lunedì 7 settembre 2009

LA NOTTE IMPENETRATA

Probabilmente mentre si dorme si sogna sempre ma gran parte dei sogni viene dimenticata, a meno che non si attribuisca importanza al sognare. Sapevo che, rileggendo l’Interpretazione dei sogni di Freud avrei ricominciato a ricordarli, come la prima volta. Ed è successo che, risvegliandomi da un sogno, ho pensato all’articolo sulla coscienza da scrivere sul Foglio. La relazione tra le due cose mi è apparsa presto chiara, mentre per capire il sogno mancano troppi elementi: è noto che interpretare i sogni è difficile, soprattutto se si fa a meno di schemi preconfezionati.
Nel sogno tornavo da chissà quale assenza e di che durata per ritrovare mio padre. Mia madre non c’era; se era assente perché morta anche nel sogno, non era chiaro: nel sogno l’assenza non è mai definitiva. La grande casa ripartita un tempo in uno studio medico e in un’abitazione, era ora divisa in due appartamenti distanti. Nel primo mio padre custodiva in una culla il mio primo figlio ridiventato neonato, ma io, che apparentemente ero venuto per riprenderlo, dovevo cercarlo nell’altro appartamento. Entravo nel portone della casa in cui ho vissuto da bambino gettando uno sguardo nella cassetta delle lettere di cui riconoscevo anche col tatto il legno marrone scuro consunto scorgendovi dei plichi a me indirizzati, tra cui le istruzioni del cellulare che ho comprato da poco, ma non li prelevavo nonostante avessi le chiavi in tasca. Il portiere mi salutava cordialmente, ma era un altro, mai visto. Salivo le scale riconoscendo gradini, piastrelle, pareti con dettagli dimenticati, ed entravo trovandovi mio figlio, ma più grande, forse dell’età di cinque o sei anni, per nulla sorpreso di vedermi, come se ci fossimo incontrati un minuto prima. Il proverbiale disordine di mio padre era evidente nel pavimento delle stanze, cosparso di giocattoli. Erano i miei giocattoli, di quando avevo l’età di mio figlio, giocattoli dimenticati e ora riscoperti uno ad uno, passando di stanza in stanza, mentre al tatto le maniglie di ottone rivelavano forme toccate tanti anni fa e finora del tutto dimenticate, come la maniglia difettosa di quella finestra che era possibile ruotare soltanto con una manovra appropriata. Dietro di me sentivo presente ma invisibile la mia famiglia, con i figli minori divenuti più grandi del maggiore. Mio padre, la persona più di buonumore e più chiacchierona del mondo, a dispetto di tutte le sue traversie, che usava cantare appena sveglio, era silenzioso – non una sola parola – come chiuso in un muto rimprovero di abbandono. Lo sentivo questo muto rimprovero, assieme a quello ancor più pesante legato alla misteriosa assenza di mia madre. Un senso di malinconica impotenza veniva alfine vinto dalla volontà di affrontare il difficile impegno di far rinascere in mio padre il carattere di un tempo e far riemergere mia madre dalla sua assenza. Sono stati il sentimento gioioso del nuovo impegno assunto, e lo stupore per la riscoperta di sensazioni visive e tattili del tutto perdute a causare il mio risveglio. E allora ho pensato alla coscienza…
Perché? Non per il contenuto del sogno la cui interpretazione richiederebbe la conoscenza di troppi altri aspetti. Ma perché mi ha stupito la capacità di recupero della memoria che può manifestarsi nel sogno, a livelli impossibili da sveglio e, al contempo, la sua struttura organizzata così evidente malgrado tante assurdità, i salti logici, spaziali e temporali, la composizione di elementi tratti dalla realtà in un contesto apparentemente caotico ma che contiene una “storia”, delle “idee”, che prendono senso proprio in quel contesto, perché quanto più ci si sforza di ritessere il sogno entro la logica di una storia ordinaria tanto più diventa sfuggente il suo significato.
È naturale pensare alla coscienza, perché nel sonno la coscienza vigile, quella che dirige le azioni e i pensieri da sveglio, è assente o molto attenuata. Ed è naturale pensare alle sue relazioni col cervello o, piuttosto, a quel che fa il cervello in questi stati diversi se – come ha scritto giorni fa un illustre biologo – la coscienza è soltanto “una parte” del cervello, il quale sarebbe “molto di più”, se non altro perché si nutre, ha scambi metabolici.
Il tema fondamentale, la chiave della faccenda è la memoria e i neuroprofessori non la cantano giusta dicendo che tutto è ormai chiaro. Non è chiaro per niente. Anche se ammettiamo che i ricordi siano tutti depositati nel cervello (lasciando da parte il “come”), l’analogia con la memoria di massa di un calcolatore non funziona per niente. Nel calcolatore tutto è registrato in modo evidente ed è sufficiente un’operazione banale per recuperarlo anche nel coacervo più intricato di informazioni. Non così nella memoria umana, in cui la maggior parte dei ricordi è indisponibile e spesso i tentativi di ricostruire un evento passato sono vani. Ma il passato sta tutto lì e preme sulle nostre spalle come uno zaino di cui si conosce in piccola parte il contenuto. Il fatto curioso, ma indubbio, è che la coscienza vigile – l’unica funzione capace di ricercare attivamente i ricordi – quanto più è vigile e attiva tanto più non è interessata a vivere nel passato. Essa seleziona i ricordi in funzione del progetto di vita che ci diamo continuamente, sceglie nel passato ciò che è utile al futuro. E quando si accinge a ricostruire un ricordo perduto non può farlo come un computer, ma deve procedere faticosamente, spesso aiutandosi con la ricostruzione del contesto che sta attorno a quel “buco”, e quindi uscendo dalla memoria in senso stretto; magari finendo col recuperare qualcosa che assomiglia soltanto a quel che cerchiamo, che ne contiene solo dei pezzi; o lo ricostruisce come il brogliaccio di un testo irrimediabilmente perduto. Talvolta tutto dipende da meccanismi di associazione spontanei – come quelli illustrati dalla celebre “madeleine” di Proust – i quali spesso restituiscono il ricordo in forme molto più precise e vivide delle ricostruzioni operate dalla coscienza vigile e attiva.
Ammettiamo che questa coscienza vigile sia una parte del cervello, quella che è inattiva nel sonno. Se i ricordi sono tutti depositati nel cervello, l’attività cerebrale residua dovrebbe permettere che essi riemergano in modo più “libero” – poiché il “controllore” che sceglie in funzione della vita attiva è assente – in modo “puro”, indipendente dal contesto, e del tutto caotico. Ma soltanto in parte è così. Difatti, nel sogno i ricordi riemergono con una precisione sensoriale – tattile, uditiva, visiva, acustica – di precisione irraggiungibile, come tante “madeleine” di Proust; proprio come è accaduto nel mio sogno, riemergere stupefacente di fatti, oggetti e sensazioni irraggiungibili dalla coscienza vigile. Ma non emergono affatto in modo caotico, come i prodotti di una macchina lasciata funzionare sulla base di un programma di produzione stocastica dei ricordi. Nient’affatto. I sogni si sviluppano in base a una logica difficile da penetrare ma indubbiamente presente, non sono quasi mai un coacervo di immagini ma esprimono sempre una “storia” che contiene un senso, come ogni storia, e in cui la coscienza è all’opera anche se in altro modo.
Tutto questo non è nuovo e appartiene alle grandi intuizioni di Freud, anche se forse egli ha avuto il torto di attribuire questi fenomeni fino ad allora trascurati ma decisivi nella vita psichica della persona, a una forma di attività psichica più elementare, legata a forme istintuali e primordiali, anziché a un particolare strato dell’attività cosciente non vigile. Forse il limite più grande è stato nel dare tanta importanza all’interpretazione del sogno e poi ridurre tale interpretazione a schemi fissi che troppi epigoni privi di genio avrebbero usato in modo schematico e povero. È un limite che deriva da un altro: e cioè dal rapporto contraddittorio che Freud ebbe con il modello esplicativo delle scienze esatte, da un lato considerato come un riferimento inalienabile e dall’altro continuamente contraddetto dall’uso di un metodo ermeneutico estraneo al determinismo fisico-matematico. Per questo in Freud è possibile sempre trovare la frase in cui egli prevede che le scienze biologiche forniranno la chiave esplicativa finale dei fenomeni psichici e quella in cui deplora i vincoli che il riduzionismo materialista impone a uno sviluppo pieno dell’analisi della psiche.
A distanza di un secolo quei vincoli sono divenuti sempre più pesanti. Da palla al piede sono diventati una catena: pare che non si possa più dire nulla sulla mente e sulla coscienza se non lo si deriva da proprietà del cervello. E, al contempo, siamo in “surplace”. Ne sappiamo enormemente di più sul cervello, sappiamo tanto dei processi cerebrali che accompagnano gli eventi mentali, non abbiamo fatto un solo passo avanti nella spiegazione di come i processi mentali verrebbero prodotti dal cervello. Se chiedessi a un neuroprofessore una descrizione esatta (scientifica!) di come il cervello abbia prodotto il mio sogno e una deduzione materialistica delle sue immagini, del suo contenuto, del suo significato, non riuscirebbe neppure ad aprire bocca. Mi metterebbe sotto risonanza magnetica per registrare i fenomeni cerebrali che avvengono contestualmente ai miei sogni, fornendomi così interessanti banalità. Come quella che è stata annunziata giorni fa: i buoni sentimenti accendono certe aree del cervello legate a sensazioni di piacere, da cui la “deduzione” che saremmo naturalmente buoni. Chissà cosa si accende nel cervello di quel delinquente che ti supera a 200 orari sulla corsia di emergenza facendo le corna.
Nessuno può contestare che «quando penso qualcosa accade nel mio cervello» (Ricoeur), ma «se il soprabito è appeso al chiodo la forma del chiodo non dice nulla circa quella del soprabito» (Bergson). Se ancora siamo qui a constatare la forza di queste obiezioni non è forse perché, come è abusivo dedurre le proprietà della materia da quelle dello spirito è altrettanto abusivo il procedimento inverso?
È sufficiente percorrere i tentativi di riduzionismo materialistico per rendersi conto dei loro vizi di origine. Per esempio, Jean-Pierre Changeux si propone di demolire le tesi bergsoniane mostrando che mentre una persona acquisisce l’idea che due forme geometriche diversamente poste sono congruenti attraverso un procedimento di rotazione, un processo parallelo accade nell’ambito neuronale. Ma in tal modo, mentre non dimostra affatto come si costruisca effettivamente la rappresentazione di un oggetto geometrico nel cervello, dimostra una delle tesi centrali bergsoniane… e cioè che gli stati cerebrali descrivono soltanto gli aspetti locomotori dell’attività mentale. È come assistere all’andirivieni degli attori sulla scena di una commedia senza udire una sola parola di quel che dicono. E difatti tutte queste analisi cerebrali toccano soltanto gli aspetti geometrico-meccanici e non sfiorano minimamente la dimensione del significato.
Un altro esempio è dato da certe ricerche sui processi di decisione. Si da per dimostrato che i mutamenti cerebrali associati a una decisione precedano di un intervallo temporale sia pur minimo la presa concreta della decisione. In questo caso, come in casi analoghi, si confronta un processo fisico che accade nel cervello, misurato con apparecchi fisici, con un resoconto verbale. Con quale rigore scientifico si possono confrontare fenomeni di natura tanto diversa, l’uno che si svolge nel tempo fisico-matematico formalizzato, l’altro che è irrevocabilmente legato a una testimonianza verbale e si svolge nel tempo psicologico, nella durata?
Al neuroprofessore che sentenzia che la coscienza è una parte del cervello si può contrapporre con non minore fondatezza che lo stato psicologico deborda il fatto cerebrale da ogni lato. E anzi, allo stato dei fatti, con maggiore fondatezza, perché l’analisi cerebrale non è in grado di restituirci nulla dei processi mentali, se non gli aspetti meramente locomotori e spaziali che li accompagnano, nulla dei contenuti e dei significati di cui sono pieni.
Peraltro l’idea secondo cui soltanto i fatti materiali hanno carattere di realtà è contraria al più elementare buon senso. Al contrario, «l’esistenza di cui siamo più certi e che conosciamo meglio è incontestabilmente la nostra, perché di tutti gli altri oggetti abbiamo nozioni che possono essere giudicate esteriori o superficiali, mentre percepiamo noi stessi interiormente, profondamente» (Bergson). Dell’esistenza di ogni oggetto che non mi è direttamente presente posso credere per testimonianza, per induzione o per altri motivi, comunque indiretti, mentre la coscienza non mi abbandona mai, neppure per un istante. Nessuno può dare una prova dell’assenza di coscienza.
Ecco perché non ho voglia né tempo di attendere la consumazione dei secoli fino a che i neuroprofessori scrivano in formule di biochimica molecolare i processi della coscienza. Non ho interesse a esplorare la mia coscienza, vigile e non, fatta di pensieri, di concetti e di sogni, con questi pallidi balbettamenti anziché con i mezzi offerti dalla psicologia, dalla letteratura, dall’arte, dalla musica, che di certo dicono molto di più su quel che abbiamo dentro di noi di quattro accensioni e spegnimenti neuronali.
Dicevamo della musica. Nella Recherche di Proust, Charles Swann ascolta la “petite phrase” della sonata per violino e pianoforte di Vinteuil e si rende conto che è composta soltanto di cinque note, ma che quel che conta è il richiamo costante di due fra di esse e la loro piccola distanza: «Il campo aperto davanti al musicista non è una meschina gamma di sette note, ma una gamma incommensurabile, quasi tutta sconosciuta per intero, dove soltanto, qua e là, separate da spesse tenebre inesplorate, alcuni dei milioni di accenti di tenerezza, di passione, di coraggio, di serenità che la compongono, ciascuno altrettanto diverso dagli altri di quanto lo è un universo da un altro universo, sono stati scoperti da alcuni grandi artisti che ci rendono il servizio, risvegliando in noi ciò che corrisponde al tema che hanno trovato, di mostrarci quale ricchezza, quale varietà, nasconde a nostra insaputa questa grande notte impenetrata e scoraggiante della nostra anima che scambiamo con del vuoto e con del nulla».
Notte impenetrata quando volgiamo lo sguardo altrove e che può essere scoraggiante scambiare con il vuoto e il nulla. A meno che, con Azriel di Gerona il kabbalista, non ricordiamo che il nulla è la dimensione di Dio.
(Il Foglio, 2 settembre 2009)

