Che cos'è la libertà di educazione e di insegnamento? Perché è tanto difficile realizzarla? Sarebbe più facile rispondere se non vivessimo nella confusione circa ciò che si deve intendere per libertà e per una visione liberale della vita associata. Piero Ostellino, nel martellare contro le politiche del governo dei tecnici, lamenta che ormai gli autentici liberali sono quattro gatti. È una caratteristica italiana? Magari fosse. Tutto sarebbe più semplice.
Apprendiamo che in un distretto scolastico del New Jersey, USA, per combattere l'obesità si è progettato di dotare i bambini di braccialetti elettronici, simili a quelli per i detenuti in libertà vigilata, per monitorare il battito cardiaco, le calorie accumulate e consumate, le distanze percorse. L'obbiettivo è combattere l'obesità. Se una simile iniziativa fosse stata presa in un paese totalitario non ci saremmo stupiti. È stata concepita nel paese della libertà. Il fatto è che viviamo di stereotipi: gli USA sono ormai dilaniati dalla schizofrenia tra tradizione liberale e controllo sociale autoritario. La gestione della salute che domina negli USA (e che viene esportata nel mondo) stride con la celebre frase del padre del liberalismo John Stuart Mill: «Ciascuno è l'unico autentico guardiano della propria salute, sia fisica, sia mentale e spirituale». Andrebbe riscritta: «Lo stato è l'unico guardiano della salute fisica, mentale e spirituale dei cittadini, della procreazione, dell'invecchiamento, della gestione del fine vita». Ci vorrebbe un libro per analizzare perché il paese liberale per eccellenza è finito su questa via: diciamo solo che la contraddizione era insita nella presenza di un altro fattore determinante della cultura americana: l'idea che è possibile gestire scientificamente, oggettivamente, numericamente, tutto, dal lavoro alla cultura. Nella contraddizione tra scientismo e liberalismo il primo sta prevalendo.
E l'Europa? L'Europa vive un tale complesso di colpa per gli eccessi di ideologia che hanno condotto ai noti disastri, da credere che il controveleno sia la tecnocrazia: l'idea di unificarsi sulla moneta è uno degli esempi di questa illusoria confusione che ha generato un'altra perniciosa ideologia basata sul relativismo, sul rigetto della morale sostituita dalla "negoziazione" dei principi etici, sulla mania "gestionale". È un'ideologia che ha un suo clero: l'eurocrazia e i suoi adepti nazionali. Componenti di questa ideologia sono le visioni funzionaliste, costruttiviste, tecnocratiche, metodologiche dell'istruzione.
È curioso: si proclama in modo stentoreo di volersi allontanare dall'educazione autoritaria di un tempo, dal controllo di stato, di voler costruire un modello educativo che rispetti la libertà del singolo, di voler adattare il processo educativo alle attitudini particolari, costruendo percorsi individuali. Ma chi vive della fede cieca nella tecnocrazia e nella gestione vive nella sfiducia delle persone. E così, per realizzare quegli obbiettivi, si è finito col costruire una colossale montagna di prescrizioni. C'è da perdersi nell'oceano nei documenti e nelle normative eurocratiche e nelle loro "traduzioni" nazionali. Le prescrizioni per essere liberi… Quale tragicomico paradosso! Attorno a questo corpus teorico-pratico è cresciuto uno stuolo sterminato di "esperti", di pedagogisti, di psicologi, di "valutatori", persone che raramente mettono piede in una scuola o raramente hanno insegnato e che, soprattutto, non hanno un'accettabile preparazione culturale, com'è evidenziato dai loro ineffabili prodotti. Lavorano indefessamente per ridurre il sistema dell'istruzione a una macchina burocratica puramente metodologica in cui non si parla mai di contenuti ma soltanto di tecniche e di gestione. È il trionfo di quella che Lucio Colletti chiamava la "scienza dei nullatenenti". In questa cornice, la parola d'ordine dell'autonomia è una presa in giro. Lo sanno bene gli insegnanti, sottoposti a valanghe di prescrizioni, di "indicazioni", di adempimenti burocratici, di schede, di test.
