Il documento del Gruppo di docenti fiorentini “per la scuola del merito e della responsabilità”, da taluno ritenuto generico, è invece bastato a suscitare le ire del segretario scuola della Cisl. Questo signore, anziché render conto delle competenze che gli darebbero diritto a parlare di come gestire la scuola, ha intimato ai firmatari di non aprir bocca prima di aver spiegato come hanno raggiunto le loro posizioni professionali. Insomma, professori come Sartori, Schiavone, Bodei, Craveri, Ferroni, Galli Della Loggia, Vassalli, Veca, eccetera dovrebbero render conto a lui di come sono andati in cattedra… Il ministro Fioroni, presente, non ha fatto una piega. Né ha fatto una piega il professor Tagliagambe, che anzi si è adoperato a spiegare come invece di riforme bisogna occuparsi di metodologie didattiche e del passaggio dal “sapere” al “saper fare”. «Meglio una testa ben fatta che una testa piena», ha proclamato nello stile sovietico di chi si arroga il diritto di determinare come “rifare le teste” delle persone, invece di fornir loro saperi che li rendano autonomi nel giudizio. Difatti, è più facile controllare le teste vuote che non quelle piene. E ha ammannito la solita tiritera sugli insegnanti che devono essere rimodellati a “guide”, “facilitatori”, insomma a passivi esecutori delle metodologie di modellazione delle teste.
Non è ancora chiaro che esiste un connubio naturale tra il corporativismo statalista dei sindacati e il pedagogismo metodologico (la solita scienza dei nullatenenti)? Non a caso, nei documenti in circolazione, i “metodologi” si spostano da tutte le parti pur di trovare quella che continui a dar loro la possibilità di seguitare a vivisezionare la scuola con le loro teorie. Non è un caso che la bestia nera di questi signori siano i contenuti e le conoscenze. L’ho sperimentato direttamente nella mia esperienza nella Commissione ministeriale per il miglioramento dell’insegnamento della matematica. Appena mi è scappata di bocca la parola “programmi”, qualcuno mi ha detto con supponenza che quella parola era impronunciabile in quanto espressione di un insegnamento “trasmissivo” e “impositivo”, che bisogna parlare soltanto di “indicazioni”: i programmi si fanno concretamente in classe. Il risultato è che, siccome qualcuno i programmi, in fin dei conti, li deve fare, tutto è delegato alle case editrici che pubblicano qualsiasi cosa, anche testi di matematica dove s’inventa la “legge dissociativa” dell’addizione.
Frattanto, cosa produce il rifiuto di parlare nel merito? Che di questioni di merito si parla lo stesso, ma in modo assolutamente incompetente. Prendiamo il recente documento ministeriale di linee guida sul “nuovo obbligo d’istruzione”. Le competenze da acquisire nell’asse scientifico-tecnologico sarebbero: «Osservare, descrivere ed analizzare fenomeni appartenenti alla realtà naturale e artificiale e riconoscere nelle sue (sic!, proprio “sue” e non “loro”) varie forme i concetti di sistema e di complessità». Qualsiasi persona un minimo “competente” sa che i concetti di sistema e soprattutto di complessità sono soggetti a definizioni diversissime e sono quanto mai sfuggenti, anche per uno specialista. I recenti atti di un convegno internazionale di specialisti sul tema sono intititolati Complessità: chimera o realtà?. E si pretende che un ragazzo sia capace di manipolare qualcosa che non è neppure ben definito sul fronte della ricerca e forse è persino una chimera! Ecco a chi è in mano la scuola italiana, a metodologi che possiedono soltanto tre “competenze”: l’ignoranza, la presunzione e la capacità illimitata di scrivere frasi vuote di senso e sgrammaticate ma pompose nella forma.
(Tempi, 17 aprile 2008)
3 commenti:
E DAGLI ALLO STRONZIO!
(Nel breve scritto che segue mi concederò qualche licenza… chimica!)
