Su cui vale la pena di leggere una lettera di un insegnante che spiega come si "studia" la matematica alle elementari
--------------------------------
Ho letto con sconcerto l’articolo “Lettera di una maestra unica” a firma di Claudio Cerasa (Il Foglio, 1 novembre) e dall’imbarazzante sottotitolo: “Storia di una combattiva insegnante elementare alle prese con una riforma che ha deciso di non applicare”. Era meglio dire: “che pur di non diventare maestra unica andrà in pensione”. Difatti, la maestra Maria non può “non applicare” una legge dello stato. Il sistema dell’istruzione in Italia va a rotoli anche perché certi insegnanti hanno perso la consapevolezza di essere funzionari pubblici e credono che la scuola sia il salotto di casa loro.
Ma lasciamo perdere. La maestra Maria andrà in pensione, delusa e umiliata perché le hanno tolto la sua bellissima scuola. Le ragioni di questa amara delusione sono descritte mettendo in contrasto la miseria delle motivazioni addotte per giustificare la scelta del maestro unico con il quadro di una scuola impeccabile dipinto con un lirismo da caricatura del Libro Cuore. A fine lettura resta in mano questo messaggio: rozze forbici senza cervello stanno compiendo uno stupro di cultura, entusiasmo, impegno.
È un elogio (senza argomenti) della nobile figura di una vera maestra offesa dalla barbarie. E gli altri? Chi sono quei maestri che scrivono ogni giorno lettere altrettanto dolenti ma di segno esattamente opposto a quello della maestra Maria? Chi sono coloro che dipingono come scuola del disastro quel luogo di tante, troppe attività, «un ridicolo, pietoso luogo di intrattenimento che moltiplica la quantità dell’“offerta formativa” scambiandola per qualità», che «non ha più niente da dire perché non ha più niente in cui credere»? Chi sono quei maestri che denunciano che nella primaria attuale «è concesso di fare tutto (animatore, ballerino, artista, vigile del fuoco, agente della sicurezza, crocerossina, occultatore dell’ignoranza degli alunni), tutto tranne l’insegnante»? Sono beceri insensibili e ignoranti? E i libri che da anni denunciano la distruzione di una delle migliori scuole elementari del mondo chi li ha scritti? Scherani «non all’altezza dei compiti degli insegnanti» al servizio dal perverso intento di «sforbiciare diciannove anni di storia» e «la storia di persone come Maria»?
Non si può invitare alla discussione razionale facendo una caricatura manichea della realtà. Perché alla testimonianza di Maria è fin troppo facile contrapporre una valanga di testimonianze di segno opposto ben altrimenti argomentate e frutto dell’esperienza di persone di indiscutibile “altezza”. Il caso vuole che queste ultime non trovino facilmente spazio. Questa censura è «opera di un’ideologia di sinistra in sfacelo che ormai trova il suo unico rifugio e ragion d’essere nella scuola» (citazione dalla lettera di un insegnante) e che cerca di soffocare ogni discussione ripetendo ossessivamente la litania urlata della “scuola migliore del mondo” in preda alla barbarie degli incolti. Da quando fu introdotto il maestro plurimo tante persone autorevoli hanno argomentato in mille modi l’assurdità di quella scelta – che è peraltro una peculiarità tutta italiana! – e hanno spiegato come fosse dettata da motivazioni banalmente economiche: usare la scuola come ammortizzatore sociale. Persino “Repubblica” allora gridò allo scandalo. Da quando è riesplosa la questione si è scritto e riscritto per spiegare le serie ragioni pedagogiche che giustificano la scelta del maestro prevalente. Si è spiegato come le attuali modalità di formazione producano maestri “nullologi”, non tuttologi e tantomeno specializzati. A tali argomentazioni i dirigenti della sinistra e dei sindacati hanno fatto orecchie da mercante, buttandola in retorica e slogan. Questo squallido coro basta da solo a soffocare ogni possibilità di discussione seria per non doverlo rafforzare con altre voci.
