Questa vicenda è molto significativa perché permette di capire che sono nel giusto coloro che denunciano la tendenza a trasformare l'università in qualcosa di diverso rispetto alla funzione istituzionale che essa ha in qualsiasi parte del mondo: dal ruolo di alta formazione a quello di ufficio studi e di consulenza per le aziende sul territorio. Se si tagliano eccessivamente i fondi e si costringono le università a cercare quattrini in attività esterne, in particolare di consulenza, l'attenzione per la formazione si attenua e si verifica quel che denuncia Rolando: una «distrazione dell'università dalla sua missione». Non si capisce – egli prosegue «perché un docente, pagato per svolgere attività didattica, dovrebbe distogliere la sua attenzione per dedicarsi alle gare». Invece si capisce benissimo, e il perché lo ha spiegato il direttore generale della Luiss, l'università di Confindustria, Pier Luigi Celli, dicendo che bisogna «togliere la governance totale dell'università all'accademia. E aprirla alle imprese, alle istituzioni, alla società civile».
Si chiede qualcosa che non esiste neppure nelle università statunitensi private, dove i docenti conservano un ruolo determinante nella governance. E quantomeno là i privati pagano. Qui, invece, secondo il tipico modello dell'industria assistita italiana, si vuole la botte piena e la moglie ubriaca: un'università che fa lavoro di consulenza a bassi costi per le aziende le quali, oltre a spendere meno, non contribuiscono con un centesimo e, per giunta, si accaparrano il controllo totale. Insomma, è l'università come ufficio studi e consulenze confindustriale. Non è la via per costruire istituzioni prestigiose: le più grandi università del mondo non sono certamente famose perché fanno consulenza sul territorio. Ma di che stupirsi? Per capire cosa produca questo modello basta cercare la posizione della Luiss nelle classifiche internazionali delle università (in quelle internazionali, non in quelle nazionali addomesticate). È semplicemente introvabile.
Questa è la filosofia del capitalismo italiano: spremere la mucca statale per ottenere il massimo vantaggio possibile in tempi minimi, a costo di farla schiattare.
(Tempi, 1 dicembre 2010)
1 commento:
Quello che il sig. Celli propone, lo abbiamo già intravisto in Giappone. Col risultato che l'economia è andata in barca ben prima di quelle europee.
Sto ancora aspettando di guadagnare qualcosa dagli investimenti alla Borsa di Tokio.
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