“Professo’, lei non è antipatico, è solo un po’ stronzio…”
Il sottoscritto insegna Matematica in un Istituto Professionale per l’Agricoltura, l’Ambiente, e Chimico-Biologico.
Sarà anche per questo che, a volte, viene associato dagli studenti all’elemento chimico n. 38 della Tavola Periodica (lo stronzio, appunto…).
Il commento prima riportato è la reazione di uno studente ad un punteggio bassissimo che il sottoscritto aveva assegnato ad un esercizio (di una verifica scritta) in cui lo studente, ad un certo punto, aveva commesso un errore matematico plateale.
Purtroppo, non è solo qualche studente a dare al sottoscritto, a volte, dello stronzio, ma anche (sotto sotto…) qualche collega (e non, si badi bene, di Chimica, né di Matematica!).
Insomma: abbasso l’errore o evviva l’errore (come sostiene qualcuno)?
Ma forse sarebbe meglio chiedersi: abbasso lo stronzio o evviva lo stronzio…?
Giorgio Della Rocca
Non posso trascurare i meriti degli allievi, ma nemmeno passar sopra i loro demeriti (e, sia chiaro, anche noi insegnanti abbiamo sia gli uni che gli altri).
È vero che la conoscenza scientifica procede, generalmente (per dirla con Karl Popper), per tentativi ed errori, come anche, generalmente (per dirla con Imre Lakatos), quella matematica (perlomeno, nella sua fase induttivistica), ma la cosiddetta ‘legge biogenetica fondamentale’, secondo la quale “l’ontogenesi [lo sviluppo dell’individuo] è una ricapitolazione abbreviata e incompleta della filogenesi [lo sviluppo della specie]” – si tratta di una legge pseudoscientifica, che il naturalista (vissuto nel XIX secolo) Fritz Müller aveva inizialmente formulato solo per i crostacei e il biologo Ernst Haeckel (vissuto fra il XIX e il XX secolo) aveva poi esteso a tutte le specie animali, uomo compreso –, non è affatto accettata da tutti, e anzi pare sia stata il frutto anche di falsificazioni (stavolta, non troppo popperiane…), da parte di Haeckel, come egli stesso ammise, di alcune rappresentazioni di embrioni animali (si veda, ad esempio, il cap. ‘Falsi fossili e anelli mancanti’ del libro “Le bugie della scienza” di F. Di Trocchio, 1993).
Gent.Mo Professore
per dirle quanto sono d'accordo con lei le allego di seguito una delle tante lettere che, come genitore, ho inviato da due anni a questa parte alla Preside, al Consiglio d'Istituto, al Consiglio di classe e agli innumerevoli, inutili e dannosi organismi che sopraffanno la scuola, in qualità di genitore. Ovviamente nessuna di questa ha avuto alcun esito e ho potuto reagire solamente ai Corsi di affettività non mandando a scuola mia figlia.
E' una lotta impari e donchisciottesca che fa solo passare per matto un genitore. Ho provato perfino a far leggere ad una prof. i suoi lucidissimi articoli de Il Foglio, ma credo di averla solo innervosita.
C'è da augurarsi, senza grandi speranze, che il nuovo governo si faccia carico non di una nuova riforma ma di una rivoluzione che potrei sintetizzare nello slogan "fuori i mercanti dal tempio".
Grazie per l'attenzione
Pietro Pagliardini, Arezzo
AI RAPPRESENTANTI DI CLASSE DELLA 1B
Della Scuola Media IV Novembre
Congratulandomi con voi per l’elezione, vengo a chiedervi di interessarvi di un argomento già affrontato durante la recente assemblea e da me, in parte, contestato, cioè il Progetto Ambiente.
Premessa
Chiarisco che io non nutro alcuna simpatia per l’istituzionalizzazione dei “Progetti”, di qualunque natura e genere essi siano, dato che nella scuola vi sono già:
• troppe materie
• troppi libri
• troppi professori
• troppe ore di lezione
per cui aggiungere moduli di altre discipline, generalmente legate più alla società che all’apprendimento in senso stretto, non fa che aumentare il caos, disperdere l’interesse dei ragazzi, dissipare il già frenetico tempo in divagazioni e gite certamente gradite ai giovani (perché poco impegnative e spesso divertenti) ma il più delle volte inutili quando non dannose.
