sabato 28 luglio 2012

EPOCA DEI TECNICI, EPOCA DELL'INCOMPETENZA


Siamo immersi in uno strano paradosso. Siamo nell’era dei tecnici, dei “competenti”, gli unici titolati non solo a governare ma a valutare gli altri, a scegliere i migliori e accantonare i peggiori. È l’era in cui la competenza è chiamata ad affermare e garantire la “meritocrazia”. E fin qui si potrebbe dire: che male c’è? Non è questa la ricetta giusta? Se non fosse che mai un periodo come questo ha segnato il trionfo  dell’incompetenza, della dittatura degli incompetenti.
La stampa informa che è stata presa una cantonata colossale sulla “spending review” (a proposito, che male ci sarebbe a chiamarla “revisione della spesa”?). Sono stati tagliati pesantemente i fondi delle Province che servono a gestire migliaia di scuole, le quali dovranno chiudere i battenti, a meno di correzioni. Non si tratta di difendere le Province: le si chiudano pure tutte. Ma come si può arrivare al punto di tagliare i fondi di un ente senza prevedere le implicazioni e senza pensare a quale ente (e come) conferire le funzioni sottratte di fatto al primo. È stato il ministro Giarda a denunciare l’assurdità della cosa in un mail al Presidente della Provincia di Torino: «Ho cercato invano di far cambiare quella norma. Speriamo che il Senato sia più saggio del governo». Ma la “spending review” non doveva essere il trionfo della competenza, un processo per cui erano stati mobilitati i “tecnici dei tecnici”?
Citiamo questo episodio perché si collega in modo naturale con altre clamorose manifestazioni di incompetenza, tutte opera di tecnici assoldati dai ministeri per garantire serietà e rigore e che, per giunta, si riferiscono a procedure per selezionare altri. Ci riferiamo in particolare alla tragicomica vicenda dei test preliminari per la prova d’accesso ai TFA (Tirocini Formativi Attivi) per la formazione degli insegnanti. Dopo una serie di scempi normativi e di mutilazioni di un progetto che poteva essere positivo e che finisce con l’essere un ridicolo colabrodo, ecco la ciliegia finale: quelli che dovevano essere test d’accesso per verificare competenze minime, imprescindibili dei candidati, si sono trasformati in una sarabanda di domande grottesche, spesso incomprensibili, talora senza una possibile risposta. Su vari organi di stampa sono stati denunciati gli errori e le assurdità in ambito umanistico. L’Unione Matematica Italiana ha fatto di più: ha steso un primo elenco di vere e proprie castronerie, errori marchiani sufficienti a invalidare le prove, riservandosi un ulteriore esame approfondito.
È una vicenda che ricorda il grottesco concorso per i dirigenti scolastici, in cui il ministero fu costretto a cassare centinaia di domande insensate. Ricorda una serie di assurdità contenute nei test Invalsi. Ricorda le recenti Indicazioni nazionali per la scuola primaria infarcite di terminologie assurde che circolano come barzellette.
Nell’occasione del concorso per i dirigenti scolastici, vista la natura fortemente ideologica dei test – in gran parte improntati a un approccio didattico costruttivista– molti parlarono (e tra questi chi scrive) di un intento di selezionare dirigenti ligi all’ideologia ministeriale e al suo inveterato centralismo: stretto controllo delle metodologie, totale disinteresse per le conoscenze. Ora, nella vicenda dei TFA, c’è chi individua nella proposta di prove insuperabili per quanto sono insensate l’intento perverso di mandare definitivamente in malora il processo di formazione dei nuovi insegnanti.
È più che probabile che vi siano simili intenti. Ma è da temere che vi sia molto peggio. E cioè che si sia creato un vero e proprio ceto di “tecnici” – cooptati direttamente nelle forme più opache, in barba al “meritocra” – ai quali, in combutta con l’alta burocrazia, viene conferito il potere smisurato di selezionare gli altri, di “valutare” il prossimo, senza produrre alcun attestato della loro competenza a giudicare.
Si ripropone la domanda che venne fatta in occasione del concorso dei presidi. Chi ha preparato le domande? Chi sono – nomi e cognomi – coloro che hanno ideato i quesiti sbagliati denunciati dall’Unione Matematica? Chi li ha scelti e con quali modalità, ovvero chi è il responsabile finale? E soprattutto: quanto denaro è stato elargito per compiere queste imprese? A giudicare dai tabulati dei compensi che vengono incamerati dalla crescente legione dei tecnici e dei valutatori, il denaro speso non è poco. Non sarebbe il caso di fare una “spending review” in questo ambito? Non sarebbe il caso di mandare a casa tecnici incompetenti, farli rispondere dei loro errori, con restituzione dei compensi avuti e, se si tratta di professori, sottoporli a un giudizio “meritocratico”?
E, soprattutto, non è il caso di farla finita una buona volta con la retorica della “competenza”: di incompetenza in giro non se n’è mai vista tanta.
 (Il Giornale, 27 luglio 2012)

