«Uno dei più grandi misteri dell’Universo è il fatto che non sia un mistero. Siamo in grado di comprendere e prevedere il suo funzionamento a tal punto che se un uomo comune del Medio Evo si trovasse a vivere tra noi si convincerebbe che siamo dei maghi». Così scriveva nel suo “Perché il mondo è matematico” il noto astronomo e autore di libri di cultura scientifica, John D. Barrow. È un trionfalismo che ci accompagna imperterrito, per esempio nella divulgazione di massa alla Piero Angela: la scienza ormai ha reso trasparente tutto, dalla pietra al cervello. Altri non si spingono a tanto, ammettendo che non sappiamo e non sapremo mai tutto, ma ribadendo che le verità acquisite dalla scienza poggiano su solida roccia e che soltanto la scienza ha diritto a dirsi “cattolica”. E guai a dire il contrario: si rischia – che dico – si ha la certezza dell’anatema, di ottenere il marchio infamante di “irrazionalista”, “nemico della scienza e della ragione”, “seguace di maghi, fattucchiere e oroscopari”. È una campagna che va avanti da mezzo secolo, e i cui paladini sono schierati attorno alle bandiere del progresso, del libero pensiero, della lotta contro l’oscurantismo.
Poi esplode il vulcano Eyjafjiallajökul e improvvisamente la musica cambia. Il Corriere della Sera dedica una pagina intera alle implicazioni espitemologiche dell’evento intitolandola nientedimeno che: “La natura imprevedibile è più forte di noi”. Passi il “più forte di noi”, ma quell’“imprevedibile” lascia di stucco. Se l’avesse detto chi da tempo contesta lo slogan dell’onnipotenza della scienza, e sostiene che è “razionale” e “scientifico” ammettere che la scienza si scontra contro gravi difficoltà di previsione, che è sempre più difficile ottenere leggi generali, che la scienza di base è in grave stallo, sarebbe partito l’anatema. Ma a chi è uso sostenere che l’unica fonte di verità è la scienza è consentito spararla grossa. Come Margherita Hack che non vuol spingersi a dire «che la scienza sia impotente» – non esageriamo, nessuno si spinge a tanto – ma arriva alla conclusione che «non tutto è prevedibile». Eppure – consola Hack – la scienza serve comunque a qualcosa, anche quando prevede l’assoluta imprevedibilità – e anche questo è un po’ troppo cattivo con la povera scienza. Difatti «non sappiamo quando il Vesuvio andrà in eruzione ma di certo prima o poi accadrà». Di certo? Per quanti sforzi abbiamo fatto non abbiamo capito perché dall’assoluta imprevedibilità di quando possa accadere un’eruzione discenda la certezza del suo accadimento. Deve averci messo lo zampino un veggente.
Secondo Paolo Rossi la vicenda del vulcano distrugge «il mito della prevedibilità dei fenomeni fisici ma anche del corso storico». Difatti, curiosamente, Rossi coglie l’occasione per sfogarsi contro gli sta antipatico anche se non c’entra nulla: esemplifica come errori madornali le previsioni di padre Lombardi che vedeva i cavalli dei cosacchi abbeverarsi alle fontane di San Pietro e le previsioni apocalittiche di Asor Rosa. Più attinente sembra la critica della pretesa degli economisti di controllare scientificamente il mercato. Ma sarebbe stata più pertinente una critica delle previsioni di costruire entro breve tempo una macchina pensante, un robot autonomo, e di tutto l’armamentario di speculazioni a base di risonanza magnetica con cui si vuol far credere che staremmo sul punto di tradurre pensieri in termini di processi chimico-fisici cerebrali. Ma è meglio prendersela con padre Lombardi o Asor Rosa.
Per parte sua, a Emanuele Severino la tesi che la Natura sia più forte della Tecnica infastidisce non poco. Lui vede la crisi del vulcano come una pausa nel percorso con cui la Tecnica va verso il dominio del mondo e una prova che, pur combattendo alla pari con la Natura, ancora non è in grado di tenerle testa del tutto. Ciò sarebbe dovuto anche al fatto che le leggi della scienza (su cui la tecnica è basata) sarebbero ipotetiche, da cui discende, ad esempio, che «un corpo, abbandonato a sé stesso, da un momento all’altro, invece di cadere verso il basso potrebbe andare verso l’alto», da cui una ribellione radicale della Natura che mette in discussione il dominio della Tecnica. Non è chiaro se il corpo che sale verso l’alto siano le polveri del vulcano: in tal caso, nessun problema, ci ricadranno presto sulla testa, confermando le leggi della fisica. Oppure si vogliano riproporre le tesi dell’integralista islamico Al-Ghazali che quasi costarono la testa ad Averroé: solo che Al-Ghazali parlava della libertà di Dio di governare la natura a suo piacimento e non di una Natura dotata di libero arbitrio.
Questo è quanto ci ha offerto la lettura del mattinale scientifico all’ombra del vulcano. Peraltro è certo che, depositatesi le polveri, ricomincerà la solfa che «il più grande mistero è che non vi siano più misteri».
(Il Foglio, 20 aprile 2010)
7 commenti:
Eppure, se c'è una virtù che il ricercatore scientifico dovrebbe avere, di necessità, è l'umiltà. Ma si vede che l'umiltà è come il coraggio che mancava a Don Abbondio: "chi non ce l'ha non se lo può dare".
Egregio Professore, posso patire quasi tutto, ma che Margherita Hack adesso si metta pure a menare gramo è troppo anche per me.
Mi permetto aggiungere alla Sua ultima riga che ricomincerà anche "il solfeggio a più mani dell' International Panel of the Global Worming". E' lecito però sperare che almeno non sia più addebitato all' àntropos?
Mi permetto di segnalare un articolo ANSA, credo possa interessare. Non vi sembra "onnipotente"?
http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/scienza/2010/04/23/visualizza_new.html_1765407283.html
A casa nostra ne abbiamo di scienziati "coraggiosi". Cito il prof. Cavalli Sforza sul Corriere della sera del 16/4 a proposito del recente libro "Gli errori di Dewin" di Fodor Piattelli Palmarini "Il modo più semplice per rispondere a questo nuovo attacco è di porsi coraggiosamente il problema: che cosa é la vita? Molti lo considerano un mistero insondabile, ma oggi siamo abbastanza vicini ad acverlo capito". Coraggioso senz'altro ma umile per niente.......
Sono abbastanza vecchio per ricordare un'eruzione dell'Etna minacciosa per alcuni centri abitati. La Protezione Civile dell'epoca, con il supporto del vulcanologo Harun Tazieff, attraverso l'esplosione di alcune cariche riuscì, facendo crollare una parete di roccia, a deviare la colata.
Ci fu qualcuno che sbraitò, affermando che "era stato violata la natura, era stato violato il vulcano" (è facile pensare chi fossero, costoro).
Certamente, dobbiamo convivere con una natura della quale non sappiamo, né possiamo sapere tutto, ma, essendo quell'ambito dell'esistente in cui la natura ha coscienza di sé, possiamo dare sfogo alla nostra curiosità ricercando. Chi sostiene di avere capito tutto non solo non ha più niente da ricercare, ma non può essere neppur più definito scienziato: è solo un presuntuoso ideologicamente schierato dietro improbabili dogmi, parti solo o del suo cervello, o dell'ideologia alla quale ha sacrificato quello che rimaneva della sua intelligenza.
Caro omonimo, a proposito dell'articolo ANSA che va a segnalare, Le rispondo come disse Churchill quando gli fu presentato qualcosa di analogo: "spero per quell'epoca di essere già morto".
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