Se si propone di “discutere” su premesse come la “lettera della maestra Maria” – retorica allo stato puro – non ha senso chiedere al ministro Gelmini di aprirsi alla discussione e di presentarsi agli “stati generali” della scuola per farsi capire e trovare un terreno di mediazione. Tanto per cominciare nella scuola non possono e non debbono esistere stati generali e sale della pallacorda in cui primo, secondo, terzo o quarto stato decidano “democraticamente” come gestirla. La scuola non è un luogo di democrazia, altrimenti è morta. La cultura e le forme dell’insegnamento non possono essere risultato di mediazione tra soggetti – insegnanti, famiglie e alunni – che sono necessariamente collocati in posizioni non paritarie. Tantomeno può essere gestita in consociazione col sindacato. Sono anni che si dice: alla larga dalla concertazione e dalla consociazione. Vogliamo riesumarle proprio per la scuola?
Certo, il ministro Gelmini deve ascoltare, consultare, discutere quanto più possibile. L’ha fatto molto più di quanto non si dica. Potrebbe farlo ancora di più sempre che non si faccia finta di non sentire. Ma discutere, ascoltare, consultare ha senso se poi si decide in autonomia. Forse non è abbastanza chiaro che se una “riformetta” come questa ha destato tanto scandalo non è certamente per i suoi limitati contenuti. È perché il ministro Gelmini ha fatto qualcosa di imperdonabile: ovvero, dopo aver ascoltato e riflettuto per qualche mese, ha preso una decisione senza chiedere il permesso (meglio se a mani giunte e in ginocchio) a coloro che si ritengono unici proprietari della scuola, in primo luogo i sindacati. Forse chi sta fuori dal mondo dell’istruzione non se ne rende conto, ma chi protesta non sono “gli” studenti, “i” professori, “le” famiglie. Sarebbe un grave errore sottovalutare – anche se si sentono urla da una parte sola – il numero crescente di coloro che non ne possono più di quei prepotenti proprietari e delle foglie di fico culturali con cui si tentano di coprire i disastri combinati dall’ideologia dell’autoapprendimento e della scuola come progettificio.
(4 novembre 2008)
21 commenti:
Senta professore, io devo confidarle che in quest'ultimo periodo mi sento disorientata, cado dalle nuvole, non mi raccapezzo più.
Dalle mie colleghe fino ad un mese fa non ho sentito altro che lamentele sullo sconfortante stato di fatto, chiare accuse alla disfuzione del sistema, attacchi al 68 e al degrado che ha generato, disgusto per la trasformazione della scuola in servizio per i clienti, rimpianto dei bei vecchi tempi in cui si faceva veramente lezione, si credeva appassionatamente al valore del proprio lavoro, si godeva di tempi distesi per un insegnamento non superficiale della lingua e della matematica, si potevano insegnare le poesie vere, si potevano raccontare i fatti della storia, non c'erano le odiose funzioni obiettivo, non si era obbligati a perdere tempo con gli svariati, inconcludenti progetti...Tant'è che le più anziane dichiarano di fare il possibile per continuare a lavorare come prima, sia pure in mezzo a tanti ostacoli. E sono le mie preferite, quelle da cui cerco di carpire tutti i segreti dell'esperienza prima che vadano in pensione lasciando il posto a chi fa il suo ingresso con un lavaggio del cervello già allo stato avanzato.
Ebbene, sembrerà impossibile, ma la Gelmini ha compiuto il miracolo di far cambiare idea a tutti. Ora non è vero più niente: la scuola elementare è ottima, gli insegnanti devono stare al passo con i tempi e proporre tante attività, i bambini non sanno più studiare e bisogna stimolarli a modo loro, non si può tornare indietro, le classi ponte sono espressione di razzismo, torneremo al fascimo e tutto il bla bla bla che ripetono gli slogan di cattivo gusto sbandierati dagli scioperanti.
Io continuo a chiedermi il perché di questo improvviso stravolgimento e la risposta che riesco a darmi è solo questa: i sindacati hanno diffuso una grande paura, la paura che il lavoro sarà insostenibile, che le classi verranno accorpate, che mancheranno gli insegnanti di sostegno, che si arriverà a spostamenti di massa dei docenti da un plesso all'altro, da un istituto all'altro e (secondo alcuni) addirittura da una regione all'altra. E queste paure fanno presa perché i docenti non ricordano riforme positive; fino ad ora i cambiamenti apportati non hanno fatto che peggiorare la situazione. Quindi la fiducia nel futuro è azzerata. Soprattutto questi anni hanno pesato tanto sugli insegnanti, tanto da azzerare anche la fiducia nella possibilità stessa di educare.