giovedì 19 luglio 2012

Scuola. L'aumento delle promozioni non è per forza una buona notizia


Secondo le cifre rese note dal Ministero dell’Istruzione il numero degli studenti bocciati è diminuito sensibilmente negli ultimi due anni. I primi dati relativi agli esami di maturità vanno nella stessa direzione: il numero dei promossi cresce. Non si dispone ancora di dati completi, ma anche quando vi saranno occorrerà ricordare che i numeri vanno interpretati, altrimenti sono inutili. È un’avvertenza non superflua in un periodo contrassegnato dal culto per le statistiche, che assume connotati parossistici in Italia per una lunga tradizione storica culminata nella passione che Mussolini nutriva per l’argomento, al punto che egli considerava come una delle sue più importanti realizzazioni l’Istituto nazionale di statistica, fondato dal celebre scienziato Corrado Gini. Questi ne fu presidente per anni, si recava periodicamente dal Duce con le sue tabelle e deteneva un potere superiore a quello di un ministro, avendo la facoltà di presentare direttamente leggi in parlamento. Va detto che per il Duce la statistica aveva una finalità precisa: fare le scelte più adatte a determinare la crescita numerica della popolazione italiana in base al principio che «numero è forza», e controllare man mano la realizzazione di tale di obbiettivo.
Venendo al nostro tema ci si chiede quale sia la finalità in base alla quale la crescita del numero dei promossi può essere considerata un fatto positivo. La domanda non è strampalata come può sembrare, visto che si leggono commenti secondo cui la diminuzione di bocciati in due anni corrisponde a un risparmio di circa 325 milioni di euro, per la gioia del presidente Monti. Se questo fosse un fine accettabile, allora tanto varrebbe emettere una circolare, o addirittura un decreto che sopprima le bocciature in nome dell’emergenza economica nazionale. Scartando questo approccio, è da supporre che l’incremento dei promossi risponda al fine di migliorare la qualità dei nostri studenti. Si leggono commenti del tipo «i nostri studenti sono più bravi», e qualcuno ha messo saggiamente “bravi” tra virgolette. Difatti, la vera domanda è: l’aumento di promossi corrisponde a un miglioramento degli apprendimenti oppure a una crescente “manica larga” nei giudizi, o addirittura a un dilagare della prassi del “copiare” nelle prove scritte?
Secondo un sondaggio di Studenti.it, durante il “quizzone” degli esami di maturità molti studenti hanno copiato: il 29% ha dichiarato di aver copiato tutto, il 19% di essere riuscito a copiare abbastanza, il 9% poco. Insomma, quasi il 60% avrebbe copiato! Molte altre testimonianze raccolte dal Gruppo di Firenze vanno nella stessa direzione e denunciano il fatto che diversi insegnanti abbiano agevolato il copiare. Ciò concorda con la recente denuncia che i test Invalsi siano stati svolti spesso in collaborazione, talora con l’aiuto dell’insegnante e che il requisito dell’anonimato sia stato in parecchi casi violato. È quasi superfluo dire che se si è copiato, e molto, e se questo fenomeno si è verificato a livello di tutte le prove, l’incremento del numero dei promossi è un indice pessimo.
