mercoledì 27 aprile 2011

La scuola ridotta a corso di addestramento


Valutare la scuola per migliorarla: è un tema all’ordine del giorno da anni e su cui si sono infranti parecchi tentativi, anche per le resistenze corporative di molti docenti a farsi giudicare. Ma, al di là di queste resistenze, esiste il problema delle modalità della valutazione, che non sono affatto scontate. La modalità più semplice, largamente seguita all’estero, è quella dei test. Non a caso, siamo quotidianamente sottoposti a piogge di statistiche che certificano carenze e successi delle scuole dei vari paesi in questa o in quella materia. Una visione critica imporrebbe molta prudenza nel valutare (è il caso di dirlo) il significato e il valore di queste statistiche, soprattutto in relazione al contenuto dei test “somministrati” (è l’orrido termine ormai in uso). È facile mostrare come certi “successi”, come quello della scuola finlandese, derivino dall’adeguamento della didattica all’obbiettivo di avere successo nei test, e celino gravissime carenze nella qualità degli apprendimenti scolastici. Ma siccome siamo in mano agli “esperti” scolastici – tecnocrati competenti nelle tecniche di valutazione ma assolutamente ignoranti dei contenuti – la considerazione della natura dei test è considerata come una perdita di tempo: basta che la loro preparazione sia affidata a “specialisti” per disinteressarsi del loro contenuto. Come costoro siano stati scelti, quali competenze abbiano, perché non vi sia un controllo incrociato del loro operato, pare cosa totalmente irrilevante.
Comunque, pur difendendo la necessità del massimo rigore e della massima trasparenza sui contenuti, non intendo affatto negare l’utilità dei test al fine di stabilire se esista un livello minimo di capacità in ortografia, grammatica, nozioni di base della matematica, ecc. Insisto sull’aggettivo “minimo”, perché se si pretende che con i test si possa valutare anche la capacità di uno studente di comporre un testo stilisticamente valido o di impostare correttamente un problema in termini matematici e risolverlo, allora siamo alla pura e semplice cialtroneria. Tuttavia, ripeto, si può concordare sull’utilità di base di test accuratamente pensati e verificati. Il vero problema è però quello accennato prima: e cioè che la didattica non si pieghi al fine del successo nei test. Questo significherebbe aprire la strada al famigerato “teaching to the test” – l’insegnamento completamente funzionale ai test – che ha fatto danni disastrosi laddove è stato applicato. Quando ho paventato questo rischio sono stato accusato di catastrofismo. Era un timore riduttivo perché, dai segnali che arrivano, purtroppo ci siamo. In vista dei prossimi test Invalsi in molte classi si è smesso di insegnare per dedicarsi all’addestramento a superare i test. In altre classi gli insegnanti resistono e si rifiutano giustamente di smettere di insegnare Leopardi per dedicarsi ai test: quando i test verranno si faranno, e basta. (Si noti che anche questo dimostra l’utilità delle classi, non dispiaccia ai buontemponi che vorrebbero la scuola “open space”). Il guaio è che è difficile resistere: le scuole sono soggette a un diluvio di libercoli ed eserciziari volti ad addestrare al superamento dei test Invalsi, spesso di contenuto indecente (ma qui non vi è spazio per documentarlo). È un tipico fenomeno di affarismo all’italiana. Si dice anche che alcuni autori siano tra coloro che preparano i test: non voglio crederci neppure per un attimo. Ma, di certo, sarebbe necessaria una parola chiara e forte da parte del Ministero: in nessun caso l’insegnamento può essere trasformato in un addestramento a superare i test. Altrimenti, alla scuola italiana potremo dare l’addio finale.
(Tempi, 27 aprile 2011)

5 commenti:

Nautilus ha detto...

Condivido ogni singola riga. Purtroppo, ripetendo quanto da me già sostenuto qui, ho l'impressione che un "governo del fare", come si vuol accreditare l'attuale, non può farsi sfuggire l'occasione di vantare successi certificati e a breve termine.
Il "teaching to the test" è l'ideale per questo, come dimostrato dallo stesso Abravanel nel memorabile paragone fra le scuole delle regioni Puglia e Calabria, nel quale le prime in un solo anno hanno surclassato le seconde grazie all'insegnamento dedicato ai test. (E te credo!)
Che poi questo metodo abbia già dato risultati disastrosi altrove sembra che sui media lo sostenga quasi solo lei caro professore (io le credo sulla parola anche perchè mi sarei meravigliato del contrario): è comunque un fatto che andrebbe MOLTO pubblicizzato, un articolo come questo lo vorrei vedere sul Corriere o Repubblica.
E' già sbagliato seguire teorie pedagogiche valide solo nella testa degli "esperti", ma addirittura affidarsi a un metodo di cui già esistono le prove fallimentari mi sembra diabolico.
Il guaio è che una riforma seria della scuola prenderebbe anni per la sua applicazione e ancora di più per vederne i primi effetti, tutta roba che con la vigente ossessione dei risultati epocali da celebrare non può avere molta fortuna.

Giorgio Israel ha detto...