Il confronto con la riforma Gentile del 1923 – non per difenderla, va detto per non essere linciati – è impietoso. Poche pagine ispirate (com'è giusto) a una precisa visione culturale, basata sulla centralità delle materie umanistiche e della filosofia, mirate ai programmi d'esame, neppure a quelli scolastici. Nessuna indicazione didattica, totale libertà dell'insegnante di scegliere il percorso da seguire: rispetto a certe verbose, prescrittive, soffocanti "indicazioni nazionali" o leggi di riforma di oggi, un autentico modello di liberalismo, non a caso stravolto dalle successive "riforme" fasciste.
Si straparla del ruolo della "valutazione" per riqualificare la scuola. Ma una seria valutazione, concepita in modo liberale, dev'essere ex post: agite liberamente, sarete valutati alla fine. Qui accade il contrario. La riforma universitaria doveva basarsi sul principio "assumete chi vi pare, vi valuteremo dai risultati". È finita con regole di reclutamento talmente soffocanti, dirette dal ministero e dagli organi di controllo, da ridurre le commissioni giudicanti a compilatori di verbali sulla base di tabelle.
Chi desidera un'istruzione libera, chi persegue l'obbiettivo dell'autonomia e, al contempo, pensa che occorra affidarsi alle ricette tecnocratiche, se è in buona fede è una figura patetica che evoca l'immagine della zappa sui piedi. Chi spera che in questo contesto possa svilupparsi una scuola privata che crei un sistema misto, aperto, dotato di alternative, s'illude: lo statalismo soffocherà senza pietà qualsiasi iniziativa sotto la ferula delle sue infinite e puntigliose prescrizioni. Perché il potere dello statalismo è legato alla dittatura della metodologia. Immaginate un sistema dell'istruzione in cui al centro siano i contenuti dell'insegnamento – definiti in modo asciutto, chiaro, aggiornati in funzione delle esigenze culturali, scientifiche, tecnologiche di oggi –, un sistema in cui l'insegnante sia libero di scegliere il metodo che più gli aggrada, in cui la valutazione si fa ex post, e viene gestita come una rigorosa procedura di ispezione interna al sistema stesso. Che cosa resterebbe da fare all'esercito statalista di burocrati ed esperti che brulica attorno al sistema dell'istruzione? Ben poco. Si farebbero anche enormi risparmi di bilancio da dedicare al miglioramento del sistema. Ma fino a che non si comprenderà che questa è la posta in gioco, fino a che non verrà spazzata via la dittatura dei tecnocrati nullatenenti, l'aspirazione a un'istruzione "libera" sarà senza speranze.
(Tempi, 1 febbraio 2012)
15 commenti:
Ottimo intervento, che condivido sia nello spirito ispiratore sia nella lettera, punto per punto. A proposito dei concorsi universitari, ho letto una volta un articolo (non ricordo più l'autore) che affermava, più o meno: nessuno penserebbe che il CT della Nazionale debba scegliere i giocatori per concorso. Semplicemente, sceglie chi vuole; poi, se la squadra non ottiene i risultati attesi, lo si esonera. Ma altrettanto dovrebbe valere in tutti i campi, a cominciare dalla scuola.
Compito della scuola media è anche quello di orientare l’alunno per il suo futuro e quindi per l’iscrizione alla scuola superiore. Anche se si predica che l’orientamento deve partire dalla scuola primaria, nell’ultimo anno della secondaria di primo grado molte scuole si avvalgono, a questo fine, di esperti “orientatori”, attraverso progetti dispendiosi di tempo e di denaro. Dopo test di ogni tipo, ecco la sentenza della scuola adatta per ogni alunno!
Come si può accettare che la persona dell’alunno sia valutata anche in questo senso da misurazioni, oltre tutto strutturate dal punto di vista psicologico e metodologico e che possono essere “somministrate” agli alunni di qualsiasi scuola, senza tenere conto della personalità degli individui?
Anche in questa occasione l’insegnante perde di credibilità e un suo compito viene espletato da altri.
