Così,
dopo il pasticcio dei “bonus” che premiano il demerito, il nuovo ministro ha
dovuto rimediare un altro pasticcio: quello della sovrapposizione tra esami di
maturità e test di ammissione alle facoltà universitarie a numero chiuso. E ha
dovuto farlo rinviando i test a settembre. La scelta ragionevole è stata
accolta dai più con favore, con la motivazione sacrosanta che i test
intralciavano in modo inaccettabile la preparazione della maturità. È da attendersi
che il decreto di prossima emanazione aggiusti anche la faccenda dei “bonus”.
Tuttavia,
a questo punto, è inevitabile una considerazione generale. Dopo una sequenza di
pessime prove o veri e propri fallimenti, di cui è persino difficile stendere
l’elenco, s’impone di affrontare il tema della valutazione e della verifica del
merito in modo globale e secondo un disegno coerente. I guai non vengono
soltanto dal fatto che negli anni si è accumulata una congerie di provvedimenti
parziali, un bricolage riformatore sconclusionato che poteva produrre soltanto
disastri. I guai derivano anche dal fatto che tale bricolage non risponde ad
alcun disegno organico di come premiare il merito – malgrado tutti straparlino
di “meritocrazia” – bensì è la risultante di una serie di idee diverse e persino
contrastanti proposte da soggetti spesso in conflitto tra loro. C’è chi spinge
per l’abolizione del valore legale del titolo di studio o dell’esame di
maturità, chi per una linea privatistica; chi, al contrario, per un rafforzamento
statalista; chi vuole riqualificare la funzione dell’insegnante come valutatore;
chi lo vuole mero “facilitatore”, trasferendo la valutazione a sistemi esterni,
che per alcuni sono strutture tecniche autonome, per altri assoggettate allo
stretto controllo ministeriale. In questo bailamme – in cui molti enunciano gli
stessi obbiettivi pensandoli attuati in modo diametralmente opposto – l’unico
risultato è l’affondamento del sistema dell’istruzione.
È
assai apprezzabile che il sottosegretario Rossi Doria si sia dichiarato
nettamente contrario all’introduzione del teaching
to the test e quindi all’uso dei test Invalsi nell’esame di terza media. Ma
spero ci si renda conto che ormai il teaching
to the test è diventato una disgraziata realtà nella scuola italiana e buona
parte dei buoi sono usciti dalla stalla. Questo lo sanno tanti insegnanti e
tante famiglie che assistono impotenti alla sospensione della didattica
ordinaria per l’addestramento ai quiz. Se si vuol compiere una scelta che ormai
trova opposizioni crescenti nei paesi che l’hanno fatta, ci si assuma almeno la
relativa responsabilità alla luce del sole. È inaccettabile che questo avvenga
surrettiziamente o come sottoprodotto dello stato confusionale di cui sopra.
È
giunto il momento che ci si assuma la responsabilità di scegliere un indirizzo
chiaro e trasparente, rispondente a una precisa idea d’istruzione e di
valutazione, con il prezzo inevitabile di scontentare qualcuno. Noi questa idea
d’istruzione e di valutazione l’abbiamo e la stiamo difendendo a chiare lettere
da tempo. Essa si basa sull’idea che, nella tanto proclamata “società della
conoscenza”, un paese che non voglia sprofondare nell’arretratezza deve
preparare i propri giovani a un alto livello, quale che sia la natura dei
percorsi di formazione (classico, scientifico, tecnico, professionale). Non è
coerente con l’obbiettivo di premio della qualità sentirsi da dire da un figlio
che detesta la letteratura perché ormai per lui si identifica con antologie di
miserando livello in cui, dopo brani di poche righe, si “somministrano” quiz a
crocette sul senso del testo; o sentirsi dire che detesta la matematica perché
viene proposta come una miscela di “leggi” e “regole” da mandare a memoria, di
problemini senza senso, seguiti dalle solite “verifiche” a quiz. Non è coerente
con le chiacchiere sul merito promuovere una didattica che conviene ai peggiori
insegnanti, quelli che vegetano dietro quiz e domandine, esentati dal produrre
un autentico impegno intellettuale ed educativo. A noi piace un’idea di scuola
in cui l’insegnante assuma una funzione centrale al prezzo di una seria
valutazione, ma senza quiz e altri marchingegni fallimentari.
In
decenni di chiacchiere sulle riforme istituzionali l’assenza di un disegno
organico ha prodotto una pessima riforma del Titolo V della Costituzione e
pessime riforme elettorali. Non diversamente nell’istruzione. Come nel primo
caso, è giunto il momento di un ineludibile ripensamento complessivo basato su idee
chiare, esplicite e culturalmente dignitose.