56 commenti:

CheshireCat ha detto...

complimenti vivissimi, professore! Articolo magnifico!
Ancora una volta le chiedo: posso linkarlo sul mio profilo Facebook? Le dispiace? (le sto facendo un po' di pubblicità con alcuni amici e vorrei far vedere loro come scrive...)

CheshireCat ha detto...

complimenti vivissimi, professore! Articolo magnifico!
Ancora una volta le chiedo: posso linkarlo sul mio profilo Facebook? Le dispiace? (le sto facendo un po' di pubblicità con alcuni amici e vorrei far vedere loro come scrive...)

Giorgio Israel ha detto...

Grazie, non c'è problema

gelubra ha detto...

Perfetto, caro Professore.
Articolo ricco e limpido nella sua tesi di fondo, che è quella di respingere qualsiasi riduzionismo oggettivistico dell'esperienza della coscienza.
Di fronte a quelle pretese, verrebbe la voglia di glorificare il dualismo cartesiano, che per lo meno costituiva un antidoto a qualsivoglia smania positivistica.
Complimenti anche da parte mia!

paolo casuscelli ha detto...

Caro prof. Israel,
la conclusione del suo articolo è molto forte. Siccome è evidente che lei non sia un nichilista (ma neppure un mistico) e le parole, negli uomini che pensano, hanno sempre un peso e vorrei evitare di interpretare il suo pensiero senza sapere quel che lei voleva dire, vorrei chiederle che cosa intende asserendo che “il nulla è la dimensione di Dio”.

RICCARDO SEGRE ha detto...

Complimenti per l'articolo ma alla fine il sogno è riuscito ad interpretarlo?

Riccardo

Giorgio Israel ha detto...

Il nichilismo non c'entra nulla. Il pensiero mistico ha qualcosa da insegnare. Il riferimento - ovviamente non dispiegato - è una corrente di teologia kabbalistica, che è peraltro influenzata dalla teoria aristotelica della "steresis". Si può fare riferimento per una presentazione semplice al mio libretto sulla Kabbalah, e si trova anche qualcosa in un paio di articoli sul "nulla" e lo "zero" scaricabili dalla mia pagina web. Ovviamente si possono leggere saggi specializzati come "La creazione dal nulla" di Scholem.

Giorgio Israel ha detto...

E se il sogno sono riuscito a interpretarlo, mi si permetta, ma mi riguarda. Sono favorevole a mostrare le dimensioni private ma non oltre i confini in cui si entra nell'esibizionismo. E poi, in fondo, che gliene importa al lettore?

