Dice Amos Oz che riportare a casa i morti è un obbligo morale che fa parte dell’etica ebraica. Così detta è una colossale sciocchezza. La religione e l’etica ebraica pongono la vita al di sopra di tutto e non ammettono che la morte trascini nel suo gorgo la vita. L’ebraismo non ha il culto della conservazione dei cadaveri, e difatti prescrive il seppellimento in terra, perché la polvere torni alla polvere e nella terra trovi il riposo. È quindi essenziale riportare i corpi al riposo della terra e al rispetto ma il problema è il prezzo e questo prezzo non può essere quello della vita. I poveri resti dei due soldati Eldad Regev e Ehud Goldwasser non sono stati scambiati soltanto con un criminale efferato che ha ucciso una bimba di 4 anni fracassandole la testa ma con la vita dei cittadini israeliani, che ora vale molto meno di prima. Difatti ora i terroristi sanno che il governo israeliano è disposto a dare quello che essi vogliono – colleghi terroristi vivi – in cambio di un’altra cosa che vogliono – brandelli di israeliani uccisi. Tanto per cominciare essi sanno che Gilad Shalit vale morto quanto vale (o valeva) vivo e quindi la sua ipotetica vita non vale più niente.
Si lasci quindi in pace la religione e l’etica ebraica. Come ha bene spiegato Benny Morris i padri fondatori di Israele – che non erano meno ebrei degli attuali governanti – non si sarebbero mai sognati di praticare uno scambio simile. Pertanto, le motivazioni religiose e morali sono prive di fondamento e casomai potrebbero essere il paravento di motivazioni diplomatiche, tattico-strategiche o propagandistiche. Ma quali? Lo scambio accettato da Israele ha condotto soltanto a un tragico indebolimento della sua immagine che assomiglia a quella di una tigre di carta, sia pure in un’ottica alimentata dalla paranoia che tuttavia può avere effetti disastrosi. Difatti, a cosa può condurre la convinzione (sia pure l’illusione) di una profonda debolezza di Israele se non ad alimentare nuove tragedie e nuovi devastanti conflitti? Il minacciare interventi di Israele contro un Iran lontano non migliora le cose se è congiunto all’immagine di un governo incapace di affrontare il nodo di un assedio vicino, da parte di milizie che ormai tengono sotto il tiro di migliaia di missili l’intero suolo israeliano (in barba alla missione Unifil, derisorio “successo” del nostro precedente governo). Una condizione del genere evoca l’immagine di un paese-portaerei, anzi di una portaerei sotterranea, capace di possenti interventi dal sottosuolo su in aria e incapace di preservare la vita e la sicurezza dei suoi abitanti. È un’immagine pericolosa perché alimenta, al di là della realtà, sentimenti non di pace ma di guerra, attraverso la convinzione crescente che Israele sia una pianta fradicia che basta scuotere con forza per far cadere a terra. Tra le tante manifestazioni in questo senso la più significativa è data dal comportamento del “moderato” presidente di Fatah, Abu Mazen, che ha avuto l’impudenza di congratularsi con l’assassino truculento e la sua famiglia. Questo è l’uomo su cui più conta Israele per fare la pace…
Cosa resta allora? L’argomento propagandistico? Di fronte allo spettacolo indecente delle manifestazioni di giubilo in Libano, di fronte al presidente Suleiman, al premier Siniora, al presidente del Parlamento Nabih Berri, ad autorità e vescovi tutti ad assistere al discorso dello sceicco Nasrallah, leader di Hezbollah, e poi cerimonie, bandiere, archi di trionfo, il portavoce militare israeliano ha dichiarato «povero quel popolo che si vanta di eroi del genere», alludendo al pluriassassino e riecheggiando analoghe parole di Olmert. E il Presidente Peres ha chiesto: «Dov’è la vittoria morale suprema? Qui, fra le candele del ricordo e non laggiù. Vergogna al Libano».
Parole sacrosante. Ma chi le condividerà? Diciamo le cose come stanno. Sulla stampa internazionale leggiamo molte notizie, presentate in modo anodino, ma finora abbiamo letto ben pochi editoriali di denuncia di questa aberrazione morale, di questa discesa negli abissi del disumano e che riconoscano dove sta il rispetto della vita. Anzi, siamo pronti a sentire – appena le acque si calmeranno e forse anche prima – nuove accuse contro Israele, stato “razzista” e “nazista”, nuovi appelli di intellettuali contro l’“occupazione”, nuove raffiche di condanne da parte di quell’inqualificabile congrega che è la commissione per i diritti umani dell’Onu. Peres può dire quel che vuole, ma fa male a illudersi che la sagra dell’immoralità non sia anche in occidente.
Qui sta la grande e fondamentale differenza tra i gli attuali esangui dirigenti di Israele e i padri fondatori dello stato. Questi ultimi si basavano sul solido principio che la morale e la vita non si barattano per ottenere la condiscendenza degli assassini, di coloro che tengono loro bordone o di chi si volta dall’altra parte. Non è giusto e non serve a niente, se non ad alimentare la pianta del male.
2 commenti:
Si disse dopo l'11 settembre: "il mondo (occidentale?) non sarà più come prima". I più avvertiti già da tempo avevano sospetti in tal senso. Ora però l'atteggiamento di tanta parte dell'Occidente, per un verso nei confronti di Israele, per l'altro verso nei confronti di Cina, di tanti altri stati e di tanti maligni "movimenti" è conclamato. Verso quale futuro conducono menzogna incertezza vigliaccherìa confusione e le minute convenienze a breve termine? è sull'autolesionismo e sull'ottusità che avvieremo il futuro dell'Occidente? Ora è sotto gli occhi di tutti: il mondo non è più come prima... ma nel senso che noi fessi pensavamo subito dopo l'11 settembre?
E' molto triste che la stampa e l'opinione pubblica, così pronte all'indignazione per ogni azione di Israele, questa volta si limitino a riportare i fatti. Senza lasciar trapelare neppure un briciolo di indignazione o di orrore. Eppure, proprio in un caso come questo (probabilmente, è vero, una prova di debolezza di Israele), la distanza morale mostrata è abissale, in nessun modo occultabile. Con quali acrobazie dialettiche tenerla nascosta o ribaltarla? Semplice: il silenzio, mascherato da resoconto crudo dei fatti, senza prendere posizione. In certi casi non pronunciarsi è il modo più sottile per tenere una posizione.
Posta un commento