La crisi del 2008 suscitò pungenti critiche alla capacità di previsione della teoria economica, che oggi si ripropongono. Né quello che accadrà tra un mese, né quello che accadrà domani è alla portata delle capacità predittive della teoria economica. Eppure la politica è sempre più dominata dalla tecnocrazia, che si tratti di agenzie di rating o di “esperti” che, pur incapaci di previsione, dispensano ricette per superare la crisi.
Non occorre essere marxista né keynesiano per ammettere che la teoria economica del cosiddetto “mainstream” è un galeone affondato, perché sono in crisi i suoi capisaldi teorici. Il primo è che il mercato lasciato a sé stesso va spontaneamente in equilibrio. Lo si presenta come un asserto “normativo”: lasciate libero il mercato e tutto va a posto. Peccato che non esista un solo risultato teorico che lo convalidi: al contrario, ogni risultato va in senso opposto. Quanto alle pratiche concrete, basti pensare al fallimento dei modelli matematici che da un trentennio sono stati costruiti sulla convinzione che i mercati finanziari siano controllabili e sul secondo capisaldo del “mainstream”: è “razionale” il soggetto economico che conosce perfettamente il funzionamento del sistema e agisce in modo assolutamente egoista, massimizzando il proprio profitto. La versione moderna di questa concezione è la teoria delle “aspettative razionali”, ovvero delle attese dei soggetti economici di fronte a eventi che influiscono sulle loro decisioni. Se i soggetti si comportano “razionalmente” l’economia s’indirizzerà verso gli eventi che essi “razionalmente” si aspettano. In definitiva, da un’idea di razionalità quanto mai discutibile si ricava il precetto che farebbe evolvere l’economia in modo determinato e prevedibile: comportatevi “razionalmente” e la realtà sarà “razionale”. Negli anni settanta gli economisti matematici Fisher Black e Myron Scholes e l’ingegnere Robert Merton formularono un modello matematico che traduceva tale visione ispirandosi ad analogie con la meccanica statistica. Esso mirava a descrivere l’andamento nel tempo di prodotti finanziari (come un portafoglio di azioni o obbligazioni) e di opzioni definite su di essi. Le ipotesi irrealistiche del modello – per esempio, che le attività finanziarie si spalmano nel tempo per frazioni arbitrariamente piccole di prodotti finanziari – sono state accettate come prescrizioni adeguate a prevedere e controllare il mercato finanziario. Si è fatto credere che bastasse implementare nei computer il modello di Black-Scholes-Merton per realizzare il sogno di un’economia “razionale” e mezzo mondo finanziario ha operato in tal modo.
Ricordate il crack della finanziaria Long Term Capital Management nel 1998? Era l’occasione per concludere che il mondo è fatto da uomini che non hanno conoscenze perfette e non si comportano come robot, che non esiste una legge meccanica di equilibrazione del mercato, che il primato nel governo della società e dell’economia è della politica e non della tecnocrazia e della sua pseudoscienza. Nessuno se n’è dato per inteso.
Eppure qualcuno l’aveva detto, proprio un protagonista di oggi, che sul declassamento dell’economia statunitense da parte dei “tecnici” della Standard & Poors avrebbe fatto una fortuna. Nel corso di una audizione al Congresso USA (15 settembre 1998), il finanziere George Soros dichiarò quanto segue:
«Il riorientamento dovrà iniziare riconoscendo che i mercati finanziari sono intrinsecamente instabili. Il sistema capitalista globale è fondato sulla convinzione che i mercati finanziari lasciati a sé stessi, con i loro strumenti, tendono verso l’equilibrio. Questa convinzione è falsa. I mercati finanziari sono portati verso gli eccessi e se una successione di rialzi e di ribassi si verifica al di là di un certo limite, non si tornerà mai al punto di partenza. Invece di agire come un pendolo, i mercati finanziari hanno agito, soprattutto di recente, come una palla di demolizione, colpendo un’economia dopo l’altra. Si parla molto dell’eventualità di imporre una disciplina di mercato, ma imporre la disciplina del mercato significa imporre l’instabilità e quanta instabilità può essere tollerata dalla società? La disciplina del mercato deve essere integrata con un’altra disciplina: mantenere la stabilità dei mercati deve essere il fine delle politiche pubbliche».