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Prof. Israel,

non sono certo di aver colto il punto dell'articolo ma provo a dire quel che mi ha ispirato la lettura di esso.
Indubbiamente i nostri pensieri sono legati all'attività del cervello, altrettanto indubbiamente l'insieme di attività del cervello (di cui le macchine registrano solo la parte dove si volge lo sguardo, come in un panorama zoomando si perde la visione d'insieme) produce qualcosa di complesso e non collegabile al singolo neurone o gruppo di essi.
Dire che la coscienza, la mente, l'inconscio (cognitivo, ovvero tutto quei processi che avvengono senza che noi li registriamo a livello cosciente) sono nel cervello non necessariamente equivale a dire che una neuroimmagine descriva perfettamente quest'attività, è uno strumento in più di conoscenza che apre a nuove riflessioni (come anche lei ha mirabilmente fatto).
Insomma c'è un riduzionismo da fine 800 che pretendeva di poter ridurre tutto alle leggi della meccanica (o della chimica) e c'è semplicemente quel riduzionismo che ritiene che non si può prescindere dalle leggi della fisica/chimica (perdoni la semplificazione) ma che ritiene anche che le interazioni presenti negli organismi viventi faccia emergere nuove proprietà in questi organismi. E questo in un ottica completamente naturalistica, l'emergenza evolutiva consente di guardare a queste proprietà da un ottica totalmente naturalistica senza perdere un epsilon (->0) di meraviglia o di apporto dalla letteratura, dall'arte, dalla poesia e da tutte le opere dell'ingegno umano.
Cordiali saluti, Fabio Milito Pagliara

Giorgio Israel ha detto...

No, mi permetta, al riduzionismo delle "proprietà emergenti" non ci credo né punto né poco. È vecchia metafisica materialista imbiancata. E l'ottica completamente naturalistica è, per l'appunto, un'ottica materialista, ovvero il vecchio riduzionismo malamente imbellettato. Su questo tema ho scritto un articolo (sulla complessità): pubbl. 101 scaricabile dalla mia homepage.

Alfredo ha detto...

Stimato Professor Israel
mi complimento per la vastità e l'accuratezza dell'articolo. Raramente mi è capitato di leggere una perla simile. Vorrei porre il link nel blog di uno storico ove, all'affermazione che nulla sappiamo davvero sulla coscienza, mi veniva controbattuto che era una sciocchezza e che avrei dovuto farmi una cultura in proposito leggendo i libri di Daniel Dennett.

Giorgio Israel ha detto...

Daniel Dennett è un materialista estremista. Per farsi una cultura in proposito bisogna leggere a largo raggio confrontando le diverse posizioni, non indottrinarsi, come le è stato proposto. Comunque, per parte mia, qualcosa di più approfondito ho scritto ne "La macchina vivente".

GiuseppeR ha detto...

La descrizione del sogno del professore è affascinante e sono intriganti le sue argomentazioni ed i riferimenti bibliografici.

L'interpretazione del sogno è una attività intellettualmente molto impegnativa, ma credo che il significato che si pretende di aver razionalizzato è molto meno reale delle emozioni che abbiamo vissuto durante l'esperienza del sogno.

Mi sembra che lo stesso valga per tutte quelle percezioni che rendono la vita degna di essere vissuta: la contemplazione della bellezza (nell'arte, nella natura) i sentimenti dell'amore e della fraternità.

In definitiva le complesse costruzioni prodotte dai critici dell'arte, dai naturalisti, dai neuroscienziati possono essere definire "interessanti" e degne del massimo rispetto.

Ma non riesco a togliermi dalla mente che le "anime" più semplici, i bambini, gli ingenui, i meno "acculturati" siano favoriti nella percezione delle manifestazioni della realtà "immateriale" e che ci sia più verità nello sguardo di mio figlio più piccolo che in tutti gli interventi che si sono svolti nell'ultimo weekend al "Festival della Mente" di Sarzana.

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Prof. Israel, la ringrazio dell'articolo segnalatomi.
Sono in accordo con lei quando dice che la questione delle proprietà emergenti è data dalla sinergia delle parti costituenti.
E si il naturalismo è materialista, ma non vedo perché per spiegare la coscienza non ci si possa appellare appunto alla sinergia delle parti costituenti, mi sembra un ipotesi quanto meno plausibile.
Se la coscienza è la sinergia di tutte le componenti (materiali per i naturalisti) di una persona non vedo perché questo mi dovrebbe allontanare da poesia, arte, letteratura, meraviglia e quant'altro.

Se posso faccio un esempio, qualche milione di fotografie prese in rapida successione fanno un film, ma se le guardo una per una non c'è alcuna sensazione di movimento, eppure se le guardo in rapida successione ecco che vedo un filmato, il movimento del filmato dov'era?

cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Giorgio Israel ha detto...

Ma pretendere di spiegare l'emergere del "nuovo" come effetto della sinergia delle parti costituenti è perfettamente riduzionista... E l'idea che la coscienza sia una proprietà emergente è indimostrabile, in quanto è pura e semplice metafisica.
Il materialismo e il naturalismo sono antiumani perché concepiscono l'uomo come una macchina e, mentre continuano a descriverci soltanto gli aspetti locomotori (la sintesi filmica di immagini da un film, per l'appunto, ma il "senso" del film non è spiegato da questi aspetti dinamici). Quanto al Festival di Sarzana, concordo in toto.

Alfredo ha detto...

Purtroppo è vero che bisogna documentarsi a largo raggio, così largo a dire il vero che non so se un'intera vita è sufficiente.

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Prof. Israel,

la macchina è solo una metafora in quanto un organismo è qualcosa di molto più "complicato" e sinergico, per cui come tutte le metafore può illuminare alcuni aspetti e nasconderne altri.

Il senso del film è quello che gli dà l'osservatore (un osservatore complicato ed evoluto per dare significati al mondo che lo circonda), il fatto che il film sia generato da cause meccaniche nulla toglie alle emozioni e ai significati che riesce a trasmettere nello spettatore, ma non credo che nessuno sostenga che ci sia una trasmissione di elementi non materiali nella visione di un film.

D'altra parte si potrebbe sostenere che è molto più antiumano rendere la parte fisica dell'uomo solo una ricetrasmittente di qualcosa che sta altrove dove avviene la vera vita (come avviene in tutte le forme di dualismo).

Senza accettare la plausibilità del naturalismo (o del dualismo) in che modo si può dialogare con chi lo sostiene?

Personalmente non mi sento antiumano e non dò credito più di tanto alla metafora della macchina o del computer che trovo foriere di errori, ma allo stesso tempo ritengo possibile fornire una spiegazione plausibile della coscienza da un punto di vista naturalistico (non vedo una grande difficoltà ad immaginare un organismo abbastanza complicato da assegnare significati, certo non sono in grado di crearne un simulacro con le stesse capacità, almeno non ancora, ma non mi sembra impossibile che le cause siano splenidamente sinergiche).

Non capisco in che modo la visione naturalistica riduca la possibilità d'interpretare il significato di un film, di un sogno, di un romanzo.

Cordialmente,
Fabio Milito Pagliara

GiuseppeR ha detto...

Si può definire un film come "un insieme di fotografie in movimento"? Una sinfonia di Mozart come "una sequenza di vibrazioni di ampiezza e frequenza variabile" o una tela di Caravaggio come "un insieme di pigmenti distribuiti su una superficie"?

Non padroneggio le teorie estetiche ma ho la netta sensazione che si goda
dell'opera d'arte perchè consente di attingere ad un livello di realtà che supera la materia e le sue limitazioni.

Tutto ciò avviene in modo tanto misterioso che, credo, non convenga scervellarsi più di
tanto, perchè, se si cerca di ingabbiare il fenomeno in un processo di tipo più o meno deterministico, si rischia di perderne il succo: intuizioni, emozioni, estasi (addirittura!).
Tutti fenomeni difficilmente assimilabili unicamente aquei beep beep elettrochimici che movimentano il nostro cervello.

Non sarà granchè come teoria ma è proprio quello che sento.

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Caro Attento,
si si può definire un film come "un insieme di fotografie in movimento" ma ovviamente non è solo questo, perché è stato costruito da chi è capace di dare significato alle cose per essere guardato da chi sa dare significato alle cose. Ma questo non toglie che sia anche "un insieme di fotografie in movimento" ma capace di trasmettere un messaggio.
Se la materia è in grado di evolversi in organismi capaci di significati (noi esseri umani) quali sarebbero i limiti della materia in questione?
Ovviamente esistono spiegazioni alternative ma qui siamo nel campo delle ipotesi e della discussione filosofica.
Definire qualcosa in modo preciso non significa esaurire in quella descrizione quel fenomeno
Descrivere con una sequenza numerica il movimento dei ballerini di un opera come il "lago dei cigni" non significa che questo dica tutto di quell'interpretazione del "Lago dei cigni" a volte ho come l'impressione che si costruisca un fantoccio del naturalismo critico per poi poterlo criticare, ma la critica è verso una caricatura del naturalismo.
cordialmente, Fabio Milito Pagliara

vanni ha detto...

