommato ancora in grado di insegnare a "leggere, scrivere e fare di conto" a un livello decoroso; che insomma le lacune che anch'io constato all'università derivassero da medie e superiori.
Quel che Lei scrive invece tende a demolire questa mia illusione; scopro in mio figlio un privilegiato!
Poiché capisco che Lei cita degli episodi, ma che ha buoni motivi per affermare che non sono isolati, Le vorrei allora chiedere se esistono studi ampi e attendibili sulla qualità delle primarie italiane.
Mi interesserebbe soprattutto accedere a dati organizzati su base regionale, per verificare se, come sospetto, vi siano o meno situazioni più critiche in certe aree. Informazione che sarebbe interessante per capire quanta parte dei guasti deriva da errori generali, ad esempio sui programmi, e quanto da contingenze locali, legate al reclutamento degli insegnanti o a un più debole retroterra culturale famigliare.
A tale riguardo, i test "invalsi" dicono qualcosa di utile sullo stato delle elementari?
La ringrazio, cordialità
Andrea Viceré
Proverei a selezionare dalla lucida analisi di Vincenzo Manganaro sui "mali della scuola" i punti "solidi" dagli "aeriformi". Mi spiego: è innegabile che la scuola ha smarrito la sua "mission" e che il clima generale, culturale e lessicale, è sfavorevole e confusionario, non vedo, tuttavia, come si possa intervenire su questi punti che sono sfuggenti, aeriformi appunto. Molto più proficuo, a mio avviso, è il confronto dialettico sulla formazione degli insegnanti e sul problema degli strumenti e dei finanziamenti dove le cose da dire sono tante (spero di dirle in un prossimo post) e ci porteranno senz'altro lontano. Cordialmente Mignucci Ermete
A Andrea Viceré.
Valuti i dati più "oggettivi" di tutti: la qualità delle indicazioni nazionali per le primarie (che indicano cosa e come si dovrebbe insegnare e cosa e come lo studente dovrebbe apprendere e la qualità dei libri di testo di matematica. Per il primo, basta leggerseli, per il secondo, occorre farsi una rassegna sufficientemente ampia dei testi più in uso. Il risultato: un autentico disastro. Come è possibile che possa uscire qualcosa di buono da un materiale simile? Gli stessi insegnanti, per quanto buoni, sono condizionati da un simile materiale. Quale opera bisognerà fare, e quanto ci vorrà, per sradicare visioni fasulle dei numeri, definizioni totalmente errate, concetti inutili se non fuorvianti, ecc? E lo stesso può dirsi per la storia e la geografia. E non dico altro.
Poi vi sarebbero le ricerche sul campo, gli studi ampi e attendibili di cui lei parla. Francamente io mi fido molto di più dell'esperienza, delle testimonianze dirette, di ciò che si raccoglie sul campo. Le cosiddette ricerche "attendibili" si basano su giudizi non meno soggettivi dei miei. Dei test non mi fido per niente. Bisognerebbe sottoporre a giudizio i test e coloro che li fanno. Allora, non si finisce mai? In certo senso sì, siamo nel campo di giudizi che hanno una forte componente di soggettività e l'unica cosa che si può fare è renderli più fondati che si possa combinando esperienza sul campo (in questa ci metta anche i giudizi dei professori delle medie sullo stato degli studenti che arrivano dalle primarie), e i dati più "oggettivi" di tutti che sono quelli che ho detto all'inizio.
A proposito di testimonianze dirette, sabato ho raccolto quella di una mia amica che insegna lettere al liceo da una vita. Ha corretto il primo tema dato in prima e l'ha trovato farcito di errori di ortografia, strafalcioni incredibili.
In consiglio di classe ha prospettato il problema e un collega di un'altra materia ha detto:"Che vuoi, son piccini..."
Al che è saltata su: "Piccini? Questi han scelto il liceo! E quella è roba da elementari"
Era ancora furibonda.
Siccome la conosco bene, so del suo buon senso e pure di molto realismo di fronte all'attuale condizione scolastica, non dubito che l'allarme e lo sconforto siano fondati.
Butto là un'ipotesi da valutare, tanto per sentire altre opinioni: ma non sarà che stanno arrivando al pettine i nodi di una formazione scolastica sempre più approssimativa dei nostri giovani, che si trasforma in insegnanti sempre meno adeguati che preparano studenti sempre peggiori e così via in una spirale catastrofica?
Per dire, nel nostro liceo è stato abolito il premio per la migliore traduzione dal latino che veniva attribuito da insegnanti in pensione: non trovavano più candidati all'altezza.
Gli insegnanti in servizio si sono adontati ritenendo che il giudizio si estendesse anche a loro, per il fatto che tali carenze non le avevano notate.
C'è anche di peggio. Ne ho scritto giorni fa a proposito di "spazzatura a Napoli":
"Sul Corriere della Sera di oggi, nella pagina dedicata agli scontri di Terzigno, c'era quanto ha dichiarato la sindaca a proposito della partita di calcio, giocata nel pomeriggio dal Napoli contro il Liverpool.