Devo dire prof. Israel che non sono granchè d'accordo con la frase di JSM. E' vera in via di principio e certamente valida quando è stata scritta, quando la sorte di un individuo riguardava solo lui e la sua famiglia, ma adesso quel accade a ciascuno di noi, grazie al sistema di sicurezza sociale, coinvolge tutti.
Se uno si ammala o infortuna gravemente per comportamenti sbagliati o pericolosi non paga più soltanto lui, il peso ricade sulla società, sotto forma di cure e assistenza pagata da tutti i cittadini. Non credo che l'obbligo di mettere la cintura in auto configuri tanto lo stato etico che si preoccupa dell'incolumità del singolo, quanto la necessità di abbassare il numero di feriti gravi e di invalidi a carico delle finanze pubbliche. Stesso discorso per alcolizzati o drogati o malati di cancro al polmone per il fumo.
E cosa dire di quei disgraziati creduloni che si sono curati con l'acqua benedetta? Lo stato dovrebbe lasciarli in balìa di ciarlatani da cui non sono in grado di difendersi per la loro ingenuità?
Il caso dei bambini americani obesi può essere un'estremizzazione (o la solita illusione da onnipotenza tecnologica) ma lasciare che ciascuno danneggi la propria salute come più gli piace mi parrebbe ugualmente sbagliato.
Gentile Papik
è certamente un'idea affascinante, però l'istruzione pubblica non è una squadra di calcio di pochi giocatori, ci vogliono setto o ottocentomila insegnanti per tenerla in piedi, e l'ideale sarebbe che fosse di qualità omogenea su tutto il territorio nazionale. Davvero sarebbe possibile ottenere questo con un reclutamento ad personam? Non so. O piuttosto non si creerebbero scuole di serie A, B, C ecc. per restare nell'esempio calcistico? E sappiamo bene DOVE ci sarebbero scuole da A e scuole da quarta categoria, no?
E poi, nel calcio si giudica dalle partite vinte e perse, ma nella scuola siamo ancora qua a chiederci come valutare i risultati..
Insisto che nella "vecchia" scuola c'erano insegnanti bravi ma anche tanti pessimi però nel suo complesso funzionava perchè al di là del singolo era il sistema scuola-società che funzionava.
Sono tutte domande per le quali non esiste una linea di demarcazione netta tra le diverse alternative. Parlando piu' in generale, le idee liberali di un Mill o, in tempi piu' moderni, di un Friedman, e le idee socialiste o comuniste sono tutte belle e buone e convincenti quando le si legge, solo che possono funzionare in una societa' ideale. Quella liberale ovviamente diversa da quella socialista, ma pure ideale. Stessa cosa per decidere se reclutare i docenti universitari tramite concorsi o per chiamata diretta (come avviene in molti altri paesi, USA in primis). E' ovvio che la chiamata diretta, con la responsabilita' personale del reclutatore, finisce col creare universita' migliori ed altre di livello piu' basso. Lo stesso dicasi se questo principio viene applicato alle scuole. Negli USA questo e' piu' che evidente, ma nessuno se ne scandalizza;il vantaggio e' che viene, in larga misura, premiato il merito. L'alternativa del reclutamento all'italiana, certo, rende le scuole piu' omogenee, ma consente anche ad una massa di insegnanti incapaci di inserirsi nel sistema a scapito dell'educazione dei nostri figli.
Scusi professor Israel se mi dilungo ancora un po', ma vorrei portare un esempio, che mi tocca personalmente, in cui la rigidita' nei metodi di reclutamento nella scuola sta causando disastri. L'esempio riguarda la classe terza media di mio figlio, in cui l'insegnante di matematica e' una "supplente di supplente" (ci capiamo). Verifica di matematica, mio figlio la salta perche' malato. Al rientro, lo interroga, con un quesito dove doveva esprimere la diagonale di un quadrato di lato L per poi farne qualcos'altro. Lui se la ricava col teorema di Pitagora, l'insegnante lo ferma dicendogli che e' ... SBAGLIATO (bestiario matematico n. ??? dov'era rimasto?). Lui capisce e recita a memoria la formuletta d=L \sqrt{2}: "Ah, si, cosi' va bene!!". Veniamo poi a sapere che l'insegnante ha considerato errato l'esercizio sulla verifica scritta a tutti quegli alunni che avevano usato il teorema. Allora, un sistema di reclutamento per chiamata diretta sicuramente risolverebbe molte di queste situazioni!!