Egregio Professore, nelle sue pagine un continuo e sacrosanto dialogo sulla valutazione dell'esperienza, sulla ricerca di significati, la formulazione di spiegazioni, l'elaborazione di teorie. E tante discussioni propositive sull'affinamento di meccanismi, metodi, regole: si cerca una migliore condotta nell'agire.
E - inevitabilmente, confido - in ultima istanza affiorano le persone: una banalità? Forse oggi no, e forse no sempre.
Un mio maestro diceva “... alla radice e alla fine i problemi si rivelano come problemi di persone”.
Per tante ragioni, ma per questa in particolare, la lettura del suo blog è sempre confortante (a parte il disagio ricorrente di sentirmi circonfuso da un'aura caliginosa di beata ignoranza in mille questioni. In consonanza con Alfredo 9/08/2009 02:00:00 PM, pure uno scrittore e giornalista d'antan acuto e disincantato, Luciano Bianciardi, soppesando con malinconica ironia la mole della produzione intellettuale, sosteneva che “Chi vuol darsi una formazione culturale ha dinanzi a sé questa prospettiva: morire prima”).
La convinzione che la persona - fatta a immagine e somiglianza di Dio, mi insegnavano - sfugga a trappole e gabbie (per generosità si potrebbe dire: voliere) meccanicistiche, sia insondabile ed imprevedibile nelle sue azioni nei suoi pensieri e nelle sue emozioni, pur nel consapevole timore del male che inevitabile incombe e non si può purgare, mi dà un senso di incoraggiamento e di sollievo: libertà?

Caroli ha detto...

Non conoscevo il Suo aspetto, per così dire, poetico. Complimenti. Davide Rondoni dice che il poeta è l'uomo più realista: due volte complimenti: per la poeticità e per il realismo.

Giorgio Israel ha detto...

Caro Vanni, si dice che alla morte di Spinoza furono trovati nella sua casa 170 libri (forse la cifra non è esatta, ma l'ordine di grandezza è questo). Certo, oggi circola una massa d'informazione enormemente maggiore ma non cambia il fatto che la quantità di libri e scritti veramente importanti è una percentuale minima del totale. Ognuno sa che nella propria vita i libri che contano - e che veramente hanno contribuito a formarti - sono pochissimi. Ad esempio, nella mia professione, chi abbia letto l'opera di Koyré ha capito gran parte dello spirito della storia della scienza moderna. Tanti altri libri sono già stati dimenticati o lo saranno in pochi anni.

Giorgio Israel ha detto...

Che "la materia è in grado di evolversi in organismi capaci di significati" è una mera credenza e non certo un fatto scientifico acclarato. Ha un grado di certezza e di plausibilità minore della credenza nell'esistenza di extraterrestri.
Che da un film come insieme di immagini in movimento - il che è certamente - emerga un significato non ha senso. Questo è quanto credere che un'opera di letteratura possa risultare come combinazione casuale di parole: metto tutte le parole della Divina Commedia in un recipiente, agito, le estraggo e viene fuori il poema. La sequenza di immagini è soltanto l'aspetto "locomotorio" del film, il significato è tutto nell'opera del regista. Il naturalismo invece pretende invece che tutto sia contenuto nell'aspetto materiale o locomotorio e, non a caso, le inventa di tutte per cancellare ogni carattere autonomo al senso, tirando fuori la storia delle "proprietà emergenti" (la coscienza come "proprietà emergente" dalla complessità del cervello, ecc.). Se questo è caricaturale - e anch'io lo penso - è il naturalismo che è caricaturale, e non è la critica che ne fa una caricatura. Perché le tesi del naturalismo sono proprio quelle: per esempio, che la vita emerga da una particolarissima combinazione casuale della materia, tanto particolare da avere probabilità zero. Un maligno direbbe che è un modo goffo e incosciente di ripristinare la categoria del miracolo.

Fabio Milito Pagliara ha detto...

A me sembra che la teoria dell'evoluzione sia un fatto scientifico acclarato con un ampio programma di ricerche e continue verifiche sperimentali e teoriche, se poi vogliamo sottrarre l'uomo all'evoluzione non so' che dire mi sembra inutile e dannoso, un desiderio di onnipotenza non adeguato a esseri finiti quali siamo.

Mi sembra assolutamente ovvio che il significato del film è dato dal regista e l'ho anche scritto ma il regista ha agito sapendo che dall'altra parte ci sarebbe stato qualcuno capace d'interpretare la sua opera.

Non ho mai pensato che un opera come un film o un romanzo o come la divina commedia possa comporsi a casaccio.

E mi spiace la teoria dell'evoluzione non dice che la vita emerga a casaccio, il caso crea le variazioni, ma l'evoluzione conserva le varianti vantaggiose.

Delle probabilità che la vita sia apparsa possiamo dire punto o nulla visto che non sappiamo quanti pianeti ci sono, quante stelle, quante galassie, addirittura quanti universi.... E anche in quel caso un punto di vista evolutivo può dare ipotesi interessanti.

Mi spieghi l'alternativa qual'è ad un analisi scientifica dei fatti a nostra disposizione? Trovo le ipotesi sovrannaturali alquanto carenti visto che non rispondono ma mettono solo un segnale "vietato indagare oltre questo punto" che trovo molto poco soddisfacente.

Continuo inoltre a non capire l'obiezione "cancellare ogni carattere autonomo al senso" visto che è vero il contrario dato che ogni singolo organismo è singolare e capace di molteplici interpretazioni di un singolo fatto e quindi libero di scegliere tra di esse" e dunque ognuno di noi è agente di senso in quanto evolutosi per interagire in questo mondo a queste scale di grandezze come animale sociale che trae vantaggio e piacere dalla socialità (che altrimenti non sarebbe restata come tratto della specie umana)

cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Giorgio Israel ha detto...

Non capisco tutta questa discussione. Non ho mai parlato di un'alternativa alla scienza. Che senso avrebbe? Ho criticato e critico il naturalismo e il materialismo che sono metafisiche, se non mitologie, e non scienza. Capisco che la distinzione sia difficile e che ormai appena si critica il materialismo si protesta che la scienza viene attaccata: non a caso ho scritto un libro su questa confusione, ovvero contro lo scientismo (che si identifica con la scienza come il clericalismo con la religione).

Fausto di Biase ha detto...

Nel libro recente di Manin (Mathematics as metaphor) si trova un sunto dei risultati di E. Fromm, pubblicati sull'International J. of Experimental Clinical Hypnosis vol.18 (1970), pp.79-88, in una memoria dal titolo ``Age regression with unexpected reappearance of a repressed childhood language'', che si puo` tradurre piu` o meno come segue: ``regressione temporale con riapparizione di una lingua appresa da bambini e successivamente soppressa''.

Il resoconto che Manin offre degli esperimenti di Fromm e` molto significativo, mi sembra, per il tipo di considerazioni presentate in questo bell'intervento dal titolo ``la notte imprenetrata''.

Mi permetto di offrire una traduzione e un sunto dal libro citato di Manin.

``From descrive esperimenti di ipnosi con Don, uno studente universitario. Sia il padre che la madre di Don erano giapponesi nati negli USA. Don era nato cinque giorni prima dell'attacco a Pearl Harbor. Dopo l'attacco, i giapponesi che vivevano negli USA sono stati internati in un campo di concentramento e quindi Don e` cresciuto per alcuni anni parlando esclusivamente giapponese.

QUando furono svolti gli esperimenti, Don non era piu` in grado di parlare giapponese, ad eccezione di poche parole che aveva imparato dalla nonna.

In uno degli esperimenti, che aveva come scopo la regressione temporale fino all'eta` di sette anni, Don non era in grado di parlare giapponese.

In un altro esperimento, l'eta` di regressione suggerita era quella dei tre anni. Dopo una esitazione iniziale, Don inizio` a parlare fluentemente in giapponese.

Tornati all'eta` di sette anni, Don passo` all'inglese.

I discorsi che aveva fatto in giapponese erano stati registrati, ma Don, dopo l'esperimento di ipnosi, non era in grado di comprenderli.''

Il brano originale e` molto piu` interessante di questa mia traduzione, ed e` molto impressionante.

Gianfranco Massi ha detto...

Mi scusi se vado fuori di codesto pure interessantissimo seminato. Non posso fare a meno di sottoporle un articolo che ho appena letto.
Il Sole240re del 9/9/2009 pubblica un articolo sconvolgente con il titolo: “pagella dell’ OCSE alla scuola italiana” a firma di Federica Micardi. Sugli insegnanti mi sembra confermare un giudizio che per un lettore del Suo blog non è affatto sorprendente:
“Insegnanti senza stimoli e controlli. Valutazione pari a zero per il lavoro degli insegnanti. Secondo il rapporto il 55% degli insegnanti italiani non riceve alcun tipo di riscontro, positivo o negativo, in riferimento al lavoro svolto, e il 20% non riceve giudizi neanche all’interno dell’istituto per cui lavora”
Ma Le confesso la mia sorpresa dell’ ovvia deduzione, e cioè che in Europa gli insegnanti vengono al 199% valutati “in riferimento al lavoro svolto”. Peccato che la giornalista non si attardi nell’
indicare “come” e “da chi”.