Sono parole che fotografano in modo impressionante gli eventi attuali e dicono che in tanti anni non si è appreso nulla. Si paventa il ritorno a ricette socialiste o keynesiane. Ma un equivoco – evidente nel dibattito seguito all’articolo di Marcello Veneziani – sta nel fatto che essere liberali non significa – al contrario! – credere che non esista un ruolo della soggettività, o che essa debba essere ridotta alla parodia della razionalità come infinita preveggenza e illimitato egoismo. Tantomeno è intrinseco al liberalismo concepire l’economia come un sistema fisico governato da leggi cieche che garantirebbero l’equilibrio. Questo gretto scientismo è estraneo a una concezione liberale in cui la centralità del soggetto fonda il primato della politica. Al contrario, scientismo e tecnocrazia uccidono il ruolo della politica e sono consoni a visioni totalitarie.
In questi giorni si levano voci da ogni parte circa i rischi che corre l’economia reale schiacciata da un’economia finanziaria che vale (oltretutto virtualmente) molto di più e detta legge alla politica economica pretendendo di rappresentare il giudizio “oggettivo” del mercato. Si parla di rischio per una democrazia e una politica sempre più deboli di fronte a tecnocrazie sempre più prepotenti e prive di legittimazione. È il momento di capire che la posta in gioco è la fine del primato delle ideologie tecnocratiche, a tutti i livelli, soprattutto a quello culturale. La politica deve avvalersi delle (autentiche) competenze, non subordinarsi passivamente ad esse. Altrimenti, la palla di demolizione continuerà nella sua opera implacabile e autodistruttiva, tra una predica e l’altra degli “esperti”. Il compito primario della politica deve essere quello di difendere a tutti i costi l’economia reale e puntare sulle forze produttive e non parassitarie, perché una società che avvilisce i soggetti effettivamente produttivi e li abbandona a processi “spontanei” (che di fatto non lo sono affatto) non riesce a suscitare le forze morali e la spinta etica che sole possono rivitalizzare la società e garantirle un futuro.
10 commenti:
Caro Professore, come sta? Spero bene. Ottimo intervento, questo. Ho molti amici nel ramo della finanza, che lavorano con e volte costruiscono modelli matematici. Eppure, confesso che di fronte alla finanza, mi pare che l'unico modello davvero rispondente alla realta', se di modello si puo' parlare, e' quello del poker. Le regole della finanza paiono la trasposizione macroscopica di una partita a poker: chi bluffa, chi gioca piu' di quanto potrebbe, etc. E' una visione semplicistica, volutamente. Ma i modelli matematici purtroppo astraggono dalla psicologia degli azionisti: che spesso, piu' che spinti dalla razionalita', sembrano spinti da una certa ingordigia. Non che ne voglia fare della morale: mi limito a constatare come quella sia spesso la molla del comportamento nei mercati finanziari. Ah, fra l'altro, anche se qui non e' lo spazio giusto: arguta la Sua risposta ultima a Pier. Che tristezza, comunque, il suo giudizio...Mi conferma la bassa statura morale e intellettuale del personaggio.
Cari saluti.
In un modello economico-finanziario gli operatori del mercato vengono considerati tutti "egoisti perfetti". Le decisioni che essi prendono dipenderanno comunque dal volume e dalla esattezza delle informazioni in loro possesso al momento della decisione! Questa è la differenza tra un modello di controllo processo di produzione industriale e un modello di controllo finanziario. Nel primo le informazioni sono per la MAGGIOR PARTE i segali provenienti on line dalla strumentazione, e solo alcuni dati sono affidati alla valutazione dell'operatore. Nel secondo invece la valutazione umana è necessariamente preponderante.
Almeno così credo, in quanto ho esperienza solo dei controllo di processo.
La polemica di questi ultimi giorni tra il presidente Fiat, il suo A.D. e il ministro Sacconi-mentre la CGIL della signora Camusso decide lo sciopero contro il governo e gli altri sindacati nazionali-rappresenta un "fermo immagine" delle incertezze degli operatori sull'economia in Italia. Addirittura del tipo:"l'Italia decida se costruire automobili" - John Elkan, presidente del gruppo Fiat).