Gentile Barbara, se la sinistra "domina" nella scuola (e altrove) qualche ragione ci deve essere. A proposito della Sua diagnosi, so che molti sostengono che non l'amore, ahimè la paura sia il sentimento, l'impulso più forte nell'uomo (ha letto "Millenovecentoottantaquattro" di Orwell?). Confido comunque che Lei abbia solo parzialmente ragione, e che - oltre ovviamente alle buone ragioni altrui, bisognerà pensare che ce ne siano pure - una certa confusione generata dalla violenza e dall'efficacia propagandistica dell'opposizione abbia giocato un ruolo decisivo. Urlare e lacerarsi le vesti, nella consueta distorcente drammatizzazione della realtà allestita dalla sinistra, paga sempre. Vediamo di recuperare.
macchè sindacati. Le persone che lavorano e bene nella scuola, anche in quella elementare, hanno capito da soli (altro che sindacati!) gli effetti delle manovre del governo sull'istruzione. Manovre fatte senza ascoltare gli insegnanti, senza ascoltare le maestre, senza ascoltare gli studenti. Tagli indiscriminati non alle inefficienze ma a tutti; tagli fatti soprattutto per recuperare la "abolizione dell'ICI" di cui il governo continua a vantarsi ma quell'ICI l'ha tolta a chi poteva benissimo pagarla e i soldi per la scuola li toglie a chi non può pagarli. La gente vive nel mondo reale e si accorge di quel che succede, non si può continuare a raccontarle favole all'infinito.
Se la sinistra domina nelle scuole le ragioni sono due: un 68 che ha creato una spessa incrostazione di consenso, una destra e un centro che, sottovalutando con rozza superficilità la forza strategica dell'educazione,hanno volentieri lasciato la scuola nelle mani di chi non se l'è voluta lasciar sfuggire. Ci aggiungerei anche la resa dei docenti. Non mi sembra che qualcuno sia sceso in piazza per contestare leggi che hanno trasformato gli istituti scolastici in centri ricreativi, progettifici, luoghi di socializzazione e quant'altro c'è stato e c'è di meglio per ridurci ad un paese di emeriti ignoranti.
Mi sbaglierò, ma penso che la scuola dovrebbe essere la scuola e basta; non c'è destra, non c'è sinistra, non c'è centro: ci sono giovani che hanno il diritto di essere formati e adulti che hanno il dovere di adoperarsi al meglio per questo.
Non se ne può più di dati fluttuanti e accuse di falsità dall'una e dall'altra parte.
Ma i documenti che fine hanno fatto? Chi ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e mostrarla, una volta per tutte, finalmente al Paese?
Gentile Barbara, lo vediamo: se il consenso non è organizzato e guidato (e confortato), anche la maggioranza diventa una moltitudine di isolati intimiditi, confusi e insicuri della loro idea.
La sinistra tutela (e fa bene!) i suoi, che prendono posizione nella certezza di essere spalleggiati, e non temono di esporsi, e questa è già una cosa. Ai miei tempi era ancora di moda il giornale l'Unità: solo quello si vedeva sporgere vistoso dalle tasche o sostare testata in mostra sulle scrivanìe aziendali.
Lei ha idee non conformiste e uno spirito risoluto e consapevole. Immagino che non si tiri indietro se c'è da discutere in qualche riunione o consiglio di classe (si dice così?); immagino pure che, oltre agli attacchi scoperti e coperti, riceva diversi consensi, questi però magari in camera caritatis:”Ti do ragione, ma sai... “ e pure con qualche “distinguo”, appagante per la coscienza. Quanto Lei fa è moltissimo, ma non è diffuso e temo non cambi gli atteggiamenti.
Scendere in piazza poi è un bel salto, mi pare che il centro destra sia lontano anni luce: ci vuole una poderosa capillare ben oliata organizzazione; e i soldi sempre. Anni fa ho partecipato ad una grande manifestazione a Roma: ho pagato di mia tasca la trasferta, ma l'organizzazione me la sono trovata fatta. Lei fa l'insegnante, io altro: interesse e tempo non si trovano per tutto.
