Domani
avranno inizio gli esami di maturità e già sta per partire il rito consueto: la
pubblicazione delle “tracce” dei temi di italiano, con i commenti di noti
letterati, intellettuali ed editorialisti; poi sarà la volta delle versioni di
latino e di greco, del problema di matematica, anche qui con i consueti
commenti degli specialisti. È un rito che ha un senso, perché corrisponde a
un’idea dell’esame di maturità consolidata negli anni, e che appartiene alla
memoria non solo degli anziani, ma anche di tanti giovani: un passaggio
cruciale nella vita, una sorta di rendiconto, di bilancio finale di tanti anni
di scuola, che è preceduto da un impegno finale che è l’acme del periodo della
prima giovinezza. Questo è stato l’esame di maturità per quasi tutti, anche per
i più giovani, anche se negli ultimi anni si è attenuata la durezza di questo
passaggio che faceva sì che i meno giovani se lo ricordassero (e persino lo sognassero)
per anni, ma anche in termini positivi, come una tappa e una conquista
memorabile nella propria vita.
In
realtà, continuiamo a ripetere il rito, ma del passaggio memorabile è rimasto
poco o niente. Difatti, la portata dell’esame di maturità è stata depotenziata,
svuotata: conta poco o niente ai fini dell’accesso alle università e, nel caso
specifico della facoltà di medicina, il sistema della selezione test d’ingresso
ne ha definitivamente annullato il valore. Pertanto, possiamo continuare a
sviluppare le nostre elucubrazioni sui testi di esame, ma i giovani esaminandi hanno
tutte le ragioni di assegnare un’importanza assai modesta a questo passaggio. Quel
che è davvero triste è che il cambiamento è avvenuto in modo surrettizio,
diciamo pure ipocrita; e verrebbe voglia di aggiungere, “all’italiana”. Noi ce
ne asteniamo perché siamo contrari alla cattiva abitudine dell’autofustigazione
nazionale. Ma certo, come ignorare il fatto che da noi le “riforme” si fanno
sempre così, mai a viso aperto, mai in una volta sola, sempre a pezzi e a
bocconi per non attirare l’attenzione e mettere di fronte al fatto compiuto? La
tecnica è collaudata. Si cominciano a lanciare “ballon d’essai” quanto più
possibile radicali: nella fattispecie, si parla di abolire seccamente l’esame
di maturità, o di sostituirlo con un “portfolio” che attesti il percorso
scolastico seguito, o addirittura con una prova Invalsi. I “lanci” vengono
amplificati, tanto per abituare alla prospettiva di un cambiamento radicale, all’abbandono
del vecchio arnese dell’esame di stato. E poi, senza discussione e senza
motivazioni esplicite, si comincia a sbocconcellare il vecchio arnese,
riducendolo a una vuota formalità. È una prassi che è in atto sul tema della
riduzione del liceo a quattro anni. Prima si “sperimenta” la novità in alcuni
licei, poi se ne aggiungono alcuni altri, poi si continua a martellare sulla
opportunità della “riforma”, che intanto va in porto dietro le quinte. Allo
stesso modo è passata la sperimentazione dell’alternanza scuola-lavoro nei due
ultimi anni delle scuole secondarie di secondo grado, con un decreto di pochi
giorni fa che è un trionfo dello stile dei burosauri, e che lascia aperta ai
limiti del comico la questione di cosa mai potrà dare in termini di formazione
a uno studente dei licei scientifici o classici una delle (quasi tutte) piccole
o medie aziende italiane.
La “sperimentazione” è la parola magica con
cui da noi si fanno le riforme, a pezzi e a bocconi, per accontentare questa o
quella corporazione, nell’assoluta assenza di un disegno organico e con l’esito
(collaudato da un trentennio) di scassare il sistema senza costruire nulla di
sensato.
Sia
ben chiaro. Non siamo nostalgici dei tempi che furono. Ci è perfettamente
chiaro che è improponibile un esame di stato in cui in un colpo solo ci si gioca
tutta la carriera scolastica. Si rifletta – esplicitamente e meditatamente –
sui cambiamenti opportuni, tra cui un maggiore peso per la carriera scolastica.
Ma è inammissibile che, in un sistema d’istruzione in stragrande prevalenza
pubblico, non esista una prova finale, un giudizio di valore riconosciuto, senza
cui la carriera scolastica si riduce a una inutile sceneggiata: perché
impegnarsi a studiare seriamente per un titolo che non vale niente? E in cambio
di cosa? Della riduzione dell’accesso alle facoltà universitarie mediante quiz
sulla cui qualità ormai è maramaldesco insistere? Eppure il modo in cui si
evita di discutere i problemi autentici dell’accesso alla facoltà di medicina
sembra indicare che dai quiz non ci sarà verso di liberarsi.
Sarà
inutile, ma tanto vale chiederlo: ci si fermi. Si restituisca alla scuola un
serio esame di maturità in cui il tema d’italiano sia l’occasione per gli
studenti di esibire la capacità di scrivere in una bella lingua su un argomento
mentalmente aperto e non dettato dalle coercizioni del burocratese e del
politicamente corretto e che, assieme alle altre prove, costituisca il
traguardo finale del lungo percorso scolastico che, come tutti i traguardi, dia
luogo a una valutazione avente un valore per il futuro. Altrimenti, meglio
smettere il rito ipocrita di parlare di merito e di rigore.