All'epoca del crac 2008 in un articolo della newsletter di SIAM (Society of Industrial and Applied Mathematics) si ipotizzava che i crac non dipendano dalla eccessiva modellizzazione dei mercati tentata da molti e implementata nei programmi di gestione ma, al contrario, dal fatto che c'è ancora troppo poca matematica nei tentativi di comprensione dei meccanismi economici. E d'altra parte se un sistema economico liberale dovesse, speriamo presto, tentare una regolamentazione dei mercati dovrebbe farlo in base a modelli di funzionamento che permettano di prevedere le conseguenze della regolamentazione.
M'incuriosisce sapere la sua opinione di matematico a proposito (io sono un professore di Automatica).
Cordialmente
So benissimo che ci sono persone che pensano questo, ma penso che si sbaglino sonoramente per un eccesso di mitologia matematica. Circa mezzo secolo fa von Neumann diceva che l'economia era una scienza mille miglia distante da una scienza come la fisica e che ci sarebbero voluti molti secoli per sperare di raggiungere qualcosa di analogo in termini di capacità predittiva. Oggi si può dire che nessun progresso significativo è stato ancora ottenuto, casomai la situazione è peggiorata. Trovo assurdo che, mentre la fisica stessa fronteggia enormi problemi predittivi, l'economia - che tocca domini di complessità di gran lunga maggiore - possa consentire di predire l'andamento del mercato. Non capisco perché si debba presumere che la matematica abbia un valore universale, anche nel campo delle scienze umane. A mio avviso, esistono ostacoli a priori nell'uso della matematica in questo campo e gli strumenti della matematica che conosciamo sono del tutto inadeguati. Ho scritto molto su questo e mi scuserà se non posso riassumerlo in un blog. Non vedo peraltro perché la gestione dell'economia debba seguire un approccio di tipo modellistico basato su meccanismi predittivi analoghi a quelli della fisica. Il mondo è più vasto di quel che suggerisce il riduzionismo...
Buonasera professore
Perchè è così pessimista per quanto riguarda le applicazioni della Matematica? Secondo me credere che la scarsa efficienza degli strumenti matematici utilizzati in ambito finanziario abbia contribuito a creare l'imprevedibilità degli eventi odierni non è eccesso di mitologia matematica, anzi. E' una visione molto realista. Il suo, se mi posso permettere, è un atteggiamento un po' arrendevole... ma, come lei stesso insegna nel suo corso di Storia, la Matematica è piena di illustri menti che hanno creduto fino in fondo nelle proprie idee, nonostante potessero inizialmente sembrare stupide o inappropriate
Detto questo, io non sono completamente in disaccordo con le sue idee, è vero che così come la stiamo strutturando la Matematique è un castello in aria... ma il problema è l'uomo, non la matematica. E' l'uomo che, per esempio, dopo aver modificato una semplice equazione di diffusione ed aver visto che effettivamente nel mercato qualcosa fa, si è fermato li senza più riprendere in mano la situazione, anzi ramificandola con corollari e succedanei, in maniera inappropriatamente assiomatica. E' tutto questo semplicismo il problema... non serve un genio per capire che una cosa più è semplice e meno variabili coinvolge!
Non a caso l'accidia è un peccato capitale...
Io sono uno studente di Matematica, sono un ex matematico finanziario passato tra le fila dei Probabilisti, quindi qualcosa di finanza ho studiato. Certo, non corsi avanzati, ma comunque corsi universitari tenuti da persone molto competenti. E il dubbio era sempre lo stesso: le idee sono buone, funzionano, ma tutte un po' campate per aria... tutte un po' imposte, come se il libro dicesse "fidati che funzionano..."
Però la soluzione non puo' essere la resa, in nessun caso: bisogna solo non fermarsi mai, continuare sempre a studiare ogni singola sfaccettatura dei problemi proposti, anche se "non ci va"
Detto questo la saluto e le auguro un buon proseguimento con il suo Blog, è veramente ben fatto. Un unico piccolo suggerimento: cambi la finestrella dove scrivere i commenti, è veramente claustrofobica...
Caro Ottaviani, non posso cambiare le finestre del blog perché sono imposte da Google.