Certo adesso c'è internet per esprimersi, vedremo se la spontaneità potrà bilanciare o sconfiggere l'organizzazione dando una immagine più veritiera della realtà.
Perchè associazioni di categoria, sindacati, mezzi di informazione, consorterìe varie, con orientamenti e/o dirigenti sinistri in anòmala preponderanza (quanti bei “posti” e quanto successo distribuisce la sinistra!), rappresentano in modo distorto la società.
Un piccolo esempio personale: sapesse la sorpresa, anzi, l'incredulità di mia nipote sedicenne – sommersa in Emilia da un ambiente di sinistra, comunista insomma, scolastico e non – di fronte alla vittoria di Berlusconi alle elezioni. Inspiegabile: ma come? vince costui che da tutto il mondo è insultato e sbertucciato?
Di fronte a una mentalità e ad una azione così omnipervasive, c'è da darsi da fare, altro che spaccare il capello in quattro.
Mi scuso per la prolissità e l'insistenza.
Sì, Rosamaria, la scuola dovrebbe essere il luogo della cultura, dell'educazione, della trasmissione dei tesori consegnatici dalla tradizione. L'ideologia politica non dovrebbe strumentalizzare il futuro dei nostri figli, la dignità del nostro popolo. Ed è l'ideologia politica ad impedire una seria riflessione sui temi davvero centrali che riguardano la scuola. Così tutto il necessario sembra girare intorno ai tagli, alle risorse e agli aspetti strutturali, ma non si mette mai il dito nella piaga.
A Vanni vorrei rispondere che è come pensa, non mi nego la libertà di denunciare le miserie del sistema in sede di collegio docenti e altrove. Invece non scenderei mai in piazza, perché mi sembra il metodo peggiore per chiedere. Il migliore è il tentativo di dialogo con le istituzioni, dialogo che non significa però piangere, pestare i piedi, rifiutare qualunque decisione (questo non si chiama volere un dialogo), ma richiamare il governo al nocciolo della questione: cosa diavolo vogliamo consegnare come testamento ai figli dell'Italia.
ç Barbara
Per delle riforme così importanti non si può partire da generici bilanci per poi adattare successivamente la necessaria programmazione al budget stabilito.
Sarebbe come dire che, dall'oggi al domani, la sua famiglia stabilisca di ridurre pressochè arbitrariamente la spesa familiare, senza decidere a priori quali siano le spese indispensabili da mantenere (in base ai bisogni della lamiglia) e quale sia il reale superfluo da eliminare.
Le decisioni vanno prese con la partecipazione di tutti, analizzando seriamente la situazione, per stabilire organicamente il da farsi.
In una società democratica va data voce a tutte le componenti, decidendo sulla base di discorsi programmatici che partano da studi qualificati.
Il "popolo" scende in piazza solo quando si accorge che i suoi rappresentanti (indipendentemente dal colore politico), prendendo alla lettera la delega loro affidata qiasi che fosse frutto di chissà quale inossidabile diritto ereditario, non ammettendo alcun confronto, utilizzano scorciatoie burocratiche per "imporre", non già per proporre.
Non si dovrebbe arrivare a scendere in piazza, è vero; peccato che le condizioni attuali non diano, talvolta, altra scelta.
Ma perché, cosa ha fatto la Gelmini di tanto grave? Il voto in condotta? Una benedizione anche se non una garanzia. La valutazione in decimi? Uno strumento di maggiore chiarezza. Il maestro unico? Ho già espresso il mio parere favorevole in merito. L'unico comprensibile cavallo di battaglia di chi scende in piazza è la difesa della causa dei precari i quali perdono la possibilità di lavorare (portando, tuttavia, un po' di stabilità nella scuola con l'eliminazione del continuo turn over dei supplenti).
Ma a questo punto, allora, ci si deve seriamente chiedere a che gioco stiamo giocando, cioè se è la scuola che ci interessa, se sono i bambini, la loro educazione, oppure l'imbalsamazione di un sistema che funge da ammortizzatore sociale. Non è stata la Gelmini a creare l'illusione del posto di lavoro, ma chi prima di lei, per motivi puramente politico-propagandistici, ha inventato il team docente e ha creato le SISS.
