Le dichiarazioni del ministro Carrozza sull’esame di
maturità e sull’orientamento degli studenti in funzione del lavoro futuro
presentano aspetti interessanti e condivisibili. Troppi sono gli abbandoni
scolastici e l’università è spesso un’area di parcheggio in cui i tempi di
conseguimento della laurea si dilatano in modo eccessivo. È più che opportuno
che le scuole superiori accompagnino la funzione di formazione con una funzione
di orientamento che permetta allo studente di capire meglio sé stesso,
esplicitare le proprie preferenze, individuare la direzione per sviluppare nel
modo migliore le proprie potenzialità.
Sono propositi condivisibili ma perché abbiano successo
occorre gestirli con equilibrio. Vi sono situazioni in cui l’orientamento verso
una specializzazione definita si manifesta chiaramente, in altri casi una certa
indecisione può essere persino un fatto positivo. Sono noti i casi di famosi scienziati
di formazione classica e, viceversa, di persone che dal liceo scientifico sono
approdate alle scienze umane: talora è il segno di un’ampiezza di interessi che
sarebbe stolido soffocare nella culla. Abbiamo bisogno di persone qualificate
nelle professioni tecniche, ma una società avanzata ha anche bisogno di persone
dotate di basi generaliste solide tali da permettere il passaggio da un ambito
a un altro e determinare quella “cross-fertilization” che è fondamentale nelle
scienze di base; senza cui parlare di “società della conoscenza” è chiacchiera.
Quindi, il processo di orientamento deve essere concepito in modo costruttivo,
come parte integrante della formazione e non come un meccanismo di selezione
standardizzato che rischia di orientare in modo troppo brutale la formazione
delle capacità.
Occorre evitare una patente contraddizione: da un lato non
si fa che parlare di una scuola adattata ai singoli, persino con curricula
individualizzati e, dall’altro, si standardizzano sempre più le valutazioni. Va
detto chiaramente: da un processo serio di orientamento i test debbono restare
fuori. Ed è da augurarsi che a nessuno venga in mente una selezione di tipo
psicologico-neuronale, secondo quella moda un po’ razzista per cui sarebbe già
scritto nei geni se faremo il pompiere o il giornalista. Il profilo dello
studente, in funzione del suo futuro, deve essere costruito in modo accurato e
cauto dall’istituzione scolastica, in primo luogo dagli insegnanti. L’idea di
stage e tirocini nel mondo del lavoro è una buona idea ma, come ha detto il
ministro, è adatta in particolare negli istituti professionali e quando l’opera
di orientamento ha raggiunto un grado di determinazione elevato, altrimenti si
rischia la dispersione e altre forme di parcheggio e perdite di tempo. Purtroppo
in Italia nel mondo imprenditoriale esiste una tradizione assistenzialista:
speriamo che qualcuno non persegua l’idea di usare l’istruzione come sistema di
formazione di addetti per le aziende a spese dello stato. Da questo punto di
vista colpisce che non si parli di stage ed esperienze nei settori culturali
che rappresentano il patrimonio più importante del paese. Perché non pensare a
orientare giovani (con opportuni stage di formazione) verso il recupero
archeologico, il restauro delle opere d’arte, la riqualificazione dei musei e dell’immenso
patrimonio librario del paese? Ci si rende conto che l’Italia è uno dei pochi
paesi avanzati al mondo che non ha fatto nulla per digitalizzare questo
patrimonio librario? Eppure si tratta di uno straordinario bacino di ricchezza
che può costituire un volano importante per il tanto agognato sviluppo.
È tristissimo vedere in quale conto vengono tenuti i nostri beni
culturali, artistici e architettonici. Chi dovrebbe coltivare questi beni se
non un paese come il nostro? E, non solo per sfruttarne l’enorme potenzialità economica,
ma per fare di molte nostre università il polo di attrazione dei tanti studenti
stranieri interessati agli studi classici, alle arti figurative e all’architettura
e disposti a studiare l’italiano. L’interesse a studiare in Italia è più stimolato
da simili intenti che non dal perfezionamento in alcuni settori
tecno-scientifici in cui è difficile recuperare in breve tempo una posizione di
primo piano. Ma, come sento raccontare da colleghi, gran parte degli studenti che
vengono da noi con quegli interessi non sono di madre lingua inglese, e si dà
lo spettacolo penoso di lezioni impartite in un inglese mediocre a persone che
non lo sanno… Speriamo quindi che i buoni propositi del ministro Carrozza
riescano a imporre una visione culturale ampia di tutto ciò che l’istruzione
può dare al paese.
(Il
Giornale 19 giugno 2013)
2 commenti:
Le risulta che le università italiane si avvieranno a considerare il libro un costo e quindi dismetteranno progressivamente gli acquisti cartacei?
Non mi risulta, ma ormai nulla mi sorprende più.
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