Il fatto inquietante è che, malgrado i numerosi e autorevoli appelli al Ministero a prendere una posizione molto netta sul malcostume del copiare – e a schierarsi con forza dalla parte degli insegnanti e degli studenti rigorosi e onesti – non si è udito nulla salvo qualche mormorio reticente. Al contrario, a questo silenzio fa da contrappunto un insistente battage sul nuovo modello di scuola da adottare. Si parla di scuola come web community, in cui le conoscenze si costruiscono a casa, con un lavoro di gruppo, su internet e wikipedia, per poi “verificarle” a scuola con l’insegnante. In alcuni convegni si è persino autorevolmente patrocinata l’idea che gli studenti si alternino alla cattedra con l’insegnante. È facile da intendere cosa possa restare, in un simile contesto, del principio che chi è competente (l’insegnante) verifichi in modo rigoroso l’acquisizione personale (e non collettiva) di conoscenze e capacità: nulla.
Strano paese il nostro. Soffriamo di livelli record di evasione fiscale che stimolano risposte sempre più rigorose, talora eccessive nei confronti degli onesti. Gli evasori fiscali sono additati come criminali che distruggono il paese e diffondono un modello di comportamento immorale. Si prendono a esempio gli Stati Uniti dove una piccola frode fiscale può portare in carcere e l’evasione è considerata un reato ignobile. Ma negli Stati Uniti copiare a scuola o all’università è un reato ignobile come l’evasione fiscale e uno studente pescato a copiare vedrebbe compromessa la sua carriera scolastica. Invece da noi copiare è considerato una pratica simpatica, chi la fa o la facilita una persona di buon senso e “aperta” al nuovo, e chi la depreca un retrogrado attaccato a modelli reazionari. Non ci si pone la domanda giusta, e cioè se, strizzando l’occhio con compiacimento a chi copia, non stiamo usando la scuola per fabbricare legioni di evasori fiscali, di nullafacenti e di incompetenti che pretenderanno di andare avanti senza sottoporsi a controlli e verifiche di merito. Non ci si pone questa domanda, anzi, a suggello di questa schizofrenia, non si fa che pontificare di “meritocrazia” (ma cos’è la meritocrazia senza la verifica delle competenze individuali?) e s’inonda la scuola con la retorica dell’“educazione alla cittadinanza” e alla “convivenza civile”.
Non ha senso parlare di “miglioramento” degli apprendimenti se non si guarda alla sostanza, al modello di scuola che sta venendo avanti. Per esempio, occorrerebbe discutere seriamente delle nuove Indicazioni nazionali per le scuole primarie, che delineano livelli di apprendimento sempre più al ribasso, sempre più modesti, oltretutto formulati in un modo che lascia interdetto chi abbia competenza in materia (penso in particolare alla matematica); e che contribuiranno a fare delle scuole primarie un’area di parcheggio in cui le capacità dei bambini saranno sempre più frustrate. Sono questi i fatti di cui occorre parlare e a partire dai quali si può interpretare il senso dei numeri, che di per sé non significano nulla.
(Il Messaggero, 12 luglio 2012)