Notoriamente, per volere strafare si finisce per non fare niente (come in effetti avviene, se è vero che la scuola italiana è agli ultimi posti in Europa).
Io credo che nella scuola vi sia troppa “società”, lascito culturale e politico del ’68 di cui anch’io, per motivi generazionali, porto, ahimé, le mie colpe. La società ha occupato la scuola in maniera pervasiva, ne ha abusato in maniera violenta fino a piegarla e le vittime sono gli studenti di oggi e perciò la società di domani. Da una totale separazione tra scuola e società, certamente anacronistica, siamo passati all’estremo opposto in cui la scuola è uno dei campi in cui si combatte lo scontro politico e sociale, tanto che al centro di essa non vi sono più, da immemorabile tempo, gli studenti ma i problemi sindacali degli insegnanti, del personale in genere, i gruppi e le associazioni che costituiscono il business dei progetti e delle gite, i corsi di formazione (altro gigantesco affare che permea ormai molti altri settori della società), i problemi occupazionali, gli interessi elettorali di ministri, partiti, provveditori-candidati ecc. ecc.
Per questo penso che il miglioramento della qualità dell’insegnamento passi da un ridimensionamento forte della società nel mondo della scuola e che l’azione di contrasto ai vari “Progetti” sia uno dei momenti fondamentali che ha il pregio di essere, in qualche misura, controllabile dal basso, cioè dai genitori e dagli insegnati.
So che questa lettera verrà interpretata, nell’ambito scolastico, in termini politici, con un pregiudizio almeno pari a quello che io nutro nei confronti di quel mondo; la differenza tra i due pregiudizi sta nel fatto che il mio si basa sul dato di fatto del riconoscimento unanime (salvo da chi è in assoluta mala fede o è duro di comprendonio) del disastro inarrestabile della scuola italiana e, con esso, della mancanza di cultura dei nostri figli i quali impareranno, dai vari “Progetti”, che ci si deve mettere il casco, che i figli si fanno accoppiandosi tra uomo e donna, che le auto inquinano, che la droga fa male o al massimo non fa bene, che il sole è bello e il nucleare cattivo (salvo poi il fatto che i ragazzi non fanno un passo senza l’automobile, consumano ogni cosa in maniera dissennata, si sballano in discoteca fino alla mattina, ecc.) ma, alla fine, non sanno scrivere neanche una relazione di lavoro senza riempirla di strafalcioni, possiedono un vocabolario di 500 parole, sono totalmente ignoranti in campo scientifico, non hanno strumenti per decifrare la realtà perché hanno subito solo un indottrinamento di luoghi comuni e di buone intenzioni.
La scuola (cioè lo Stato) si è sostituita anche alle famiglie, inculcando nei giovani una moltitudine di “valori”, mentre quelli da insegnare sono pochi e tutti relativi alla civile convivenza, debordando perciò dai propri compiti, dovendo invece essa istruire e fornire gli strumenti critici e lasciare alla libertà delle famiglie e all’intelligenza dei ragazzi il compito di elaborare propri valori e proprie idee.
Naturalmente ho esasperato alcuni concetti e so che esistono meritevoli eccezioni, sia individuali che collettive, ma sono assolutamente convinto che il quadro sostanziale sia questo e il paradosso è che, parlando con i singoli insegnati, quasi tutti ammettono che l’analisi corrisponde al vero. Ma allora se moltissimi credono che questa sia la situazione reale perché rassegnarsi e subire tutto passivamente? A chi giova la politica dello struzzo se non a conservare e alimentare lo stesso andazzo?