A Barbara.
Mi riferisco all'affermazione: "Ci aggiungerei anche la resa dei docenti. Non mi sembra che qualcuno sia sceso in piazza per contestare leggi che hanno trasformato gli istituti scolastici in centri ricreativi, progettifici, luoghi di socializzazione e quant'altro c'è stato e c'è di meglio per ridurci ad un paese di emeriti ignoranti."
Chiedo: ma non sei anche tu una docente?
Inoltre, mi sembra che ci sia una contraddizione sullo "scendere in piazza" di questa affermazione e sullo scandalizzarti dello stesso atteggiamento in quella del successivo commento, in risposta a Vanni. Aggiungo che io non accetto che siamo un paese di emeriti ignoranti e credo che non siano pochi gli insegnanti che, al di là delle normative che si sono succedute e che qualche volta li hanno disorientati, hanno lavorato bene ed hanno aiutato gli alunni a diventare degli adulti consapevoli e capaci di svolgere con coscienza il loro lavoro: questa è stata la loro vera lotta e la loro vittoria.
MLuisa.
@ Barbara
Io non sono affatto entrata, almeno nel mio ultimo commento, nel merito delle "riforme". Ho contestato il metodo, la procedura con cui le leggi sono state "proposte" e approvate.
Nostro figlio è tornato a casa oggi chiedendo: "Ma perché la maestra ha smesso di insegnare italiano e parla soltanto di "paure"". Sono due giorni che parla delle "paure". È l'educazione all'affettività, sta nei programmi. Potrebbe forse infischiarsene, ma non lo fa ed è difficile rimproverarglielo. Ma certo vorrei prendere a botte chi ha inventato questa pazzia.
Non mi dite perciò che tutto va bene nella scuola migliore del mondo... La più indegna delle menzogne.
Barbara ha ragione da vendere.
All'università tutti mugugnano da anni contro la riforma del 3+2, coloro che l'approvano sono bestie rare, ma nessuno ha mai protestato. Ma di fronte alla Gelmini, apriti cielo... Eppure l'università non è militarizzata dalla Cgil come la scuola.
Diciamo la verità. Siamo stati, e siamo, tutti un po' dei vili. Non faccio che sentire insegnanti di tutti gli ordini e gradi - dall'università alle materne - lamentarsi dei programmi, degli ordinamenti didattici, ecc. e poi però pochissimi si oppongono davvero e pagano i prezzi relativi.
Molto più facile prendersela con chi non tiene il sistema dell'istruzione sotto il suo tallone militare.
E quanto al fatto che siamo all'ignoranza... Certo, molti di noi, i più volenterosi, impegnati, appassionati, si tengono a galla e tengono a galla i loro allievi. E in questo sono d'accordo completamente con Coccinella: è la loro (la nostra) lotta e la loro (la nostra) vittoria. Ma purtroppo non basta contro la valanga dell'ignoranza che sta creando generazioni di disadattati che non sanno leggere, scrivere ed esercitare la logica più elementare. Lo dicono tutti, qualsiasi insegnante lo ammette. E allora poi non facciamone responsabile la Gelmini. Sarebbe il colmo dell'ipocrisia.
A Rosamaria: ma chi se ne importa del metodo, delle procedure. Alla fin fine quel che conta davvero è il merito. La metodologia - ripeto con Lucio Colletti - è la scienza dei nullatenenti.
Sono un po' di giorni che affronto su questo blog i temi relativi alla riforma, per questo, senza tema di smentite, mi sento di poter ribadire quanto segue:
1) la riforma della scuola superiore e dell'università è stata auspicata da tempo, tanto da me, quanto dalla maggioranza degli insegnanti;
2) la fretta con cui si è agito sicuramente ha giocato un ruolo tale da portare al detrimento dei provvedimenti adottati, per cui al riguardo si potrebbe obiettare molto, almeno dal mio punto di vista;
3) non è la persona della Gelmini che si intende sminuire, ma il modo con cui ha portato avanti il suo incarico; il giudizio sarebbe stato identico per chiunque avesse agito alla stessa maniera;
4) La metodologia o procedura con cui le leggi vengono approvate è garanzia di democrazia e quest'ultima tutela tanto i nullatenenti quanto il loro esatto opposto. Inoltre, una materia così complessa e delicata (come lei ha più volte messo in evidenza anche su questo blog) non può essere liquidata con una manovra così frettolosa e sbrigativa.
