È un classico che quando piovono i tagli di spesa si protesti
se riguardano il proprio orticello e si taccia se riguardano quello del vicino.
Perciò i ricercatori e universitari che insorgono di fronte alla decisione del
governo di sopprimere una nutrita serie di enti culturali e di ricerca sono
destinati a essere accusati di corporativismo. Da qualche parte i quattrini
bisogna pur prenderli, egregi signori. Già, a condizione di non procedere tagliando
alla cieca, senza scelte di priorità. Se poi il criterio è selettivo a rovescio
– si tagliano enti culturali storici e di valore e non si toccano spese quantomeno
discutibili – allora la cosa si fa inaccettabile.
Piange il cuore a veder sparire un’istituzione che
appartiene alla storia mondiale della scienza come la Stazione Zoologica di
Napoli: anche se il suo valore fosse puramente storico sarebbe come chiudere un
grande museo. Basta guardare la foto del palazzo prestigioso in cui ha sede per
chiedersi cosa s’intende farne. Un deposito di computer rotti? Si dice che materiali
e personale verrebbero trasferiti nel CNR: un prospettiva da brivido, ma non inedita.
Per delle autorità in materia, che sono state capaci di far marcire e smembrare
la grande biblioteca di Vito Volterra che egli aveva raccolto nella sua villa
di Ariccia, figurarsi se costituiranno un problema le reliquie della Stazione
Zoologica, del Centro di Studi Enrico Fermi o del Museo storico della fisica.
Anche l’Istituto di alta matematica – che costa quattro soldi e ha contribuito
a formare tanti giovani ricercatori matematici – deve sparire, assieme
all’Istituto di studi germanici, all’Istituto di oceanografia e geofisica e
all’Istituto nazionale di astrofisica.
Ritorna l’obiezione iniziale: da qualche parte i quattrini
bisogna pur prenderli. Il fatto è che c’è dove prenderli, eccome. Se solo
venissero dimezzati i lauti compensi di dirigenti e consulenti di quell’enorme
baraccone che è l’Anvur (Agenzia nazionale della valutazione dell’università e
della ricerca) sarebbe possibile coprire il bilancio di almeno una delle
istituzioni summenzionate: è proprio indispensabile che un commissario percepisca
quasi duecentomila euro l’anno? Altrettanto dicasi per l’Invalsi: scorrere i
tabulati dei compensi per una miriade di attività minute lascia di sasso. Emerge
una legione di “consulenti” esterni che si spartiscono laute torte con cui
raddoppiare o triplicare lo stipendio. Ci vuole un bel coraggio per sostenere
che nulla di ciò sia tagliabile e dare per scontato che l’Anvur o l’Invalsi
siano enti meno inutili della Stazione Zoologica di Napoli o dell’Istituto di
Alta matematica.
Dove tagliare? Si esplorino seriamente le decine di progetti
“sperimentali” promossi dal Miur, i progetti (falliti) di valutazione, i
progetti di editoria digitale, le tante relazioni rimaste nei cassetti. E che
dire dei costi esorbitanti per le casse statali di leggi assurde come quella
per i Disturbi specifici di apprendimento, che sta producendo una crescita
esponenziale dei bambini “diagnosticati” come “disturbati”, con un impegno crescente
del Servizio Sanitario Nazionale e per la gioia di uno stuolo di consulenti
privati? E che dire del pullulare di convegni attorno alle tematiche connesse,
spesso su temi senza capo né coda, come la discalculia o i “nativi digitali”?
Tutta roba che costa e che viene finanziata in vari modi e su vari capitoli di
spesa e il cui valore “scientifico” è nullo. Poi c’è il capitolo enorme delle
iniziative culturali locali – convegni, premi letterari, feste e festival di tutto
ciò che è “culturalmente” immaginabile – ed è da vergognarsi che vengano chiuse
le istituzioni per non tagliare una goccia di finanziamenti all’effimero.
È facile immaginare che per ognuno di questi casi si possa
trovare una motivazione: questo non si può toccare perché non dipende dal
governo, quest’altra cosa è garantita da una legge, e via scusando. Ma allora
tanto vale dire chiaro e tondo che non si può far nulla di serio e che ci si
acconcia a racimolare dove è più facile. Anzi, sarebbe meglio ammettere che non
si vuol fare nulla di serio, perché è più comodo prendersela con qualche gruppo
che non conta niente, come i matematici o i germanisti, che non toccare le
corporazioni dei progettisti di digitalizzazioni, dei medicalizzatori
dell’istruzione, degli esperti di “valutazione oggettiva di sistemi complessi”
(roba seria, come dice bene il titolo, altro che matematica o zoologia).
(Il Foglio, 7 luglio 2012)
3 commenti:
Egregio Professore, stante la mia perenne acidità di stomaco, non me la sento di rincarare le sue parole che lei mantiene civili nell'efficacia. Cultura: se n'è scritto parecchio sul suo blog, a scorrerlo...
Vorrei però prosaicamente aggiungere che anche se c'è ancora tanto da spremerne, mi sembra - purtroppo - che l'Italia cominci ad avere il fiato troppo corto. Così continuando, vedo imminente un ridimensionamento anche del numero di quegli “operatori di cultura” - i troppi fantaccini impegnati (e talvolta in modo francamente beota) e organici al Progetto, che fanno cultura “viva” nel corpo sociale - partendo naturalmente dagli “operatori” più piccoli. La torta si riduce, e magari si dovrà ridurre il numero delle fette da ricavarne, per mantenere – doverosamente - di peso significativo quelle primarie e più esclusive.
Gentile Professore,
come non sottoscriverla in pieno. Quod non fecerunt barbari...
Le assicuro che la situazione non è esclusiva del mondo dell'istruzione, da operatore della Pubblica Amministrazione assisto a un simile spettacolo: strutture storiche che funzionano egregiamente ferocemente mutilate mentre proliferano enti e agenzie prive di senso e prodighe di costi. Così mentre alcuni arrancano come vogatori in una piroga che fa acqua da ogni parte, altri li superano navigando placidamente, indisturbati e scintillanti come navi da crociera.
Ma io credo che questo è solo l'inizio. I tagli ormai continueranno ad oltranza perché il futuro dell'Italia e di gran parte dell'Europa è quello di diventare povera.
Ci troviamo in un periodo storico molto importante. L'Europa, storicamente leader in quasi tutto (dalla tecnologia alla cultura) sta per avvicinarsi ai livelli del sud-america sul piano economico, e a diventare un territorio sterile e insignificante sul piano politico e culturale. Anzi, a livello culturale credo che siamo oramai già crollati.
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