A
norma di un decreto di un mese fa agli studenti che conseguiranno il diploma di
maturità con almeno 80/100 sarà conferito un “bonus” da 4 a 10 punti da sommare
al punteggio che otterranno nel test nazionale di ammissione alle facoltà
universitarie a numero chiuso. Allo sventurato che voglia capire il meccanismo
di assegnazione dei punti si dice che il voto ottenuto alla maturità dà diritto
a un incremento «in rapporto alla distribuzione in percentili dei voti ottenuti
dagli studenti che hanno conseguito la maturità nella stessa scuola nell’anno
scolastico 2011-12». Se vorrà approfondire il senso di questo gergo troverà nel
sito www.universitaly.it un tabulato
che specifica gli incrementi scuola per scuola: 208 pagine… Il succo di questa
cabala numerica è che per ottenere il massimo dei punti occorre un punteggio
che, nell’anno precedente, sia stato superato da una percentuale molto bassa di
studenti della propria scuola; se ne otterranno di meno con un punteggio che,
nell’anno precedente, sia stato superato da una percentuale nettamente più alta
di studenti; e così via. Se si esplora l’immane tabulato, prendendo ad esempio
scuole notoriamente eccellenti e altre notoriamente mediocri, si constata che
nelle prime è difficilissimo ottenere “bonus” significativi, al contrario delle
seconde. È evidente che il meccanismo produce un forte appiattimento e
ingiustizie plateali. Non a caso le proteste fioccano.
Un’analisi
anche sommaria mette in luce quattro aspetti. 1) Si voleva differenziare le
scuole per merito e, in virtù del meccanismo escogitato, si è ottenuto
l’effetto contrario. 2) Ogni studente, invece di essere valutato per i suoi
meriti, è valutato per il luogo che frequenta e nel confronto con la figura
astratta di “studente quadratico medio” della scuola, il che è sbagliato e ingiusto
(pochi punti possono essere decisivi). 3) Per l’ennesima volta si dimentica la
legge di Campbell: «quanto più un indicatore sociale viene usato per prendere
decisioni, tanto più sarà soggetto a pressioni corruttive e sarà atto a
distorcere e corrompere i processi sociali che dovrebbe valutare». Se questo
sciagurato sistema non verrà spazzato via, ogni scuola si metterà a calcolare il
modo per attrarre il massimo numero di studenti con il miraggio del massimo
“bonus”. Avremo commissioni d’istituto preposte a questi calcoli e gli
insegnanti saranno indotti a dare giudizi conformi al conseguimento
dell’obbiettivo. 4) Infine, quali costi ha avuto questa operazione, quanta
gente è stata impiegata per eseguire questi calcoli insensati? Ancora una volta
nessuno risponderà di un simile sperpero di denaro pubblico in tempi di tanta
ristrettezza per l’istruzione?
L’aspetto
2) evoca il caso di Naftalij Frenkel che, da detenuto del Gulag staliniano, ne
divenne uno degli organizzatori, sostituendo al primitivo e inefficiente
sistema di gestione, un sistema efficiente in quanto basato su una ripartizione
analitica del cibo secondo fasce di “merito”. L’unica differenza è che il
sistema di Frenkel faceva fuori scientificamente i più deboli mentre questo li
favorisce. Ma l’approccio spersonalizzante è lo stesso ed è da chiedersi perché
mai in questo paese, quando si parla di “merito” o di “efficienza” si debba
finire sistematicamente col ricorso a modelli autoritari e dirigisti,
oltretutto declinati all’inverso, cioè secondo una logica che premia il
demerito facendo finta di penalizzarlo. Sarà forse un’eredità imperitura del
totalitarismo fascista che, con anni e anni di ministero Bottai, ha impregnato
il sistema dell’istruzione?
Ma
c’è qualcosa di non meno perturbante: da mane a sera siamo assordati dalle
rapsodie di un’orchestra di tromboni “meritocratici” per poi assistere a
risultati del genere. È difficile trovare altra spiegazione se non il commento
sconsolato di un professore che, esausto dai vani tentativi di produrre
qualcosa di fattivo nella gestione del proprio istituto, osservò che il male
principale di questo paese è preferire le chiacchiere alle realizzazioni
concrete e semplici. Nel sistema dell’istruzione questa inconcludenza si
manifesta con il prevalere dei formalismi burocratici, assortiti da un
feticismo dei numeri che solo chi conosce davvero i numeri sa quanto sia
provinciale. Mi scrive un direttore di dipartimento universitario terrorizzato
per il diluvio di obblighi valutativi che piove sull’università: niente più
«studiare, scrivere, fare lezione, seguire tesi di laurea, dialogare con gli
studenti, creare occasioni di discussione; ma occupare settimane a decifrare
leggi fumose e contraddittorie, partecipare a interminabili riunioni di
indottrinamento amministrativo, compilare moduli». Non più insegnare, ma
«erogare didattica», nell’orrido lessico ministeriale. Ora le scuole vedranno
ridotto il tempo dedicato alla loro missione specifica – già mutilato da una
marea di certificazioni e di scartafacci – dalla necessità di mettere in moto
un meccanismo concorrenziale non sulla qualità dell’insegnamento, ma sulla gara
a chi costruisce le più furbe alchimie numeriche.
È
facile capire come mai, in un simile contesto, prevalga chi è capace di
produrre solo farragini inutili o dannose, come nel caso in oggetto, dopo le
tante prove a test fallimentari, la sgangherata agenda digitale o il progetto
di scuola “centro civico”. Inevitabilmente, gli orchestrali di questa rapsodia non
sono persone che vogliono fare cose ragionevoli e costruttive, ma un
battaglione di manager e tecnocrati “gestionali” che, falliti nel loro ambito,
sfogano le loro frustrazioni nell’istruzione con progetti universali, di
burocrati e azzeccagarbugli delle normative; il tutto con un contorno di
sadismo nei confronti di studenti e insegnanti.
Naturalmente,
in capo a tutte le responsabilità è quella della politica. E se qualcuno ha
sbagliato, e troppo, nel recente passato, ci si attende dal nuovo ministro che
cambi registro in modo radicale, facendo piazza pulita di prassi che stanno
facendo a pezzi il sistema italiano dell’istruzione e minano le possibilità di
ripresa del paese. Per cambiare registro basterebbe solo tornare al buon senso,
essere un po’ cartesiani nel senso delle “idee chiare e distinte”. Molti si
stanno rendendo conto che l’unico modo di affrontare le riforme costituzionali
ed elettorali è di adottare un approccio “cartesiano”. Perché non dovrebbe
essere lo stesso per l’istruzione?
(Il Mattino, 3 giugno 2013)
2 commenti:
Mi chiedo come sia possibile che continui questo legiferare vuoto e fine a se stesso, privo di contenuti e fatto subire al paese. Chi ne è responsabile? Questi funzionari hanno un nome e un cognome? A chi rispondono?
Egregio Professore
Quando si legge quello che si fa oggi nelle scuole francese
https://www.contrepoints.org/2013/06/12/127599-la-theorie-du-genre-a-lecole-une-realite-pour-des-centaines-decoliers
viene un brivido...un rischio per l'Italia se qualche riformatore si mette a voler imitare il ministro dell' "In-éducation Nationale" francese!
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