Ecco uno dei virgolettati pronunciati dalla sindaca Rosa Russo Jervolino, riferito ai tifosi inglesi: 'Speriamo che arriveranno calmi e non ubriachi'. La signora ha usato il futuro al posto del congiuntivo, peggio di quanto si scrive nel famoso libro 'Io speriamo che me la cavo'.
Faccio notare che Rosa Russo Jervolino è stata ministro della Pubblica Istruzione della Repubblica italiana. Ripeto: ministro della P.I.
C'è questa tendenza a “portar fuori gli alunni dalla scuola”. Le virgolette le ho messe perché è il titolo di un progetto presentato da una mia collega a un Collegio dei docenti. E' la retorica sempre più pressante della modernizzazione della scuola che incontra le istituzioni e, soprattutto, il territorio. Come se alla scuola mancasse qualcosa di essenziale, che va cercato fuori, e non fosse, essa stessa, istituzione. E' inevitabile il sospetto che questa tendenza nasconda il declino delle responsabilità dirette e una prassi omissiva, una vera e propria evasione dagli obblighi scolastici, quelli degli insegnanti. Quel “progetto” era allucinante: tutta una serie di portare a..., con una strizzatina d'occhio ai valori dell'educazione alla cittadinanza. Portare gli alunni a una seduta comunale, al tribunale, alla Provincia, e via dicendo e istituzionalizzando. Mi sono opposto com'era necessario in quel contesto, alla cafona: “E quando ve li tenete in classe 'sti ragazzi?”. Ho suggerito un progetto alternativo: educare alunni e insegnanti a star bene in classe. Mi hanno guardato come avessi fatto una proposta provocatoria e il progetto “portar fuori” è passato, ai voti, con corale ed accorata adesione. Risultato di una mia personale statistica, soggettiva sì, quanto serve: gli insegnanti con problemi di coniugazione del congiuntivo hanno una spiccata tendenza, una vera e propria passione, per il sociale.
D'altro canto, però, le incompetenze (è il caso di chiamarle così) non mi scandalizzano più: uno scandalizzarsi reiterato, alla fine, trasforma la pietra dello scandalo in pietra di paragone. Lo scandalo attivo è, piuttosto, quello delle competenze, di quelle amabilissime competenze con cui si vuol misurare la qualità di alunni ed insegnanti: una sorta di cappello, come quello di Pinocchio nel paese dei balocchi, che giova a nascondere le orecchie d'asino.
Sono completamente d'accordo. Il più grande scandalo è quello delle competenze.
Mi sembra singolare giustificare la "riforma" della scuola primaria con un presunto e isolato episodio. Insegno nella primaria dal 2001, sempre con supplenze, fornita di 4 diplomi, laurea, dottorato e altre amenità. Ma quest'anno si è deciso di lasciarmi a casa, perché la riforma Gelmini ha deciso che noi siamo solo sfaccendati in cerca di ammortizzatori sociali. Allora, facciamo una seria valutazione in entrata (e purtroppo le nuove prospettive di formazione iniziale, in questo, poco differiscono dalla SSIS...), ma poi non permettiamoci di continuare a buttare fango su una intera categoria, per poi giustificare i tagli e le approssimazioni pedagogiche di cui insegnanti, e soprattutto alunni, sono vittime inermi. Passi che le maestre sono una manica di ignoranti. La soluzione qual è? Ridurre le ore di lezione? Aumentare gli alunni per classe? Il suo discorso non regge...
Gent.ma antonella,
certo, si tratta di un caso isolato, ma pare che di situazioni simili se ne vedano un pò ovunque da qualche anno a questa parte. Se poi si guarda ai criteri (o meglio, spesso alla mancanza di criteri) con cui si è assunto nella scuola negli ultimi decenni, non ci si può neanche sorprendere più di tanto. A questo proposito penso che abbia ragione a parlare di "valutazione in entrata", ma spero voglia concordare con me sul fatto che molti aspiranti insegnanti e anche molti soggetti che oggi hanno voce in capitolo in fatto di scuola (o pretendono di averla) non sono affatto d' accordo. Parola d' ordine: assumete e basta!
Comunque sia, le dirò che una "soluzione", come la chiama lei, io non la ho, ma ho l' impressione di intravedere altre cose che non reggono. Come l' implicazione "riduzione delle ore di lezione" => "studenti più ignoranti". Anzitutto occorrerebbe specificare di che "lezioni" si sta parlando: di quale disciplina si tratta, come si svolge la lezione, ecc. Perché se la "materia" è "gestione dei conflitti sociali" (come mi è capitato di leggere di recente su un volantino di un ciclo di conferenze di pedagogia), allora le dirò che per me le scuole possono direttamente chiudere e ne guadagneremmo tutti. Se l' orario scolastico è farcito di tutte queste insensatezze, i tagli all' orario di lezione sono sacrosanti.