(Il Mattino, 17 giugno 2014)
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Dopo tanti anni di ripetute delusioni i temi di italiano per la prova di
maturità del 2014 costituiscono una piacevole e positiva sorpresa, un ritorno
alla qualità e al buon senso. Ciò fa sperare che, commentandoli, non stiamo ripetendo
uno stanco rito attorno a una realtà agonizzante ma stiamo salutando l’inizio
della riqualificazione di un esame che, per dirla col ministro Giannini, è
tutt’altro che invecchiato e rappresenta lo spartiacque tra la fine della
scuola e l’inizio di una nuova vita proiettata verso il lavoro.
Poco vi è da dire sul brano proposto per l’analisi del testo, che non è il
temuto brano pseudo-letterario ma una bellissima poesia di Salvatore Quasimodo,
uno dei nostri migliori poeti
contemporanei; così come sono quasi tutti indovinati i brani che offrono
materia per il saggio breve sul tema “il dono”. Non siamo d’accordo con chi ha
trovato generici i temi di ordine generale ispirati rispettivamente alla frase
di Renzo Piano sul “rammendo delle periferie” di un paese “straordinario e
bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile”, e alle differenze tra l’Europa
del 1914 e l’Europa del 2014. Si è temuto che la loro indubbia difficoltà potesse
aver aperto la strada alla chiacchiera generica. Ma il tema “libero” – non
dispiaccia a chi lo proscrive a priori – ha proprio questa virtù quando è ben
formulato, e cioè di mostrare se il candidato possiede un retroterra di
conoscenze e una capacità riflessiva atte a riempire pagine piene di contenuti
e non di logorrea evasiva. Va apprezzato il fatto che è stata evitata la caduta
banale sull’attualità per trasferire la riflessione sullo stato attuale della
costruzione europea entro un rigoroso confronto storiografico basato su temi
precisi: forme istituzionali, stratificazione sociale, rapporti tra cittadini e
istituzioni e tra stati, ecc. È altresì chiaro che sviluppare una riflessione
su cosa può concretamente significare un “rammendo delle periferie” è
tutt’altro che facile ma chiama allo sforzo di dire qualcosa di concreto e
soprattutto di costruttivo e positivo: è facile immaginare quale diluvio di
chiacchiere puramente negative avrebbe prodotto un tema sul “degrado delle
periferie” (ecco l’esempio di un cattivo tema libero). Troviamo apprezzabile
anche la scelta degli argomenti dei saggi brevi in ambito tecnico scientifico
(“Tecnologia pervasiva”), socio economico (“Le nuove responsabilità”),
storico-politico (“Violenza e non violenza: due volti del Novecento”); e
tuttavia con due riserve. Soprattutto gli ultimi due erano effettivamente un
po’ troppo generici e si prestavano alla divagazione inconcludente. Tuttavia,
mentre la buona scelta dei testi relativi al tema sulla violenza e non violenza
(Mosse, Benjamin, Arendt, Ghandi, King) era tale da contenere tale possibile deriva,
i testi scelti per gli altri due temi erano francamente molto al di sotto di
quel che può offrire la saggistica in materia. Su un argomento complesso e
controverso come la portata sociale e culturale delle nuove tecnologie sono
disponibili riflessioni ben più profonde e atte a sviluppare lo spirito critico
dei brani modesti che sono stati proposti ai candidati.
5 commenti:
Professor Israel, il metodo vigliacco e manipolativo di forzare le "riforme" che lei descrive nel primo dei suoi pezzi qui riprodotti, sara' contemporaneo, ma non e' certamente ne' particolarmente italiano ne propriamente "all'italiana". E' internazionale e particolarmente britannico, ed e' il modo in cui la classe dirigente britannica ha fatto ingoiare al paese tutte le piu' rovinose porcherie. Evidentemente gli italiani imparano bene.
Professor Israel, il metodo vigliacco e manipolativo di forzare le "riforme" che lei descrive nel primo dei suoi pezzi qui riprodotti, sara' contemporaneo, ma non e' certamente ne' particolarmente italiano ne propriamente "all'italiana". E' internazionale e particolarmente britannico, ed e' il modo in cui la classe dirigente britannica ha fatto ingoiare al paese tutte le piu' rovinose porcherie. Evidentemente gli italiani imparano bene.
Infatti avevo detto che lo dicevo e lo ritiravo per non indulgere all'autofustigazione nazionale. È desolante sapere che in Gran Bretagna si è proceduto così: si attribuivano altre virtù al paese, che evidentemente ha perso. In Francia pure hanno fatto degli orrori indicibili, ma a viso aperto, diciamo pure con eccessiva ed esplicita brutalità, ma almeno si ha di fronte qualcosa di definito.
A tutti questi ragazzi che si affacciano alla vita un augurio di impegno nello studio universitario o nelle professioni. Gli esempi sono pessimi e le classi dirigenti mentono,ma per fortuna il cervello dell'uomo non sono ancora riusciti ad appiattirlo del tutto ...
Mi fa piacere che anche Lei abbia apprezzato i titoli delle tracce. Ne ho parlato nel mio blog, ma ho ricevuto molte critiche. Tra le più interessanti "http://ilfromboliereentusiasta.wordpress.com/2014/06/19/il-dono/".
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