Cordialmente,
Lucio Demeio
Gentile Nautilus,
se si sopprimesse il valore legale del titolo di studio anche nella scuola si giudicherebbe dalle partite vinte e perse. Naturalmente questo non potrebbe avvenire con l'immediatezza con cui avviene nel calcio, ma nell'arco di alcuni anni si vedrebbe da quale scuola escono studenti che ottengono migliori risultati.
So bene che non tutti sono d'accordo su una simile impostazione, e anzi devo dire che anch'io alcuni anni or sono sarei stato contrario e tuttora ho non pochi dubbi in proposito (le liberalizzazioni all'italiana, a cominciare dalle frequenze TV e dal prezzo dei carburanti, troppo spesso si sono tradotte in fregature per il cittadino e il sistema ipercompetitivo all'americana indubbiamente ha aspetti terrorizzanti).
Mi sembra però che l'attuale situazione sia del tutto indifendibile; la "vecchia" scuola e il relativo sistema scuola-società, lei dice, funzionavano; è probabilmente vero, ma il fatto è che oggi non funzionano più. E che il contribuente italiano non può più mantenere un sistema scolastico come quello (anzi, non lo è mai stato, come dimostra il debito pubblico accumulato mentre tale sistema si degradava progressivamente).
Si creerebbero scuole di serie A e di serie B? Certamente, ma oggi non ci sono già? Anzi, spesso ci sono sezioni di serie A e di serie B nella stessa scuola, e per andare nelle prime bisogna essere ben informati e meglio raccomandati. Il che non mi sembra molto più giusto di un sistema nel quale si acceda alle scuole migliori sulla base del merito.
Purtroppo e' vero; alla faccia dell'omogeneita' del nostro sistema scolastico, esistono, anzi coesistono, all'interno della stessa struttura scolastica, sezioni di serie A ed altre di serie B. A quelle di serie A vengono garantiti non tanto insegnanti migliori ma, cio' che forse piu' conta, la continuita' didattica, con insegnanti di ruolo, etc. Tanto vale ...
Caro Papik, so benissimo quanto sia pesante l'argomento "peggio di così non può andare", però sappiamo pure che al peggio non c'è mai fine.
Ripeto che la sua proposta è stimolante, a me sarebbe anche piaciuto confrontarmi ed essere valutato obiettivamente per le mie effettive capacità.
Ma non siamo in USA e nemmeno in UK o RFT.
Imito Lucio e racconto un piccolo episodio personale. Avevo trovato un posto precario a ore come insegnante di radiotecnica in un ente di formazione professionale. Dopo due anni il corso affidatomi era passato da 15 studenti a 17, caso unico a quel che mi dissero, di solito dopo qualche mese andava deserto, trattandosi di frequenza volontaria. Gli allievi chiesero un terzo anno per TV a colori e venne concesso. Però nel frattempo la figlia del direttore si era fidanzata con uno studente d'ingegneria elettronica. In men che non si dica mi ritrovai sostituito.
In realtà mi andava bene, perchè nel frattempo ero passato di ruolo nella statale, ma mi rimase l'amarezza di vedere come funzionavano le cose. Il corso dopo un paio di mesi chiuse ma a quel che seppi intanto il mio sostituto era stato assunto nell'ente.
Si potrà dire che un direttore come quello nella scuola del merito verrebbe subito allontanato...già, in USA forse, ma qui? E chi lo caccerebbe? E come si giudicherebbe se la sua scuola va male?
Lei scrive:" ma nell'arco di alcuni anni si vedrebbe da quale scuola escono studenti che ottengono migliori risultati."
Non mi sembra affatto facile, con tutte le variabili in gioco.