Non nutro alcuna presunzione di cambiare il mondo (il ’68 è lontano molto più di 38 anni) ma il comportamento collettivo è la somma dei comportamenti individuali e dunque ognuno di noi ha la possibilità, se lo vuole e se è d’accordo, di esprimere le proprie convinzioni, nella speranza di fare una breccia nel muro di conformismo e indifferenza e di riuscire a cambiare piccole cose che riteniamo sbagliate.
*****
La richiesta
Fatta questa lunga premessa vengo all’oggetto e chiedo formalmente a voi, rappresentanti della classe, che vi facciate parte diligente per mettermi al corrente dei dettagli del progetto ambiente, nel senso di conoscere:
1. i principi che guideranno il progetto stesso, quali siano i criteri ispiratori (escludendo parole d’ordine e frasi fatte); la richiesta è quasi pleonastica perché per fare un “Progetto” ci vuole prima un “progetto”: dunque questo ci sarà e dovrebbe essere teoricamente facile acquisirlo (anche perché sarà quasi la fotocopia di quello stesso di 11 anni fa cui ha già partecipato mio figlio più grande e che avevo, in maniera assolutamente solitaria e velleitaria, già contestato alla Preside di allora, attuale assessore alla cultura della Provincia);
2. chi siano i soggetti interessati e quali titoli, personali e di gruppo, abbiano per farlo;
3. quali siano i costi del Progetto (nel totale o per classe non importa, basta che si conoscano tutti gli elementi che poi le divisioni le so fare da me);
4. quanto personale vi sia impiegato, non solo da parte delle varie associazioni ma anche da parte degli enti che vi concorrono (Provincia, AISA, ETA 3, ecc.);
5. quanto percepisca ciascuna associazione o cooperativa o gruppo (stesso discorso del punto 3).
Questo “Progetto Ambiente”, in particolare, ha molto poco di scientifico, qualcosa di informativo, moltissimo di ideologico perché deve essere chiaro che la parola d’ordine “sviluppo sostenibile”, che viene veicolata ormai come un dato di fatto basato sulla scienza, è un’opinione come un’altra, un orientamento “filosofico” che si è trasformata in ideologia e che i nostri figli, e non solo, prenderanno come dato scientifico e come “valore” e su di essa costruiranno la loro visione del mondo e del rapporto tra uomo e natura. Ciò è, a mio parere, inaccettabile.
Sono consapevole del fatto che verrò catalogato come reazionario e rompi scatole: accetto senz’altro la seconda definizione ma rinvio da subito al mittente la prima non foss’altro perchè la verità è rivoluzionaria e io chiedo solo di sapere la verità. Se poi per reazionario si intende colui che reagisce ad un’azione (dannosa) e vorrebbe tornare ad avere una scuola che svolge il suo compito allora sì, mi piace anche il reazionario e l’accetto di buon grado.
Mi rendo anche conto che non sarà facile ottenere questi dati e se non ci riuscirete del tutto non ve ne farò certo una colpa, l’importante è che ci proviate, anche se non ne condivideste spirito e contenuti, perché credo sia un mio diritto di genitore e di cittadino e credo anche che sarebbe molto utile a tutti per inquadrare meglio i termini del problema, in modo tale che, quando la scuola decide di “fare un Progetto”, si sappia cosa c’è realmente dietro il velo della didattica e si decida di conseguenza, ognuno in base alle proprie convinzioni e sensibilità.
Arezzo 23 ottobre 2006 Cordiali saluti
Pietro Pagliardini
Il suo intervento è esemplare e perfetto.
Come lei dice, è una lotta impari. Ma siamo in tanti a pensarla così, certamente la maggioranza.
Non dobbiamo disperare, e soprattutto non dobbiamo cedere alla tentazione di mollare la presa neppure per un minuto. Lo dobbiamo ai nostri figli e nipoti.
E questo è il momento per far sentire con tutti i mezzi che ciascuno ha a disposizione, incluse lettere a diluvio ai responsabili politici, la volontà che le cose cambino radicalmente.
Fuori i mercanti dal tempio.
Dobbiamo aver avuto un caso di telepatia, perché è una formula che mi è venuta in mente molte volte.
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