GiuseppeR ha detto...

Caro Pagliara,

Visto che mi aveva citato nella sua risposta mi permetto una replica anche se il professore, mentre la stavo scrivendo, lo ha fatto in modo ovviamente molto più autorevole.

Concordo che la questione del "dualismo" sia "filosofica" e, spero converrà con me, scientificamente indimostrabile e, nel contempo, inconfutabile.

Confesso che faccio fatica a seguirla quando afferma che: "la materia è in grado di evolversi in organismi capaci di significati (noi esseri umani)..".

Nella mia ingenuità, penso che se qualcosa ha un "senso" non lo ha
"per caso". Quindi non riesco ad associare un "significato" ad un
processo "casuale" come l'evoluzione a cui lei fa riferimento.

A meno che il "significato" sia interamente racchiuso nell'imperativo
della sopravvivenza e della conservazione della specie. Ma in questo caso ho difficoltà a capire che c'azzecchi con le "varianti vantaggiose" il "Lago dei cigni" o la mia preferita "Passione secondo Giovanni" di J.S.Bach... (e con questo non credo di mancare di rispetto alla Teoria dell'Evoluzione)

Apprezzo e vorrei incoraggiare la sua volontà di dialogo ma alcune sue parole, se le ho bene interpretate, contengono qualcosa di inquietante che fa pensare alla mitologia e, purtroppo, alla storia del delirio di onnipotenza: "non vedo una grande difficoltà ad immaginare un
organismo abbastanza complicato da assegnare significati, certo non
sono in grado di crearne un simulacro con le stesse capacità, almeno non ancora". Crede che il sogno di rifare l'Uomo non abbia già prodotto abbastanza danni all'Umanità?

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Perfetto allora avevo frainteso, ma ero rimasto stupito da affermazioni quali "naturalismo antiumano" o "la materia sia capace di evolversi in organismi capaci di significati è una mera credenza" mi perdoni ma le avevo interpretate come un affermazione di non scientificità della teoria dell'evoluzione, sono felice di aver frainteso.

Il naturalismo sarà anche un ipotesi metafisica ma mi sembra in grado di sviluppare un etica umana e non antiumana quanto (se non più) di altre metafische.
Resta la meraviglia davanti all'affermazione che descrivere la parte "meccanica" di un fenomeno lo priverebbe di valore o il fatto che un processo possa dare più informazioni della semplice descrizione meccanica dei singoli eventi.

Cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Giorgio ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Giorgio ha detto...

L’affermazione presente nel commento a questo post di Fabio Milito Pagliara (9 settembre 2009, ore 5.23 PM) “Trovo le ipotesi sovrannaturali [riguardo all’origine della vita] alquanto carenti visto che non rispondono ma mettono solo un segnale "vietato indagare oltre questo punto" che trovo molto poco soddisfacente” è alquanto insoddisfacente, poiché quelle “ipotesi sovrannaturali” di cui parla il commentatore (presumo si riferisca ai racconti del Libro della Genesi, che oramai nessuno più – tranne i lettori fondamentalisti – ritiene possano essere presi alla lettera; essi infatti vanno adeguatamente interpretati) non riguardano il "come" si sia originata e sviluppata la vita (che viene indagato dalla scienza, la quale procede, com’è noto, “etsi Deus non daretur”, cioè prescindendo dall’ipotesi di esistenza di Dio) bensì il "perché" della sua esistenza, cioè il senso e il significato globali della presenza della vita stessa, con l’umanità che ne costituisce il vertice.

Giorgio Della Rocca

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Giorgio,
non pensavo certo al libro della genesi, ma in generale alle ipotesi sovrannaturali di qualsiasi genere. Personalmente penso che il senso ce lo mettiamo noi e non vedo la necessità di un senso prestabilito, né vedo ragione per considerare l'umanità il vertice della vita o il suo risultato ultimo e finale.
Sicuramente siamo la specie più culturale e capace di assegnare significato alle cose ma sta a noi e solo a noi dare significato a quest'opportunità che abbiamo e farla durare (come specie) il più a lungo possibile.

cordialmente, Fabio Milito Paglirara

GiuseppeR ha detto...

Caro Pagliara,

Credo che sia un buon punto di partenza considerare il suo "naturalismo" una ipotesi metafisica, confrontabile con altre di pari dignità.

Dopodichè non riesco a seguirla quando afferma che "la materia è in grado di evolversi in organismi capaci di significati (noi esseri umani)".

Con tutto il rispetto per la teoria dell'evoluzione non credo che si possa dimostrare che un processo determinato dal caso possa creare "senso". Possiamo spiegare egregiamente la forma del becco dei fringuelli delle Galapagos ma non il pathos della "Passione secondo Giovanni" di J.S. Bach o il palpitante affresco contenuto in "Vita e Destino" di Vassilij Grossman.

Per farlo dobbiamo uscire dal campo delle ipotesi scientifiche.

Non sembra proprio che quelle opere emergano dalla spinta di "varianti vantaggiose" (mi scuso per la semplificazione).

Piuttosto la sensazione è che quegli autori abbiano capacita di percepire e svelare una realtà che altrimenti resterebbe ignota. Una realtà "umana" "universale" "senza tempo" e quindi non imbrigliabile in processi di tipo deterministico.

Concludo dicendo che è apprezzabile il suo desiderio di trovare un terreno comune di dialogo, ma mi permetta di dire che alcune sue affermazioni: "non vedo una grande difficoltà ad immaginare un organismo abbastanza complicato da assegnare significati, certo non sono in grado di crearne un simulacro con le stesse capacità, almeno non ancora,..." mi risultano alquanto inquietanti, se le ho interpretate correttamente.

Quante tragedie ha provocato nella Storia il sogno, questo sì un delirio di onnipotenza, di "rifare l'uomo"?

Giorgio Israel ha detto...

Sottoscrivo in toto

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Caro Attento,

purtroppo il mezzo è quello che è e le mie capacità di comunicazione non sono certo perfette.

A mio parere e per quel che ho capito non è l'evoluzione che sviluppa senso o significato, ma noi in quanto particolare prodotto dell'evoluzione siamo in grado di dare senso (per noi) alle cose in quanto ci siamo evoluti come animali culturali e sociali e quindi abbiamo sviluppato e affinato alcuni strumenti capaci di permetterci di fare queste operazioni.

Dunque sicuramente l'interpretazione e il pathos di un singolo non rientra necessariamente nell'ambito delle spiegazioni scientifiche (ovvero perché e come descrivere esattamente perché io mi emoziono nella situazione X e lei in quella Y), ma i meccanismi che ci consentano di farlo si, quelli rientrano nell'ambito della ricerca scientifica.

Neanche si deve confondere il prodotto dell'evoluzione (noi) con il prodotto di quel che facciamo noi, sono cose diverse che vanno valutati su piani diversi, c'è tutto il discorso sull'evoluzione culturale che non deve intendersi come una marcia sicura e determinata verso una "cultura superiore" ma come l'insieme di azioni umane (singole e sociali) che porta a scoprire, conservare, dimenticare, riscoprire un'idea, un'opera, un'interpretazione.

Per quanto riguarda il desiderio di ricreare l'uomo, lungi da me, credo anzi che un naturalismo maturo sia quanto di più lontano dai deliri di onnipotenza. Quello che intendevo è che non siamo in grado di spiegare come queste sinergie possano creare queste capacità (e uno dei modi di spiegare è quello di costruire un modello, matematico o artificiale che sia).

Quello che veramente mi sta a cuore è che tanto una visione naturalistica quanto una dualistica sono in grado di fondare una dignità umana, se non riusciamo ad accettare questo nella posizione dell'altro il dialogo diventa impossibile o sterile, è per questo che per chi ha una visione naturalistica sentirsi tacciato di avere una visione anti-umana è motivo di grande sofferenza, come credo succeda a chi dualista si senta tacciato di ascientificità, disumanità o quant'altro sostengano certi estremismi.

Il dialogo quello vero comincia dal riconoscere la plausibilità della concezione cosmologica dell'altro, per quanto minima la si voglia considerare.

cordialmente, Fabio Milito Pagliara

GiuseppeR ha detto...

Gentile Pagliara,

Mi creda, aprezzo sinceramente la sua volontà di intraprendere un dialogo e lottare contro le diverse forme di estremismo. Il solo fatto che lei parli di "sofferenza" e non di "irritazione" di fronte a posizioni diverse dimostra la sua sincerità.

Provo ad seguire il suo ragionamento ma mi fermo subito di fronte alla assunzione ad esso sottintesa. Lei sostiene che un "senso", un "significato" possono emergere da qualcosa che inizialmente questo "senso" non ce l'ha.

Se afferma che questo è dovuto unicamente ad un processo casuale, mi scusi ancora la semplificazione, cio che "emerge" ha senso come una combinazione del lotto. Offre un "vantaggio" a chi la azzecca ma di per sé non cambia il significato della sua esistenza.