(Il Mattino e Il Messaggero, 8 giugno 2013)
9 commenti:
Quel "culturalmente dignitose" è fondamentale ed è alla base di tutto. Purtroppo nelle burocrazie ministeriali è appunto la cultura che manca, perché nei ruoli dirigenziali - anche dell'istruzione - vengono nella quasi totalità dei casi collocati soggetti privi di una formazione seria e di attenzione alla vera formazione degli studenti, ma in compenso attentissimi alla propria carriera e proni a qualsiasi - sia pur demenziale - diktat delle loro gerarchie di riferimento, pur di farsi belli e fare buona figura. Solo per fare un esempio, negli ultimi anni è di gran moda tra i presidi fare di tutto per avere, di fatto, quattro scrutini all'anno, dando "pagelline" intermedie agli alunni anche a metà quadrimestre, con indicato il voto di scritto e orale. Ciò, oltre a non avere alcun senso sul piano didattico (perché non ha alcun senso fare uno scrutinio con un voto solo) obbliga i docenti a tempestare di prove - una prova qualsiasi, pur di avere un voto qualsiasi - le classi, per arrivare all'appuntamento con le valutazioni richieste sul registro. Così ci si illude di apparire efficienti e trasparenti (e il preside può pavoneggiarsi con i suoi superiori di avere una scuola che funziona in modo "scientifico" - sic!), ma la verità è che i ragazzi sono disorientati e in affanno, il luogo dove si dovrebbe affrontare un percorso quotidiano di studio e formazione si trasforma in un insensato votificio, i professori si dannano e gli studenti soffrono, imparando peraltro sempre di meno perché non si dà loro il tempo di assimilare davvero e li si costringe a elaborare più che altro delle strategie di sopravvivenza, non certo delle idee. Però siamo, sulla carta, dei veri prodigi di efficienza. Ah, dimenticavo: se poi lo studente, bombardato di verifiche, crolla e si presenta alla fine con quattro, niente paura: un po' di sana alchimia nel consiglio di classe e il quattro diventa un sei, il sette diventa un nove, e abbiamo schiere di veri e propri geni che escono col massimo dei voti all'esame finale, e possiamo dire che la nostra è un'ottima scuola. Peccato che poi non sappiano l'ortografia, ma non si può avere tutto...
Sono totalmente d'accordo quando nota che l'istruzione è percorsa da schizofrenia, con variazioni continue che non fanno altro che contraddire quanto detto o fatto in precedenza, e anch'io, da docente, sepro che al più presto si torni a un po' di coerenza.
In merito alle famose (o famigerate) prove Invalsi: ferme restando le mie perplessità su alcune cose (che abbiano un ruolo nell'esame della scuola secondaria di primo grado è a mio avviso una cosa indecente), a me pare che il più grande scandalo sia un altro: che un alunno medio della scuola italiana non riesca a farli decentemente.
Gentile prof. Israel, insegno da oltre 20 anni in una scuola superiore della periferia di Napoli e concordo con Lei al 100%. Strano e significativo il caso che Le segnalo: nello stesso numero de Il Mattino sul quale ha scritto il Suo articolo, è stata pubblicata un'intervista a Roger Abravanel nella quale "l'ingegnere del merito" si indigna per tutti quei voti alti e quelle lodi agli esami di Stato al Sud e propone come unico metodo utile per la futura meritocrazia in tutte le scuole e (addirittura) "per preparare al lavoro"... i test Invalsi! Cordialissimi e amareggiati saluti. Gennaro De Crescenzo
Gentile prof. Israel, insegno da oltre 20 anni in una scuola superiore della periferia di Napoli e concordo con Lei al 100%. Strano e significativo il caso che Le segnalo: nello stesso numero de Il Mattino sul quale ha scritto il Suo articolo, è stata pubblicata un'intervista a Roger Abravanel nella quale "l'ingegnere del merito" si indigna per tutti quei voti alti e quelle lodi agli esami di Stato al Sud e propone come unico metodo utile per la futura meritocrazia in tutte le scuole e (addirittura) "per preparare al lavoro"... i test Invalsi! Cordialissimi e amareggiati saluti. Gennaro De Crescenzo
È vero, ma i giornali intervistano tutti ed è bene che lo facciano. Ma è del tutto evidente che Il Mattino è dalla parte delle mie tesi, non solo perché il mio articolo era un editoriale, ma perché il direttore il giorno seguente ha richiamato le mie tesi come sue in un editoriale. Abravanel è il classico tecnocrate presuntuoso che vuol dare lezione a tutti non avendo mai messo piede in'aula scolastica.
Mi accodo alle considerazioni di tutti quelli che mi precedono e aggiungo a quanto scrive Pat Z che ormai, credo in quasi tutte le scuole, i dirigenti sono preoccupati delle foto da mettere sul sito della scuola, del trafiletto sul giornale- barra -passaggio alla tv locale per il premiuccio ottenuto dalla classe Y con un lavoretto politicamente corretto, al massimo del saggio di fine anno.
P.S. Adesso oltre ad alunni H e con DSA, ne abbiamo anche con BES cioè "bisogni educativi speciali", una formula utile a promuovere tutti, ma proprio tutti. Era ora che al ministero comprendessero la necessità di una corsia preferenziale per gli asini e gli indisciplinati e ci dessero uno strumento come questo!
Quando ci daranno risorse invece che foglie di fico cartacee e pseudosoluzioni demagogiche?
Cercando sui vari siti delle scuole medie si resta stupiti della mediocrità e dell'appiattimento. La parola studio non esiste: esistono la Wikiscuola, le ricerche sulla mafia, i laboratori teatrali. Ma un ragazzo che voglia semplicemente studiare con professori seri dove va a sbattere?
Prof. Israel,
vorrei sottolineare un altro aspetto delle prove Invalsi, agli esami di licenza media: la falsificabilità dei dati immessi nel sistema dai docenti, costretti, volenti o nolenti, a farlo. Se un insegnante vuole, falsifica e se falsifica l'obiettività va a farsi strabenedire. Quindi, se non si può neppure avere un quadro obiettivo delle abilità di base, e se la falsificazione dei dati determina ulteriore ingiustizia nella determinazione della valutazione complessiva dell'alunno, poiché alcuni sono "aiutati" dalla falsificazione ed altri no, mi chiedo: non sono soldi e tempo buttati, anche solo per questo?
per Paolo Casucelli
I risultati invalsi sono al netto del cheating. Questo garantisce perlomeno la consapevolezza del problema e l'utilizzo di tecniche statistiche volte ad evidenziare comportamenti fraudolenti. Col tempo gli insegnanti e gli alunni troveranno che copiare o manipolare i dati non è conveniente.
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