Ma ammesso si riesca, comunque nei piccoli o medi centri dove non c'è concorrenza di altri istituti? Chi e cosa impedirebbe che i dirigenti scolastici ne facessero i loro feudi personali? Ci sarebbe un'unica soluzione: la privatizzazione totale e la fine dell'istruzione di stato...a questo sono contrario, per tante ragioni.
Tutti gli insegnanti, ormai da tempo, percepisco quel controllo continuo descritto dal suo articolo, professore. E' una brutta sensazione, che tra gli altri risvolti negativi, ha determinato il completo disinteresse di molti docenti verso la didattica, quasi a dire "non è mia responsabilità, mi attengo alle prescrizioni". Ma in classe non c'è il ministero e ogni insegnante sa che l'universo di ogni aula deve essere interpretato ogni volta, catturato, affascinato. Come studentessa di psicologia, ma anche come insegnante, mi stupisce che il contributo degli psicologi si limiti a questi terribili test somministrati come forma di controllo anche sulla efficacia del docente. Ho sempre pensato alla psicologia come a qualcosa di diverso, più interiorizzato, più sfaccettato, lo studio del comportamento umano ma non facendo di tutta l'erba un fascio......
Evidentemente anche in questa disciplina come in altri settori, si sono abbandonati i presupposti iniziali (a mio parere interessanti) per dirigere le forze verso fini più economici che di studio e ricerca. I test possono rientrare in una analisi che però deve essere molto più composita e che deve comprendere necessariamente il docente anch'esso formato adeguatamente. Questa analisi può rigurdare le dinamiche di classe, il dialogo con i ragazzi, anche in gruppo ecc..ma non le tecniche con cui insegnare, o almeno non bisogna farne un punto nodale. mi sembra troppo semplicistico inserire il corsettino sulla didattica che quasi tutti poi non applicano. Sappiamo molto bene quanto un oratore può essere efficae pur senza aver fatto alcun corso. ma qui torniamo alla figura del docente, al suo reclutamento el suo percorso di crescita....insegnare non è per tutti e non è un fatto di anzianità..ma questo è un altro argomento.
Saluti
Gentile Vela, in barba a qualcuno che qui voleva soltanto suscitare la rissa, si vede che il dialogo serve e, anche se probabilmente su varie cose la pensiamo in modo diverso, mi sento di sottoscrivere in toto questo commento. Lei ha espresso completamente quel che penso: e cioè che quel che conta soprattutto è la missione dell'insegnare, la figura del docente, che non è un fatto tecnico. E anche quel che dice sulla psicologia entriamo in consonanza. Non ho nulla contro la psicologia in sé, ma contro questa psicologia che imita il modello delle scienze esatte e finisce sui test, per poi virare verso l'aziendalismo, questo sì: Per questo mi ero permesso di dirle: lasci perdere la facoltà di psicologia, perde il suo tempo. Lei ha sicuramente le idee più chiare per quanto riguarda il vero nodo dell'insegnamento - il dialogo tra persone, tra l'insegnante e i ragazzi - di quanto le possono dare certe teorizzazioni pseudoscientifiche.
Idealmente tutto giusto, ma se entriamo nelle scuole e gettiamo uno sguardo obiettivo non possiamo dire che la cosa funzionerebbe. Io vedo insegnanti che entrano in classe, decidono il loro lavoro autonomamente, organizzano una programmazione di disciplina o di diparimento puramente formale e poco sostanziale. Creo che la scuola, soprattutto la secondaria, debba abituarsi al confronto e anche al rendere conto alla società delle sue scelte, dei suoi valori, dei suoi obiettivi, dei suoi metodi confrontandosi e condividendo al suo interno e all'esterno. Il miglioramento del sistema deve essere un obiettivo importante da perseguire con il concorso di tutti i livelli impegnati per una buona istruzione, da quello statale fino all'autonomia scolastica in momenti come questi di crisi e di veloci e profonde trasformazioni economiche e sociali. La logica deve essere non classificatoria, non burocratica, non tecnocratica, ma quella del confronto nel comune desiderio di migliorare, della diffusione delle buone pratiche, del supporto a chi è in affanno. Non si può stare chiusi nella propria classe nè tantomeno nel proprio istituto. Senza complessi, apriamo una verifica e un confronto!