Invece, nella mia esperienza, percepisco con chiarezza che alcune idee, il valore della dignità umana e, quindi, l'amore per il prossimo, hanno un significato "universale" ed "eterno" e non sono relative ad una fase del processo evolutivo della natura.

Per lei la dignità umana è un concetto che acquista valore "in quanto ci siamo evoluti come animali culturali e sociali e quindi abbiamo sviluppato e affinato alcuni strumenti capaci di permetterci di fare queste operazioni". Già il solo fatto di definire questa acquisizione una "operazione" mi fa sorgere il sospetto che sia qualcosa di meno solido su cui costruire un'etica umana.

Per quanto mi riguarda, anche se non posso fornire evidenze scientifiche, mi illudo di pensare che ciò a cui attribuisco un "significato" è idoneo a fondare una etica umana proprio per le sue caratteristiche di assolutezza.

Ovviamente mi riferisco a imperativi come "Non uccidere" non certo a norme come la "istituzione di zona a traffico limitato nel centro cittadino", per quest'ultima ammetto che è meglio essere molto pragmatici.

D'altro canto, anche nella sua visione, ci sono delle certezze "assolute": non esiste nessuna realtà trascendente e tutto ciò che è "vero" si definisce volta per volta.

Per mantenere un dialogo proficuo è necessaria la massima chiarezza.

Cordiali saluti

CheshireCat ha detto...

Mi permetto di segnalare all'attenzione dei lettori di questo blog (ed in particolare al suo propietario!) il post di Paolo Atitvissimo sul suo blog personale.
Siccome difende le posizioni che so essere un po' "invise" al prof. Israel (parlando di Turing...) mi piacerebbe un suo parere a proposito.

Il link è questo:
Governo britannico: oh, sorry, mister Turing

Giorgio Israel ha detto...

Mi perdoni, ma non mi sembra così interessante, in un impiego del tempo efficace... sempre ripensando al numero di libri della biblioteca di Spinoza...

CheshireCat ha detto...

Niente da perdonare, professore. Figuriamoci!
Era una mia piccola curiosità.

Andrea Cortis ha detto...

Mi sia permesso di introdurmi sommessamente in questa discussione a cavallo tra coscienza e evoluzione, con un tarlo che mi rode da quando ho iniziato a considerare il problema della evoluzione biologica. E visto
che ci siamo, vorrei premettere che non intendo mettere in dubbio
l'evoluzione delle specie biologiche che mi pare sia oramai un dato
scientifico assodato (... di questi tempi bisogna sempre mettere le
mani avanti, che non si sa mai).

Cio' che mi pare molto fumoso e' il meccanismo soggiacente alla
"selezione naturale", e in particolare il concetto di vantaggio
biologico. Vantaggio, ottimizzazione, ma rispetto a che cosa?

Senza voler rubare il mestiere al Prof. Israel, giova forse qui
ricordare che l'elemento essenziale di qualunque teoria matematica
dell'ottimizzazione e' la cosidetta "funzione obiettivo", che indica
il modello matematico di ciò che vogliamo estremizzare, e cioe'
massimizzare o minimizzare. Trovare l'ottimo di un sistema significa
trovare il punto di minimo di una funzione che lo rappresenta,
significa cioe' scivolare giu' per i proclivi del grafico di una tale
funzione fino a che non ci si muove piu'. A volte, in questo
scivolare, si rimane incastrati a meta' via'. Per ovviare a questo
problema sono stati proposti metodi di discesa ispirati a meccanismi
biologici. Sono i cosiddetti algoritmi genetici, o i metodi basati
sulla cooperazione delle formiche, o ancora metodi basati sulle
strategie collettive di stormi di uccelli o banchi di pesci.

Ma il relativo successo matematico di tutti questi metodi di
mimizzazione di ispirazione biologica (applicati, bisogna ricordarlo,
in contesti diversi da quelli della biologia), non deve far perdere di
vista il fatto che la funzione obiettivo pre-esiste ad ogni
qualsivoglia metodo di minimizzazione, e spesso ispira o addirittura
determina (mia speculazione matematica indimostrata) quale sia il
miglior metodo di ottimizzazione.

Il problema che io mi pongo e' quindi il seguente: se e' vero che
l'evoluzione e' guidata dal concetto di "vantaggio", quale'e' la
funzione obiettivo della evoluzione biologica?

La sopravvivenza della specie? Non mi pare, perche' allora non si
spiegherebbe l'osservazione dell'uccisione degli individui di una
specie da parte di individui della medesima specie.

La sopravvivenza dell'individuo? Mi pare anche questo perlomeno
in contrasto con l'osservazione che ogni individuo di una qualunque
specie sia ineluttabilmente destinato alla morte: l'evoluzione sarebbe
un ben povero meccanismo.

La durata della vita di un individuo? Anche questo mi pare azzardato, perche' altrimenti non si
spiegherebbe l'esistenza di fiori o degli insetti in qualunque ecosistema.

Il caso non puo' dare nessun senso, nessuna direzione, nessuna
"funzione obiettivo". Forse sara' la mia formazione fisico-matematica-ingegneristica, ma
sentire parlare dell'evoluzione in termini cosi' barbaramente poco
precisi, mi da' l'impressione che, sotto sotto, di scientifico ci sia
veramente ben poco.

E tutto questo parlare di vantaggio e ottimizzazione mi puzza
solamente di bassa eugenetica. Provate a trovare il punto di ottimo
per la povera Eluana Englaro. Mi viene in mente un racconto di
Hemingway, "The Capitol of the World", al punto della discussione tra
il cameriere "socialista" e il cameriere "lavoratore"

'There are the two curses of Spain, the bulls and the priests.'

'Certainly not the individual bull and the individual priest,' said
the second waiter.

'Yes,' said the tall waiter. 'Only through the individual can you
attack the class. It is necessary to kill the individual bull and the
individual priest. All of them. Then there are no more.'


Io non ho risposte alle mie questioni. Ma se finalmente un giorno mi
si dimostrasse che l'evoluzione e' proprio basata sulla
massimizzazione della funzione obiettivo "mors tua vita mea", be'
allora mi dispiace, scusatemi, ma di evolvermi non ho propria voglia.

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Attento,

innanzitutto la ringrazio per aver colto la mia volontà di dialogo e sincerità senza la quale avremmo solo una recita delle parti totalmente sterile.

Vengo alle sue obiezioni.

Per quanto riguarda il caso temo se ne abusi, il caso è solo nelle variazioni, poi tanto l’evoluzione biologica quanto quella culturale sono dotate di memoria (che funzionano in modo diverso ma hanno entrambe memoria non devono ripartire ogni volta da zero) ed è su questo che agisce la costruzione di organismi sempre più complessi e di conoscenze (morali, scientifiche, artistiche filosofiche e, perché no, teologiche).
Dunque come si costruisce sulle conoscenze pregresse per la scienza così si fa per le leggi e i diritti, non è un caso che alcuni principi che ora riteniamo universali siano stati codificati in “diritti” solo dopo tragedie di dimensioni mondiali.

Venendo alle certezze assolute ed eterne c’è il problema che ad interpretarle siamo noi umani alquanto limitati e caduchi, quindi a meno di non attribuirci capacità di comprensione al di là della nostra finitezza se anche esistono verità assolute non è detto che siamo in grado di coglierle completamente e dunque dobbiamo adattarle in base ai nostri mezzi e alla comprensione che ne abbiamo in quel particolare momento storico.

Dunque la solidità maggiore dei valori assoluti è solo immaginaria in quanto anche questi presunti valori assoluti sono filtrati attraverso la finitezza umana e il rischio è che in nome di valori assoluti si giustifichino terribili ingiustizie.

Ne approfitto per rispondere anche al collega Cortis (mi è parso di capire sia un ingegnere anche lui :), partendo dalla chiosa sul caso che ho fatto prima c’è da dire che uno dei grandi risultati scientifici e filosofici delle intuizioni di Darwin è proprio la non necessità di una funzione obiettivo, l’ambiente continuamente mutevole tende a favorire la riproduzione di quei soggetti che presentano mutazioni favorevoli (si deve sempre ricordare che mutazioni appaiono in ogni individuo ma per la maggior parte sono neutre, alcune sono mortali e poche sono vantaggiose, banalmente la capacità di assimilare lattosio è un piccolo vantaggio che permette di crescere più sani e forti sfruttando un alimento che altri non possono consumare) e dunque si tende a diffondere maggiormente quella mutazione (tutta le formule su cui si basa lo studio matematico delle teorie evolutive tende a misurare proprio questo differenziale riproduttivo e quanto una data mutazione si diffonde nella popolazione).