Caro Nautilus, a me non interessa essere solo, a me interessa dire e fare quello in cui penso e credo. E le tantissime lettere e manifestazioni di consenso che ricevo mi fanno sentire in compagnia, anche se non quella che "conta". Ma poi, alla fine, bisogna vedere chi conta davvero. Sul Corriere un mio articolo non apparirebbe mai perché il Corriere è l'organo di Giavazzi-Abravanel-Treelle e tutti i testologi più accaniti. La Repubblica è trasversalmente schierata sullo stesso fronte. Il povero Pirani conduce una battaglia da solo e, se pure lo considerano, come un rudere gentiliano, lo lasciano scrivere soltanto perché è autorevole. Altrimenti...
Comunque per sentirsi meno soli legga il commento che allego in seguito.
A breve inserirò un articolo sul bluff della matematica finlandese pubblicato sul Foglio col titolo "Vade retro test" e domani dovrebbe uscirne un altro sui test Invalsi sul Sussidiario.
Io ho collaborato con questo ministero perché si era aperto uno spiraglio. Ma, visto come vanno le cose - incluso il modo con cui è stato devastato il nostro lavoro sulla formazione degli insegnanti - continuerò a tirare dritto sulla mia strada, per quanto stretta sia e per quanto poco conti.

Giorgio Israel ha detto...

Secondo Diane Ravitch, nota docente americana di storia dell’educazione, già collaboratrice del presidente George Bush padre e del suo successore Bill Clinton, nonché sostenitrice del progetto di George Bush figlio No Child Left Behind e delle Charter Schools, l’uso dei test per valutare le scuole e gli insegnanti si è rivelato un fallimento.

Lo ha sostenuto, sorprendendo coloro che ne conoscevano le precedenti posizioni, favorevoli ai test, in un libro del 2010 diventato rapidamente un best seller negli USA, dall’esplicito titolo The Death and Life of the Great American School System: How Testing and Choice Undermine Education.

L’approccio della Ravitch al tema è empirico, e riguarda in particolare le Charter Schools, scuole gestite da enti e fondazioni, nate spesso sulle ceneri di scuole pubbliche chiuse sulla base dell’esito negativo dei test condotti sull’apprendimento degli allievi. La studiosa cita un’importante ricerca realizzata negli USA su questa tipologia di Charter Schools in base alla quale solo il 17% di esse avrebbe ottenuto risultati migliori di quelli conseguiti dalle scuole pubbliche, il 46% uguali e il 37% addirittura peggiori.

Rendere i test più difficili, stabilire obiettivi irrealistici e punizioni draconiane come la chiusura delle scuole, privatizzare le scuole pubbliche convertendole in Charter Schools, tutto questo non serve. La sua conclusione è secca: “Il migliore predittore di future scadenti prestazioni scolastiche è la povertà, non i cattivi insegnanti”.

Andrea Viceré ha detto...

Caro Professore,

anche nella scuola media di mio figlio l'insegnante di matematica giustamente si rifiuta di "insegnare per il test", ma può permetterselo perché fra qualche anno andrà in pensione.
I docenti del futuro forse non potranno permetterselo, perché i loro livelli stipendiali saranno, è lecito prevedere, strettamente legati ai risultati dei tests inflitti ai loro alunni.
Dato il contesto, non vedo come altrimenti interpretare le ripetute dichiarazioni ministeriali sulla volontà di introdurre maggiore meritocrazia fra i docenti della scuola italiana, e di legare gli incrementi stipendiali ai risultati. Valutati come, se non mediante gli Invalsi?
Per quanto bene i tests vengano formulati, io temo che attribuire a essi l'unica funzione di valutazione del corpo docente porterà in modo quasi necessario al "teaching to test"; gli insegnanti che non lo faranno saranno emarginati dai loro stessi colleghi.
Nel chiedere al Ministero "una parola chiara e forte" contro una tale involuzione, a me pare che Lei stia chiedendo non un chiarimento, ma un cambio radicale di rotta, e mi è difficile nutrire speranze in tal senso.

Cordialità

Andrea Viceré

Giorgio Israel ha detto...

Certo, che è la richiesta di un cambio di rotta, visto che un cambio di rotta c'è stato in questi ultimi sei mesi.Si tratterebbe di fare un altro giro di 180 gradi. Il fatto che le speranze siano poche non può indurre a tacere. Altrimenti andiamocene tutti a casa e lasciamo che si compia il disastro finale.
Ecco cosa dovrebbe fare un insegnante se smettesse di insegnare letteratura italiana e seguisse il manuale addestrativo per i test Invalsi e Ocse Pisa in "competenze di letto-scrittura" per le medie superiori (Iaccarino - Palmieri - Sessa, "Il lettore competente"). Dovrebbe addestrare a;
- leggere un piano di evacuazione della scuola in caso di calamità
- leggere un depliant di una mostra
- leggere una statistica dei residenti stranieri del comune di Prato o della produzione di rifiuti nel Veneto
- leggere un grafico delle temperature a Torino
- leggere una previsione del tempo e saper disegnare i simboletti (sole, pioggia, nuvole..) su una carta dell'Italia
- quali percorsi compiere per andare da un punto a un altro della città di Roma
- leggere un brano sul viaggio di Enea e ricostruirne le tappe sulla cartina
- saper leggere un regolamento di consiglio d'istituto