Ma, per favore, cosa diamine c'entra qui la democrazia? Non si può invocare la democrazia soltanto quando non fa piacere quello che viene fatto anche quando vengono seguite tutte le regole. Esiste un parlamento, regolarmente eletto. Se le leggi vengono approvate in parlamento sono legge dello stato. Punto. Non sarebbe stato seguita una procedura democratica e si è fatto troppo in fretta perché non si andati col cappello in mano a chiedere permesso al sindacato? Non è democratico un provvedimento perché la gente scende in piazza? Anche se chi scende in piazza è la minoranza? La democrazia e la maggioranza si misurano dall'entità delle urla?
Valutiamo il merito. E qui ha ragione Barbara. Tre provvedimenti su cui c'è poco da discutere (la legge 133 è un'altra cosa, non mescoliamo le carte in tavola). La "metodologia" era ineccepibile, ha rispettato la legge. In Francia approvano le leggi molto ma molto più rapidamente. E allora? Che cosa non è stato tutelato? Gli interessi di chi non è d'accordo e anche se è in minoranza deve decidere lui per forza?
Veramente il guaio di questo paese è che si straparla di democrazia quando fa comodo, senza avere la minima idea di che cosa sia.
Davanti alla mia scuola il 29 ottobre è stato affisso un volantino di un gruppo studentesco che lamentava il fatto che con il voto in condotta ed il grembiule stavamo tornando al fascismo.
Tutti abbiamo visto in TV i manifesti con scritto Gelmini m......a, ed io stesso ho udito un numeroso corteo studentesco che a Bologna scandiva "Gelmini, Gelmini, vaff..."
Questa è stata la protesta, condita dalla suprema ipocrisia di Epifani: "Qui non ci sono fannulloni. Nella scuola non si sono mai visti".
Sono sicuro Rosamaria che lei è in buonafede e svolge il suo lavoro con dedizione, però questa è stata la protesta.
Riguardo alle procedure democratiche, l'uso della fiducia e dei decreti è invalso da tempo, da destra e da sinistra. Ma evidentemente certe cose il centrosinistra le può fare, il centrodestra no.
Nel 2006, con 80'000 voti in più alla Camera e 200'000 in meno al Senato, il centrosinistra ha messo i suoi uomini a palazzo Madama, a Montecitorio ed al Quirinale. Quando però il centrodestra, con 3'000'000 voti in più alla Camera ed al Senato ha eletto i suoi presidenti, si è avuta questa replica: Una legislatura costituente sarebbe dovuta partire con un atteggiamento costituente, ad esempio di fronte all'elezione dei presidenti di Camera e Senato. E invece è mancato persino un minimo di discussione (Veltroni, 29/4/08). Insomma, sempre lo stesso ritornello.
A Coccinella. Sì, sono anch'io un'insegnante e non mi scandalizzo affatto se qualcuno scende in piazza. Facciano pure. Io non lo condivido, penso che sia un metodo inutile, usato dai sindacati come strumento per fini politici. Preferisco la denuncia aperta e quotidiana dei fatti e il dialogo serio con le istituzioni. E' assurdo, invece, che molti docenti, i quali giudicano la manifestazione in piazza quale unico modo per farsi sentire, non abbiano usato questo stesso strumento quando sono state proposte leggi veramente pericolose per il bene della scuola.
Apprezzo, Agapetos, il tono non aggressivo delle sue parole; è questa per me la conditio sine qua non di un dialogo costruttivo.
Io non mi sono mai occupata (lo confesso) attivamente di politica; questa volta ho voluto dire la mia perché si tratta di un campo di cui mi occupo da anni, e l’ho fatto semplicemente parlando (un po’ poco, lo ammetto); per le mie idee avrei dovuto richiedere l’ufficializzazione dell’assenza e la decurtazione dello stipendio; ma ho una situazione particolare e non ho aperto la pratica solo per pigrizia (male, molto male!).