Quindi il caso non dà direzione, il caso dà solo continue mutazioni, l’ambiente favorisce di volta in volta questa o quella mutazione, a questo bisogna aggiungere tutti i fattori di coevoluzione presenti tra specie diverse e nel nostro caso tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale (ancora una volta la capacità di digerire il lattosio ha poco senso senza la domesticazione dei bovini.)

Cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Andrea Cortis ha detto...

... ’ambiente continuamente mutevole tende a favorire la riproduzione di quei soggetti che presentano mutazioni favorevoli ...

Mi dispiace, saro' tarato, ma continuo a non capire. Mutazioni favorevoli a che cosa?

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Cortis,
provo a risponderle
favorevoli al successo riproduttivo (maggior capacità di attrazione, maggiore capacità di crescere sano, maggior capacità di procacciarsi cibo ecc ecc), più si riproduce più quella mutazione si diffonde nelle generazioni successive.
Ovviamente non tutte le mutazioni sono o solo favorevoli o solo sfavorevoli, ce ne sono alcune che sono favorevoli dal punto di vista riproduttivo ma danneggiano altre cose (e.g. l'anemia mediterranea era un vantaggio riproduttivo in zone malariche, in quanto dava una certa resistenza alla malaria, ma accorciava la vita del soggetto che aveva questo tratto; e così tanti altri esempi di mutazioni di vario genere tanto negli umani che negli altri animali, estinti e non).
Questo purtroppo in alcun modo ci assicura che come specie dureremo più delle altre....
cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Andrea Cortis ha detto...

Gentile Pagliara,

lasciando perdere per un attimo i suoi esempi strampalati (si e' mai chiesto perche' in Sardegna l'eta' media e' piu alta che altrove, a dispetto della larghissima diffusione dell'anemia mediterranea?).

Si accorge di come lei stesso cade in contraddizione? Prima lei osserva che non esiste una funzione obiettivo, cioe' uno scopo, e dopo osserva che lo scopo e' il successo riproduttivo?

... maggior capacità di attrazione, maggiore capacità di crescere sano, maggior capacità di procacciarsi cibo ...

Lasciando quindi perdere le sue contraddizioni logiche, ed ammettendo per assurdo che abbia ragione lei. Secondo lei, quindi, gli esseri umani che non hanno un apparato riproduttivo funzionale, sono "meno esseri umani" degli altri, a causa dei loro geni? E coloro che sono malati, deformi, portatori di handicap? Oppure coloro per "cause ambientali" non riescono a procacciarsi cibo a sufficienza sono "meno esseri umani" degli altri? Tanto l'evoluzione li spazzera' via comunque?

E poi perche' lasciare l'evoluzione al caso, questo barbaro caso, se invece possiamo dirigerla noi che siamo intelligenti? In fondo si tratta solamente di adattare l'etica a cio' che ci suggerisce la tecnoscienza, ed otterremo finalmente il tanto agognato Übermensch.

GiuseppeR ha detto...

Gentile Pagliara,

Non riesco proprio a seguirla quando mi parla di questo portentoso dispositivo, "la memoria", che avrebbe consentito la stesura della "Divina Commedia", la creazione della "Cappella Sistina" e l'elaborazione della "Fenomenologia dello spirito". Come diavolo ne siamo venuti in possesso (senza abusare della parola "caso")?

Immagino poi ci siano altri dispositivi, fortunosamente ottenuti dalla nostra specie, che possono, per esempio, spiegare la scelta, apparentemente assurda, che ha portato una una giovane donna albanese a dedicare tutta la sua esistenza ai lebbrosi di Calcutta.

Se tutto si spiega con la "dotazione" che naturalmente la specie umana si è trovata a disposizione, il fine, il significato della nostra esistenza è racchiuso in noi stessi, non c'è bisogno di far riferimento a nient'altro. E, visto che lei, onestamente, riconosce la la connaturata limitatezza e caducità degli umani la logica conseguenza è che, questo processo autonomo, naturale e inarrestabile, è destinato a superare la specie umana per arrivare a qualcos'altro (il "superuomo"? ahi ahia iahi....! - per inciso nei commenti di Cortis mi sembra che la stessa critica sia espressa in modo più articolato).

Le consiglio di rassegnarsi ad essere criticato per "antiumanesimo"....

Potrebbero anche dirle che non è una acquisizione molto recente, perché sembra una evoluzione, mutatis mutandis, del Materialismo Storico o di altre ideologie totalitarie del '900.

Un altro consiglio: mantenga la modestia dimostrata nel riconoscere che il suo "naturalismo" sia una "metafisica". In quanto tale la sua "visione dell'essere" la sua "cosmologia" si basano su "certezze" "assolute" e indimostrabili esattamente come la Trinità o l'Immacolata Concezione. In realtà assomiglia molto ad una Religione.

Ultimo suggerimento: visto che in genere ognuno di noi tende a restare abbarbicato ai propri dogmi, credo che, piuttosto che approfondire un dialogo "interreligioso" sia molto più proficuo quello "interculturale". Meglio riflettere sulle conseguenze, per esempio, sulla difesa della dignità della Persona o, sulla speranza che i nostri figli possano vivere una vita "piena".

Cordiali saluti

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Cortis,
il problema è che non c’è bisogno di una funzione obiettivo per ottenere quello che ho detto.

Prova a fare una grande semplificazione, se ho 1000 individui, nella generazione 1, con genoma aabbccdd e con questo genoma hanno pari probabilità di riproduzione (diciamo il 50%), nella generazione successiva appare un individuo con genoma aabbccde se questa modifica non cambia la possibilità di riprodursi e non è mortale si diffondere molto poco, se cambia in peggio (diciamo al 40%) tenderà a scomparire, se cambia in meglio (diciamo al 60%) tenderà a diffondersi nella popolazione delle generazioni successive.

Venendo a chi è più o meno meritevole di essere considerato umano quella che espone è la fallacia naturalistica ovvero non è che siccome una legge naturale funziona così oltretutto a livelli temporali molto lunghi questo implichi l’applicazione di quella legge anche agli uomini, siamo dotati di possibilità di scelta quindi la descrizione del funzionamento della natura non implica che debba essere imposta o porti necessariamente a valutazione di maggiore o minore umanità di questo o quell’individuo.

L’evoluzione non è un processo lineare dal basso verso l’alto, il massimo che si potrebbe pensare di fare potrebbe essere evitare le malattie genetiche più terribili ma non ha senso parlare di Übermensch perché dal punto di vista evolutivo non esiste un organismo migliore di un altro solo strade diverse che si possono prendere, e siamo tuttora in evoluzione. Inoltre questo esclude completamente la dimensione culturale nonostante sia altrettanto naturale si muove con tempi e mezzi diversi di trasmissione.

Cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Giorgio ha detto...

(Solo una precisazione, riguardante il mio precedente commento del 9 settembre 2009.)

Osservare che la scienza, indagando il "come" si originino e si sviluppino determinati fenomeni, proceda “etsi Deus non daretur” (cioè prescindendo dall’ipotesi di esistenza di Dio), significa riconoscere la legittimità, negli aspetti procedurali, della sua autonomia rispetto alla teologia (pur non misconoscendo il ruolo fondamentale avuto, nel suo sviluppo, dalle "metafisiche influenti", anche di carattere teologico); ciò non equivale ad avallare lo "scientismo" (relativamente al quale ho espresso più volte le mie critiche, come del resto ha fatto il prof. Israel).

“Certo, l’odierno progresso delle scienze e della tecnica, che in forza del loro metodo non possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso queste scienze viene innalzato, a torto, a norma suprema di ricerca della verità totale [questo è lo scientismo]. Anzi, vi è il pericolo che l’uomo, troppo fidandosi delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e più non cerchi cose più alte”. [Concilio Vaticano II, “Gaudium et spes” (Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo), n. 57]

Rinnovo saluti
Giorgio Della Rocca

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Attento,

mi devo ancora scusare per le mie limitate capacità esplicative. Con memoria intendevo la capacità di trasmettere informazione da una generazione all’altra meccanismo senza il quale non ha alcun senso la teoria dell’evoluzione. Tale memoria è presente anche nella trasmissione della cultura anche se ha meccanismi completamente diversi.

Ovviamente le opere di un singolo individuo obbediscono a meccanismi diversi da quelli evolutivi, ogni individuo ha una sua dotazione filogenetica (già di per se individuale) che è solo un potenziale che può prendere molteplici direzioni a seconda di quel che mangia, quel che fa, chi incontra, cosa studia e quant’altro. D’altra parte non è un caso che la Divina Commedia sia stata scritta nell’Italia del ‘200 mentre “il principe splendente” nel giappone dello stesso periodo. Ovvero come nascono le idee è problema completamente diverso per quanto affine a quello dell’origine delle specie.