Non sono né pessimista né arrendevole né cerco la "resa", per il semplice motivo che il mio impegno va in senso opposto... Sono contrario alla matematizzazione delle scienze umane nello stesso senso di quelle fisiche: non funziona, è sbagliato, è persino dannoso. L'idea che la matematica sia la chiave universale di ogni conoscenza scientifica è infondata e perniciosa per la stessa matematica.
Ho dedicato qualche decennio di studio al tema della matematizzazione delle scienze non fisiche per approdare a queste conclusioni che sono discusse in libri e tanti articoli. Quindi è tutt'altro che un umore depresso. L'economia matematica è un cimitero di fallimenti, ma nessuno degli addetti ai lavori lo vuole ammettere per ovvi motivi di difesa del proprio orticello. Non è vero che le idee sono buone e funzionano: sono cattive e non funzionano per niente. Sono cattive perché consistono nell'estrapolazione di concetti che funzionano in fisica, ma sono estranei alla natura della soggettività umana. Il menu che offre la matematica (determinismo o probabilismo) non è adeguato a rappresentare le modalità delle scelte soggettive. È possibile un altro menu? Nessuno ci è riuscito, neppure von Neumann con la teoria dei giochi ed esistono buone ragioni per ritenere che esso non esista, per cui le scienze economico-sociali meglio farebbero ad avvalersi dell'approccio storico combinato con analisi matematiche strettamente confinate a limitate questioni tecniche in cui non interviene la necessità di formalizzare la razionalità umana, perché è in questa pretesa che casca l'asino. Si legga cortesemente le cose che ho scritto, alcune delle quali scaricabili in rete.
non è un commento sull'articolo,
solo per segnalarle questa vignetta
http://abstrusegoose.com/
Mi è capitato di leggere questo post appena dopo aver letto questo articolo:
http://www.nationalaffairs.com/public_interest/detail/on-the-limited-relevance-of-economics
pubblicato nel lontano 1970 ma che mi pare abbia parecchi punti di contatto con le idee esposte dal prof. Israel!
Daniele Pala
LTCM? Attenzione a non confondere l’ ipotesi dell’ efficienza (Efficient Market Hypotesis) con un particolare modo di prezzare le attività finanziarie (CAPM). Confusione quanto mai frequente:
The premise of the Fox book (The myth of rational market) is that our current economic problems are largely due to blind acceptance of the efficient markets hypothesis (EMH), which posits that market prices reflect all available information. The claim is that the world's investors and their advisors in the financial industry bought into this model. Because they ceased to investigate the true value of assets, we have been hit with "bubbles" in asset prices. The most recent is the rise and sharp decline in real estate prices which froze financial markets and led to the worst recession since the Great Depression of the 1930s. The book is fun reading, but its main premise is fantasy.
Mi fa riflettere il fatto che le denunce contenute nell’ articolo siano continuamente avanzate nientemeno che dagli apologeti del mercato i quali, per esempio, in nome della distruzione creativa contestano le interpretazioni caricaturali del concetto di equilibrio.
L’ offensiva contro gli “esperti” e i “tecnocrati”, poi, è continua da parte loro: l’ esperto, in fondo, non è che l' alternativa al mercato e quest' ultimo deve sostituirlo. Al tecnocrate, in nome della sua falsa sapienza, si demanda la regolazione del mercato. Lui è uno che “ne sa di più”.
Le soluzioni Keynesiane di “fine tuning” sono il trionfo del tecnicismo operate, si dice, da chi sbaglia metafora e si illude nel considerare il mercato un "meccanismo da tarare" piuttosto che una rigogliosa foresta pluviale.
Ma quando questo discorso lo fanno i "mercatisti" tutto è lineare e facilmente comprensibile anche da chi non condivide.
Esempio: nel mercato del credito il “tecnocrate” di tutti i tecnocrati è il banchiere centrale. Se lo eliminiamo avremo un sistema free banking. Funziona? Non funziona? Boh.
Di sicuro, quello su cui tutti concordano in base ad una prolungata e diffusa esperienza del passato è che una banca centrale nelle mani della politica è una soluzione da Zimbawe (inflazione a 4 cifre e ig Nobel 2009).
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