Detto questo, noto che si continuano a portare esempi molto personali, punti di vista assolutamente limitati alla nostra esperienza e questo non mi pare del tutto obiettivo; se una rondine non fa primavera, una maestra ansiosa e poco rispettosa della sua funzione nei confronti dei soggetti a lei affidati non può essere considerata un campione rappresentativo, così come non lo è, l’ho già detto su questo blog, la maestra di mio nipote, che ha mostrato di saper formare quest’ultimo come neanche noi (che pure ci teniamo molto) avremmo saputo fare.
Si dice che la protesta è stata limitata a pochi gruppi di facinorosi, che non hanno saputo trovare slogan più efficaci di accuse cafone e poco circostanziate; in realtà, sono state riportate notizie di manifestazioni che hanno interessato l’Italia dal nord al sud e mi riesce un po’ difficile credere che in nessuna di esse si siano portate avanti delle richieste circostanziate.
Quanto all’azione dei sindacati, credo che abbiano, per loro stessa definizione, il compito di difendere i diritti di lavoratori e, in quanto costituiti da rappresentanti di cittadini, quello di esprimere un parere su tutto quanto ritengano possa interessare la società presente e futura. Do loro ragione, quindi, laddove richiedano una riforma più organica, meditata, efficace, programmata, senza tralasciare alcuna fase propedeutica necessaria ad assicurarne il sicuro successo, da esperti del settore .
A Barbara dico che da insegnanti ci siamo sempre arrampicati sugli specchi, cercando di seguire le novità proposte dai vari ministri avvicendatisi nel corso degli ultimi anni (di alterno colore politico, certo) e mediando attraverso un adattamento che si appellava alla libertà d’insegnamento ed al buonsenso di ognuno. Per questo non possiamo non respingere l’accusa di aver arrecato danni irrimediabili alle future generazioni. Vi invito a meditare sul fatto che, se non avessimo agito con questo spirito, probabilmente oggi la situazione sarebbe ancora peggiore.
Gentile Rosamaria, siamo in democrazia ed ogni organizzazione ha ovviamente il diritto di esprimere le proprie idee, ci mancherebbe altro.
Altrettanto diritto ho anch'io di esprimere l'idea che molti sindacati, CGIL in primis, non abbiano fatto il bene della scuola e che abbiano contribuito pesantemente allo sfascio attuale.
Attualmente non sono iscritto a nessun sindacato, ma se lo fossi ed il leader del mio sindacato dicesse ciò che ha detto Epifani, mi sentirei preso in giro e ritirerei immediatamente la mia iscrizione.
Mi permetta una divagazione: l'altro giorno durante la lezione di matematica, mentre stavamo facendo esercizi sulle proporzioni (in prima superiore), ho letto un problema dal libro di testo: "Un fruttivendolo acquista due partite di uva...". Una studentessa salta fuori dicendo: "due partite?!?" ed io: "sì, due partite, le partite non sono solo quelle di pallone". La studentessa ha poi detto che lei alle medie in italiano aveva "buono". Non era peraltro la sola della classe ad avere questa lacuna, insieme ad altre, relativamente alle parole "guado", "recidivo", e credo che nel corso del tempo ne verranno fuori altre.
E' vero che una rondine non fa primavera, ma qui di "rondini" se ne vedono già tante e non le vedo solo io!
Aggiungo "repentino" e "saltare di palo in frasca", un'espressione che diverte molto i miei alunni perchè ritengono che "frasca" sia un termine dialettale.
Ma non sarà colpa dei messaggini se ogni parola con più di tre lettere viene immediatamente bandita dal lessico dei più giovani?
"Guado" ha solo cinque lettere e due sillabe ;-) ed oltretutto la mia città dista pochi chilometri dal Po, dal quale un tempo era attraversata, e di ciò è rimasta traccia nei toponimi di tante vie.
Probabilmente, se i sindacati della scuola combattessero la dilagante ignoranza, il risultato sarebbe che i sindacati altrove perderebbero adepti, visto che ho l'impressione che denominatore comune dei sindacalisti, almeno di certi sindacalisti qui già citati, sia appunto l'ignoranza.
"E anche la scuola si aggiorna con urgenza/ e con tutti i nuovi quiz/ ci garantisce l'ignoranza" (Gaber)...
Posta un commento