Per quanto riguarda le scelte di Madre Teresa come ho già detto siamo animali sociali per cui abbiamo una certa dotazione nel provare sentimenti positivi verso gli altri, ovviamente c’è chi li esprime maggiormente attraverso le scelte della propria vita e chi diventa un insensibile che non si cura del suo prossimo; ad esempio (perdoni la semplificazione, c’è chi non ha la possibilità per limiti fisici, malattie e sfortunati incidenti) abbiamo tutti la capacità di imparare a leggere e scrivere ma non tutti sono capaci di scrivere la “divina commedia”.
Come ho già detto l’evoluzione non è lineare, non necessariamente dopo l’uomo c’è un uomo “più”, il superamento della razza umana potrebbe semplicemente essere l’estinzione della razza umana e la scomparsa di animali culturali quali siamo noi, per cui sarebbe il caso di preoccuparsi di rimandare (o addirittura evitare) quest’evenienza curandoci di evitare i disastri peggiori di cui siamo capaci.

Tanto il materialismo storico che la visione dialettica di Hegel sono profondamente anti-darwiniane perché appunto introducono un telos nelle loro teorie, fine che non è presente nella visione Darwiniana e naturalista.

Per quanto riguarda il dogma, non so che dirle, ho sempre pensato che i dogmi fossero immutabili, mentre quella che considero la mia concezione del mondo mi sembra solo la spiegazione migliore e più in accordo con i fatti osservati, ovviamente posso sbagliare tanto nella definizione di dogma che in quella di fatti osservati, ma sono pronto a cambiare idea davanti a prove sufficienti, credo cioè ci sia una differenza di approccio. Naturalmente affermare che “tutto è materia” resta un affermazione metafisica.

Cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Giorgio ha detto...

“Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui”. [Prima Lettera di Giovanni 4, 16; citazione con la quale si apre l’enciclica “Deus caritas est” di papa Benedetto XVI, 25 dicembre 2005]

“Per Freud l’amore era soprattutto un fenomeno sessuale. […] L’amore come fenomeno razionale, come coronamento della conquista della maturità, non era, per Freud, materia d’indagine, poiché non aveva un’esistenza reale”. [Erich Fromm (filosofo e psicanalista tedesco di origini ebraiche), “L’arte di amare” (cap. “L’amore e la sua disintegrazione nella società occidentale contemporanea”), 1956]
“Aver fede nelle possibilità dell’amore come fenomeno sociale, oltre che individuale, è fede razionale che si fonda sull’essenza intima dell’uomo”. [Conclusione del libro citato di Fromm]

“Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore. Ciò vale già nell’ambito puramente intramondano. [Ma l’amore puramente umano] è un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. L’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita, né angeli né potestà, né presente né futuro, né altezze né profondità, né qualunque altra cosa creata potrà separarci dall’amore che Dio ha per noi in Cristo Gesù nostro Signore”. [Lettera di San Paolo ai Romani 8, 38-39]”. [Enciclica “Spe salvi” di papa Benedetto XVI, 30 novembre 2007, n. 26]

Saluti (razionalmente cordiali)
Giorgio Della Rocca

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Giorgio,

molto umano, ma perché mai un desiderio di alcuni uomini (quello di un amore eterno) dovrebbe in qualche maniera testimoniarne la sua esistenza? Non è un modo come un altro per proiettare su una costruzione immaginaria un proprio bisogno di eternità?
Io personalmente trovo più produttivo prendere atto della mia finitezza e agire al meglio nella consapevolezza di essere limitato nel tempo, nello spazio e in tutte le mie capacità (anche quella di capire il mondo).

Cordialmente, Fabio Milito Pagliara

Giorgio ha detto...

(Altrettanto) gentile Fabio,
il tuo (visto che siamo quasi coetanei…) commento è ludwigfeuerbachiano, ma, come (ne convengo) l’esistenza di un desiderio (condiviso) nell’essere umano non è una prova dell’esistenza dell’oggetto del desiderio stesso, così, simmetricamente, non è nemmeno una prova della non-esistenza di tale oggetto.
Ma potrei anche, a guisa di boomerang, ribaltare la tua obiezione su ciò che hai detto successivamente, perché il fatto che tu (come altri) ti accontenti della tua finitezza (o – nostra – limitatezza) non dimostra la definitività di tale finitezza (o limitatezza) (hai presente il racconto fantastico a più dimensioni “Flatlandia” – un classico del XIX secolo – di Edwin Abbott Abbott?...).

Saluti (cordialmente razionali)
Giorgio Della Rocca

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Giorgio,

sono d'accordo che non provi la non-esistenza dell'ente in questione, ci mancherebbe.
Il punto è (almeno per me) perché ipotizzarlo se ci sono spiegazioni apparentemente più valide? Anche considerando tutti gli errori di attribuzione a cui siamo portati come specie?
Dunque l'esistenza di un essere supremo è sicuramente una possibilità ma la considero alquanto improbabile e più probabilmente frutto di dinamiche psicologiche e culturali.
Come ho cercato di dire in precedenza a me non interessa dimostrare la non esistenza di Dio o del sovrannaturale, ma semplicemente veder riconosciuto che una spiegazione naturalistica (anche del fenomeno religioso) sia altrettanto accettabile come base di una vita e di principi degni ed umani.
In questo caso si potrà poi tranquillamente dialogare delle proprie differenti concezioni cosmologiche senza appelli a verità assolute, che anche se esistessero non si capisce come possano essere possedute e non deformate da esseri finiti e fallaci come noi :)
Il bel libro Flatlandia mi sembra abbia una certa tendenza alla spiegazione naturale visto che anche le sfere dimenticano gli ipercubi ;)

cordialmente, Fabio

Giorgio ha detto...

Questa volta, Fabio, il tuo intervento è di carattere prevalentemente dawkinsiano.
Com’è noto, il matematico Bruno de Finetti (Innsbruck 1906 – Roma 1985) è stato un fautore della concezione soggettivistica della probabilità (che molti autorevoli studiosi ritengono essere una delle più adeguate), secondo la quale (molto sinteticamente) la probabilità di un evento rappresenta una misura del grado di fiducia che un osservatore ripone nel verificarsi dell’evento stesso, basandosi sulle informazioni possedute in un determinato momento. È evidente che tale concezione della probabilità di un evento (pur formulabile in termini matematici rigorosi) ha una componente soggettiva ineliminabile, cui si aggiunge la variabilità dovuta al mutare, nel tempo, delle informazioni possedute.

La mediazione umana (e quindi fallibile) è ineliminabile nei Testi Sacri (io mi riferisco alla Bibbia). Per questo motivo sono necessarie analisi critico-esegetiche dei Testi stessi, che non ne inficiano il valore “rivelativo”.

Per il resto, con tutto il rispetto, mi sembra che tu (come altri) abbia una visione troppo "orizzontale" della natura e dell’essere umano in particolare.
Ti consiglio di "alzare" un po’ lo "sguardo": potresti scoprire “orizzonti” insospettati…

Arrivederci (o arrisentirci)
Giorgio Della Rocca

Fabio Milito Pagliara ha detto...

Gentile Giorgio,

il problema è un altro e forse date le mie capacità limitate di comunicare ho confuso il mio intendere.
Partiamo dalla fine del tuo messaggio: io alzo lo sguardo e vedo le stelle e una grande meraviglia mi prende, ma questo è quel che provo a rendermi conto di essere capace di contemplare le stelle, di ricevere la luce dopo un viaggio di milioni di anni e su quel (poco) che so della loro e nostra lenta formazione.
Alla domanda sulle origini trovo più completa e soddisfacente sia da un punto di vista filosofico che scientifico la spiegazione naturalistica che quella di un intervento divino per i motivi che ho provato a spiegare sopra. Partire dal valore "rivelativo" dei testi sacri significa partire dalla convinzione che non siano prodotti umani (cosa che mi sembra decisamente più probabile dell'intervento di una qualsivoglia divinità).
Che ci sia una dimensione soggettiva nelle probabilità non significa che le probabilità non si possano in qualche modo assegnare appunto ricordandosi che c'è una dimensione soggettiva per cui le probabilità non sono certe, ma questo non significa che non si possa ragionare sulle probabilità.
In sintesi non si tratta semplicemente di accettare o meno un ipotesi, osservando la natura e in base alle nostre attuali conoscenze l'ipotesi di un atto di creazione non appare necessario, mentre ovviamente partendo dall'ipotesi di un atto creativo si possono trovare tutte le prove che si vogliono, ma la cosa non mi soddisfa, personalmente mi sembra d'ingannare me stesso e preferisco restare ad una visione naturalistica del mondo che (sempre personalmente) non mi priva né di umanità né di meraviglia.

A rileggerci
Fabio Milito Pagliara

Giorgio Israel ha detto...

Dateci un taglio o aprite un blog a parte.....

Fabio Milito Pagliara ha detto...

ops mi scusi non avevo colto il fastidio arrecato

mi faccio sempre trascinare da questi ragionamenti

mi scuso

chi vuole continuare in privato può scrivermi a fabio.militopagliara@gmail.com

cordialmente, Fabio