giovedì 12 luglio 2012

Tagliate l'incultura


È un classico che quando piovono i tagli di spesa si protesti se riguardano il proprio orticello e si taccia se riguardano quello del vicino. Perciò i ricercatori e universitari che insorgono di fronte alla decisione del governo di sopprimere una nutrita serie di enti culturali e di ricerca sono destinati a essere accusati di corporativismo. Da qualche parte i quattrini bisogna pur prenderli, egregi signori. Già, a condizione di non procedere tagliando alla cieca, senza scelte di priorità. Se poi il criterio è selettivo a rovescio – si tagliano enti culturali storici e di valore e non si toccano spese quantomeno discutibili – allora la cosa si fa inaccettabile.
Piange il cuore a veder sparire un’istituzione che appartiene alla storia mondiale della scienza come la Stazione Zoologica di Napoli: anche se il suo valore fosse puramente storico sarebbe come chiudere un grande museo. Basta guardare la foto del palazzo prestigioso in cui ha sede per chiedersi cosa s’intende farne. Un deposito di computer rotti? Si dice che materiali e personale verrebbero trasferiti nel CNR: un prospettiva da brivido, ma non inedita. Per delle autorità in materia, che sono state capaci di far marcire e smembrare la grande biblioteca di Vito Volterra che egli aveva raccolto nella sua villa di Ariccia, figurarsi se costituiranno un problema le reliquie della Stazione Zoologica, del Centro di Studi Enrico Fermi o del Museo storico della fisica. Anche l’Istituto di alta matematica – che costa quattro soldi e ha contribuito a formare tanti giovani ricercatori matematici – deve sparire, assieme all’Istituto di studi germanici, all’Istituto di oceanografia e geofisica e all’Istituto nazionale di astrofisica.
Ritorna l’obiezione iniziale: da qualche parte i quattrini bisogna pur prenderli. Il fatto è che c’è dove prenderli, eccome. Se solo venissero dimezzati i lauti compensi di dirigenti e consulenti di quell’enorme baraccone che è l’Anvur (Agenzia nazionale della valutazione dell’università e della ricerca) sarebbe possibile coprire il bilancio di almeno una delle istituzioni summenzionate: è proprio indispensabile che un commissario percepisca quasi duecentomila euro l’anno? Altrettanto dicasi per l’Invalsi: scorrere i tabulati dei compensi per una miriade di attività minute lascia di sasso. Emerge una legione di “consulenti” esterni che si spartiscono laute torte con cui raddoppiare o triplicare lo stipendio. Ci vuole un bel coraggio per sostenere che nulla di ciò sia tagliabile e dare per scontato che l’Anvur o l’Invalsi siano enti meno inutili della Stazione Zoologica di Napoli o dell’Istituto di Alta matematica.
Dove tagliare? Si esplorino seriamente le decine di progetti “sperimentali” promossi dal Miur, i progetti (falliti) di valutazione, i progetti di editoria digitale, le tante relazioni rimaste nei cassetti. E che dire dei costi esorbitanti per le casse statali di leggi assurde come quella per i Disturbi specifici di apprendimento, che sta producendo una crescita esponenziale dei bambini “diagnosticati” come “disturbati”, con un impegno crescente del Servizio Sanitario Nazionale e per la gioia di uno stuolo di consulenti privati? E che dire del pullulare di convegni attorno alle tematiche connesse, spesso su temi senza capo né coda, come la discalculia o i “nativi digitali”? Tutta roba che costa e che viene finanziata in vari modi e su vari capitoli di spesa e il cui valore “scientifico” è nullo. Poi c’è il capitolo enorme delle iniziative culturali locali – convegni, premi letterari, feste e festival di tutto ciò che è “culturalmente” immaginabile – ed è da vergognarsi che vengano chiuse le istituzioni per non tagliare una goccia di finanziamenti all’effimero.
È facile immaginare che per ognuno di questi casi si possa trovare una motivazione: questo non si può toccare perché non dipende dal governo, quest’altra cosa è garantita da una legge, e via scusando. Ma allora tanto vale dire chiaro e tondo che non si può far nulla di serio e che ci si acconcia a racimolare dove è più facile. Anzi, sarebbe meglio ammettere che non si vuol fare nulla di serio, perché è più comodo prendersela con qualche gruppo che non conta niente, come i matematici o i germanisti, che non toccare le corporazioni dei progettisti di digitalizzazioni, dei medicalizzatori dell’istruzione, degli esperti di “valutazione oggettiva di sistemi complessi” (roba seria, come dice bene il titolo, altro che matematica o zoologia).
(Il Foglio, 7 luglio 2012)

lunedì 9 luglio 2012

CRITICHE DELLA BIBLIOMETRIA

A CHI SIA INTERESSATO A LEGGERE DELLE CRITICHE DELLE TECNICHE BIBLIOMETRICHE SVILUPPATE ALL'ESTERO OFFRO UNA PICCOLA SELEZIONE DI ARTICOLI E DI DOCUMENTI SCARICABILI NEL MIO SITO "ARTICOLI" NELLA SEZIONE "DOCUMENTI"