Ormai è un coro: dalla crisi si esce soltanto rafforzando i poteri d’intervento dell’Unione Europea sulle politiche economiche nazionali. Lo proclama Barroso. Da noi, commentatori come Alesina e Giavazzi spiegano che la situazione è così grave che l’unica via d’uscita è estendere i poteri esecutivi dell’Unione Europea alla politica di bilancio e ai conti pubblici aggregati, pur ammettendo che questa sarebbe una rivoluzione. È indubbio che le opzioni sul tappeto suscettibili di effetti rilevanti richiedono un cambiamento dei trattati europei e di qualche costituzione nazionale e molti commentatori ammettono che questo non può essere fatto nel chiuso delle stanze di Bruxelles, Berlino e (al più) Parigi, perché i cittadini europei si rivolterebbero. Si tratterebbe di decisioni da ratificare per via elettorale in 27 paesi, con esiti incerti, e comunque con tempi tanto lunghi da essere incompatibili con la dinamica dei mercati.
È indubbio che è ormai allo scoperto il nodo centrale irrisolto della questione politica; il difetto costitutivo di un’Unione europea creata su basi solo economiche. Di fronte alla crisi più drammatica spicca l’assenza di forme di unificazione politica autentica, fondata sulla crescita di un sentimento comune dei cittadini europei. E, siccome le questioni in gioco sono eminentemente politiche, in fin dei conti l’Europa si rivela essere una costruzione in cui comanda il più forte (la Germania) con il supporto di una burotecnocrazia tanto potente e intrusiva quanto politicamente irresponsabile. È una situazione in cui i paesi più deboli sul piano politico vengono commissariati da quelle che il Times ha chiamato “giunte civili”. Da questo punto di vista, la dichiarazione del premier Monti davanti a Merkel e Sarkozy secondo cui l’Italia «farà i compiti a casa» è desolante e descrive in modo plateale una condizione di subordinazione umiliante.
Purtroppo vi un aspetto molto più serio e inquietante della faccenda. Proprio perché la condizione dell’Unione è questa l’idea di accrescerne i poteri d’intervento sugli stati nazionali può rivelarsi una fuga in avanti avventurosa e pericolosa; magari assortita dalla tentazione di procedere a un cambiamento radicale dei trattati europei, con scorciatoie che taglino fuori la volontà popolare: come si è visto, l’audacia in materia non difetta. Ma la domanda è: dare più poteri a chi? Senza un chiarimento radicale la risposta è: conferire poteri consolari alla Germania e a quell’eurocrazia che ha fabbricato questo disastro.
Sotto questo profilo conviene rileggere un passaggio di un discorso di Monti di alcuni mesi fa in cui egli affermò testualmente: «Non dobbiamo sorprenderci che l'Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti. I passi avanti dell'Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario.
È chiaro che il potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale, possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle perché c'è una crisi in atto, visibile, conclamata». È un ragionamento sconcertante, perché esalta il ruolo delle crisi in funzione di un obbiettivo che è considerato valido in sé e per sé, indipendentemente dal fatto che la crisi sia proprio il risultato di come è stato perseguito. C’è un che di “rivoluzionario” che non ci si attenderebbe da un tecnico: il fine giustifica i mezzi, anche imporre sofferenza a chi patisce le crisi; siano queste benvenute pur di rafforzare il potere comunitario. Perciò, c’è da temere che il vero programma del governo Monti sia questo e che i “compiti a casa” – non a caso ancora nebulosi – siano soltanto un mezzo per perseguire quel fine.
5 commenti:
Quella dei "compiti a casa" è un'espressione che ha fatto male pure a me e mi ha offeso.
Il problema è che, ammesso pure che una parte della sovranità nazionale venisse ceduta, essa verrebbe comunque ceduta a esclusivo vantaggio della nazioni più ricche.
E se l'Italia si lascerebbe pure sottomettere ("con la Francia o con la Spagna, basta che se magna") non credo che la Francia lo accetterebbe. Del resto è risaputo che nemmeno i rapporti Merkel-Sarkozy siano granché buoni. E tuttavia nemmeno la Francia è in grado di fronteggiare economicamente la superpotenza tedesca.
Meglio sarebbe allora ritornare ciascuno alla propria moneta o a qualcosa di molto vicino.
Mi sembra di capire che la preoccupazione, se non la paura, stiano crescendo. Non ci fidiamo di questo governo che sembra volerci svendere o condurre dove non intediamo andare e non ci chiede il permesso di farlo. Perché glielo consentiamo? Perché non troviamo il modo di diventare o tornare a essere protagonisti? Cosa dovremmo fare secondo lei, Israel? Non potremmo organizzare gruppi di cittadini che insieme comprino BTP, non per speculare (quanta gente in questi anni si è arricchita in questo discutibile modo?) una volta tanto, ma per dare un contributo volontario (tanto i soldi ce li faranno cacciare) per riprenderci il controllo della situazione e poi mandarli a casa e andare a votare? O è inutile e dobbiamo restare fermi, col fiato sospeso ad aspettare che tutto crolli e andare dove dicono LORO?
A proposito di BTP, non ho capito se chi è contrario all'acquisto lo sia perché ragiona ancora in termini di redditività dell'investimento. Mi sembra che bisognerebbe capire che qui si tratta di investire per non perdere tutto. Certo sono un mostro di ignoranza in materia di economia e finanza, ma questo sembra normale buonsenso.
Ci stiamo accontentando della soluzione Monti perchè il panorama politico è desolante e la sua preparazione in materia economica , il suo valore sociale ci consolano dopo tutto il carosello passato negli anni scorsi. Ma questo non può bastare. Se da un lato abbiamo bisogno di rigore è pur vero che abbiamo anche bisogno di dire la nostra e intendo con questo non di scegliere un nuovo esecutivo ancora oggi nebuloso, ma perlomeno dire la nostra opinione sulle decisioni cruciali che verranno prese e le cui conseguenze lei ha così ben prospettato.
Invece siamo qui ad osservare senza parlare e nemmeno i media ci permettono un dialogo, l'informazione, tranne pochi casi, ci spinge verso l'accettazione di decisioni inevitabili, ci spinge verso i "compiti a casa".
Saluti
«Non dobbiamo sorprenderci che l'Europa abbia bisogno di crisi, e di gravi crisi, per fare passi avanti". Mi sembra l'attualizzazione del "Tanto peggio, tanto meglio!" d'infausta memoria. La grave crisi seguita alla fine della Grande Guerra portò al potere Mussolini, anche Hitler e Stalin trovarono humus in altrettante crisi. Per non parlare di Napoleone ("Ei fe' silenzio...", come scrisse Manzoni). Le grandi crisi creano ansia ed angoscia nei popoli, terreno favorevole per tutti gli avventurieri e le soluzioni autoritarie e illiberali. L'affermazione di Mario Monti mi sembra preoccupante.
Certo che "c'è un che di rivoluzionario" nel "tecnico" Monti. Come era rivoluzionario il fiorentino Machiavelli - non era anche lui un super-tecnico? - nel suo ideale di Stato italiano In fondo Monti , per plasmare il suo ideale di Stato europeo , è anche lui in cerca del Principe, e come il Niccolò non lo trovava nella sua amata Firenze, neanche il Mario riesce a scorgerlo nella sua Italia, altrettanto amata. E, realisticamente, non può che vedere il suo Cesare nella Cancelliera tedesca!
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