L'anarco-individualismo non ha mai fatto bene alla società, e per di più adesso dobbiamo pagare il conto (salato) della sua hybris.
Non è una buona cosa impostare una politica formativa su questi principi: l'istruzione presuppone l'esistenza e l'identificazione di una Autorità, e di un rapporto asimmetrico docente-discente.
Spero sia chiaro tutto ciò.
Purtroppo ai demagoghi che comandano nell'istruzione è chiaro il contrario...
Egregio professor Israel,
Le vorrei chiedere un parere sulla tendenza (così si dice) a voler introdurre la settimana corta nelle scuole, ovvero dal lunedì al venerdì. Per le scuole superiori questo significa avere lezioni anche in (almeno) 2-3 pomeriggi.
Le faccio un caso concreto: nella mia provincia, Bolzano, la giunta ha da pochissimo deciso (contro il fermo parere del consiglio scolastico provinciale e nonostante l'opposizione di genitori, studenti, insegnanti) in tale direzione. Per fare un esempio: al liceo linguistico, dove attualmente il triennio ha 37 ore settimanali di lezione (che già mi sembrano una follia) le lezioni saranno distribuite su 5 giorni invece che su 6 (praticamente 7-8 ore al giorno). L'assessore minimizza, dicendo che in tale direzione va tutta la scuola italiana e che così si risparmierà sui trasporti, sul riscaldamento e le famiglie saranno più unite... A me sembra un passo nel baratro, e anche nella prepotenza, visto che alle scuole e' stata tolta l'autonomia di organizzarsi il proprio orario. Quel che fa rabbrividire è che a quanto pare anche i sindacati abbiano in mente solo il problema del conteggio delle ore lavorative, mentre del fatto che con 7-8 ore di lezione poco rimanga allo studio individuale, che ho sempre visto come il vero momento dell'apprendimento, pochissimi, anche tra i docenti, pare si preoccupino.
Che ne pensa?
cordiali saluti
Che dire? Sono d'accordo. È una follìa totale. Ma ormai la scuola è gestita secondo qualsiasi interesse meno che quello dell'apprendimento, nonostante quello che si dice. I figli sono sempre più a casa, anche quando c'è la settimana corta perché ci sono sempre motivi per interrompere. Oltretutto questo provoca dei problemi serissimi alle famiglie: è sempre più difficile lavorare!..
Mi chiedo se, di questo passo, non si renda inevitabile per chi ne ha i mezzi di organizzare l'istruzione a casa, mettendosi d'accordo a gruppi di famiglie. I "poveracci" continueranno a mandare i figli in scuole sempre più inutili, o meglio utili all'unica cosa cui si pensa, e cioè creare addetti per le imprese (come avviene negli USA e come vuole che avvenga anche da noi Confindustria).
Ecco come vanno (ancora) le cose in Italia, riguardo ai presidi:
http://www.corriere.it/cronache/12_febbraio_14/la-preside-e-quel-bidello-trasformato-nel-suo-autista-gian-antonio-stella_cc95ce20-56d4-11e1-a6d2-3f65acf5f759.shtml
Il bello è che quel che riferisce Stella scandalizzandosi, succedeva tranquillamente nel mio ITIS, dove il preside, suo fondatore e vero padre-padrone, aveva fatto di un bidello il suo autista e attendente personale.
Questo preside mandava avanti la scuola come un'industria di cui fosse proprietario, era una persona in gamba e lo faceva egregiamente, collocandola ad ottimi livelli di efficienza.
Il prezzo da pagare era la sua onnipotenza.
Ah, in quel caso il bidello non veniva nemmeno gratificato con straordinari, ma obbligato col ricatto del posto, ne raccolsi l'accorata testimonianza molti anni dopo il diploma.
Poi dice: ma perchè diffidi dal concedere il potere ai presidi?
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