Per la verità una riforma si "giustifica" quando si prende atto di una situazione di difficoltà e si cerca di migliorare il sistema. Dal governo Berlinguer in poi i "riformatori" hanno cercato di contrastare un declino della scuola pubblica che è sotto gli occhi di tutti e fingere di non vederlo credo sia quantomeno ingenuo. Anche prescindendo dalle indagini internazionali basta stare per un po' in una scuola per rendersene conto, il che non vuol dire che non ci siano anche ottimi professionisti con curricula qualificatissimi a mandare avanti la baracca. Temo tuttavia che siano sempre meno, se fossero in numero maggiore sarebbe più semplice opporsi alle approssimazioni pedagogiche: in troppi casi le si subisce perché mancano alcuni fondamentali critici, culturali, metodologici, professionali. Il progetto della commissione Israel non mi era dispiaciuto, perché rimetteva al centro la qualificazione professionale di base dei futuri insegnanti, con un taglio promettente: spero che le Università sapranno realizzarlo al meglio perché continuo a pensare che abbiamo bisogno di docenti di qualità per ridare senso alle politiche dell'istruzione dei giovani che sono comunque il futuro del Paese. Sono più preoccupato degli spazi che stanno occupando le intenzioni del professor Abravanel: nella sua idea di scuola e di Paese futuro fatico a riconoscermi ma detto questo, nemmeno io ho le soluzioni, le cerco in classe giorno per giorno, come molti altri insegnanti. Quanto alle ore di lezione, è ovvio che non basta stare in classe per diventare "competenti": i nostri studenti ci stanno un'eternità di ore con profitto modesto fin dalla scuola primaria. La vera questione è "che ci si fa in classe": e qui ritorniamo ai professionisti che le gestiscono e al "come" le gestiscono, come nel gioco dell'oca. Solidarizzo con Antonella perché dei tagli della finanziaria alle scuole penso tutto il male possibile: ma le questioni non finiscono lì e temo che i tagli stiano diventando una sorta di foglia di fico dialettica che nasconde alcuni dei problemi più annosi.
Cordialità, Vincenzo Manganaro
Affermare, come fa Alessandro Marinelli, che “i tagli all' orario di lezione sono sacrosanti” è una bestemmia. I se e i ma non fanno la Storia, nevvero? I tagli non eliminano “le insensatezze”, ma ore di lezione di Italiano, Storia, seconda lingua, Educazione tecnica: questo, nella scuola secondaria di primo grado. In quella di secondo grado, altri tagli, anche per l'Italiano. Questi tagli sono un'operazione finanziaria e basta: non hanno nessuna possibile giustificazione sotto il profilo pedagogico. Non solo non risolvono le insensatezze, ma complicano, in maniera gravosissima, l'impegno di chi nella scuola vuole trasmettere contenuti e sapere e di coloro che vogliono educare.
Da insegnante di Lettere, in una classe, mi ritrovo, da due anni, ad avere, tra Italiano e Storia, due ore in meno alla settimana, che per un mese fanno otto, per dieci mesi ottanta. Sono ore tolte non a me, ma ai ragazzi, perché io devo “farne” sempre diciotto alla settimana, in più classi.
Vede, Marinelli, questa sottrazione di tempo è veramente la situazione più grave che io abbia riscontrato nei miei ventiquattro anni di insegnamento. Già, prima, c'era poco tempo a disposizione. Questa ulteriore sottrazione è un soffocamento. Con le chiacchiere sulle competenze, con le assemblee sindacali, con il sociologismo, tentano di soffocare, ma indirettamente, e si può sempre aggirare l'ostacolo, fregarsene e fare il proprio lavoro. Con i tagli al tempo, le mani sono direttamente, diabolicamente, alla gola.
Sasso nello stagno: io sono andato alle elementari (allora si chiamavano così) negli anni '80. Non nel ventennio fascista o all'epoca di Cicerone, solo vent'anni fa. Facevamo esattamente 24 ore di scuola alla settimana, con un'unica insegnante, e alla fine sapevamo tutti che il perimetro di un triangolo non si può calcolare conoscendo solo una base e un'altezza (quelli sono i dati per l'area) e che il congiuntivo di "cantare" è "che io canti etc." Ogni affermazione contraria a questa constatazione è, come dire, falsa (si può ancora dire "falso"?).
Egregio Prof. Israel, riconosco, come sempre la sua lucidità nell'inquadrare il fenomeno. Sia perlomeno contento del fatto di avere arginato, con la sua partecipazione alla stesura delle Indicazioni nazionali per i Licei, l'avvento del "facilitatore." Traspare,infatti, in modo evidente, dalla lettura dei risultati di apprendimento, delle competenze che, si badi bene, sono quelle disciplinari e non l'imparare ad imparare, progettare, ovvero le competenze di cittadinanza di fioroniana memoria, ed in modo netto, il ruolo indispensabile del maestro( nessun allievo, da solo, con le " mani in pasta" riesce a raggiungere quei risultati indicati) e dell'impiego dell'unico strumento fondamentale nel progettare un qualsiasi percorso didattico: la cultura ed i nessi tra cultura umanistica e scientifica.
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