Sembra di leggere un racconto di fantascienza. Forse la cosa che mi colpisce di più è quella frase: "the testing industry"...la scuola ridotta a industria dei test..e quell'apocalittico ridurre i tempi delle materie per averne di più a disposizione per fare test e ancora test, visto che ne va della vita dell'insegnante... Su questo argomento c'è un interessante commento del blogger e insegnante Leonardo Tondelli sulla difesa che l'economista Tito Boeri fa dei test Invalsi, ne riporto qualche chicca qua e là:
Boeri: "Bisognerebbe, al contempo, raccogliere informazioni sugli studenti assenti alle prove in modo tale da dissuadere gli istituti dall'incoraggiare assenze selettive degli studenti con le performance peggiori. Tondelli: Sì. Ha un senso. Un po' poliziesco, ma posso capire. Non ci avevo ancora pensato, Boeri sì (a questo servono gli esperti): quando il sistema andrà a regime, le scuole cominceranno a competere furiosamente tra loro, ed evitare che gli studenti peggiori partecipino alla prova nazionale sarà per molte una questione di vita e di morte. Non resta che imporre un apparato poliziesco.."
B: "Ci sono poi i timori di alcuni docenti che la valutazione possa ritorcersi contro di loro. Nel caso dei bravi docenti sono paure del tutto infondate: T: Beh, ma questa è buona. Siate bravi e nessuno vi farà male. Ma noi temiamo, appunto, di non essere bravi. Perché misuriamo ogni volta la distanza tra la nostra preparazione e il risultato di una prova che non dipende nemmeno dal programma che stiamo svolgendo. C'è un migliaio di modi diversi di essere bravi insegnanti di italiano, ma se la prova invalsi fa una domanda sulla subordinata consecutiva, l'unico insegnante che sarà ritenuto “bravo” è quello che ha perso due settimane di tempo a far entrare nella testa del singolo ragazzo il concetto di subordinata consecutiva. Gli altri magari sono bravi a fare altre cose, ma non è vero che non hanno nulla da temere. Hanno da temere la proposizione subordinata consecutiva, per esempio. Cominciano a sognarsela di notte.
B: E non è affatto detto che il cosiddetto "teaching to the test", insegnamento finalizzato a una migliore performance nel test, sia efficace. T: Questo è interessante. Da quando le prove Invalsi sono arrivate a scuola, un sacco di insegnanti ha cominciato a usare le ore di lezione per allenare i ragazzi a riuscire nei test, e gli esperti storcono il naso: quella non è vera scuola. Sì, ma se l'obiettivo diventa riuscire nel test, meglio allenarsi, no? No, non è detto che sia meglio. Sì, ma chi è che non lo dice? Ci sono degli studi in materia, dei dati statistici? Perché professore, finché non mi fa vedere dei numeri, io continuo a far fare ai miei ragazzi dei test a nastro, nella speranza che becchino più o meno le stesse risposte della prova finale: ne va della mia reputazione e del mio salario, mica mi posso fidare dei suoi “Non è detto”.
L'intero post è qui: http://leonardo.blogspot.com/2011/05/chi-verifica-le-verifiche.html#comments
A proposito di "orecchie da mercante". Il primo a farle, mi pare di capire, è il Corriere, il quale non ha di sicuro la memoria di Pico della Mirandola. Per l'interesse dei confindustriali alle scuole di tecnici , specialmente dopo la vicenda Fiat−Crysler, occorre distinguere tra il pensiero dei burocrati e le esigenze dei manager.
Nel blog cui ho fatto cenno nel mio post precedente ho trovato un lungo intervento di un insegnante (Luigi per chi vuol andare a vedere) di matematica e fisica che ha lavorato in Slovenia. Riporto la parte riguardante la valutazione dei ragazzi e degli insegnanti:
" Gli esercizi.. (proposti agli esami: medie e maturità).. sono numerosi e relativamente semplici: non si verifica la genialità ma la comprensione dei concetti base. Alla fine, la valutazione è oggettiva, ed i colleghi di materie umanistiche mi garantiscono che anche per queste il margine di discrezionalità è minimo. Il voto....per le scuole medie fornisce due indicazioni:....(una delle quali) per valutare il docente. Questa ultima è pesata sulla quantità di anni durante i quali il docente ha tenuto la classe: un anno non conta, due anni inizi ad essere responsabile e dopo tre anni con la stessa classe sei responsabile al cento per cento. In caso di prestazioni significativamente al di sotto della media nazionale e degli standard previsti dai programmi ministeriali, i docenti non vengono certo licenziati, ma affiancati dai supervisori di cui si è parlato sopra con lo scopo di aiutarli a migliorare la qualità della loro didattica. ...(Questi ispettori sono) persone di provata esperienza e che hanno insegnato per anni, aiutano i novellini ad avanzare lungo i cinque livelli di carriera che un insegnante ha a disposizione: l'ultimo livello riceve una paga quasi doppia rispetto all'insegnante appena arrivato: gli avanzamenti possono avvenire ogni cinque anni e sono attentamente monitorati, comportando la presentazione di tesine, lo svolgimento di lezioni pubbliche e ovviamente il controllo dei risultati ottenuti dagli studenti. Non dico che tutto sia perfetto, certo il sistema dà meno libertà e si è molto più controllati, ma anche molto più aiutati e valorizzati anzichè lasciati allo sbaraglio."
Vorrei fare un paio di osservazioni:"esercizi numerosi e relativamente semplici", ecco, non sarebbero meglio dei test a crocette e altrettanto facilmente e oggettivamente valutabili? Col vantaggio che dovrebbero riferirsi al programma minimo ministeriale, senza obbligare al "teaching to the test"? Almeno quando uno studente ha dato ampia prova di sapersi destreggiare negli esercizi e ragionamenti di base è comunque possibile cominciare a costruirci su qualcosa di buono, anzichè come spesso accade dover ricominciare tutto da capo. La valutazione poi dell'insegnante mi pare la migliore (o meno peggio) di quelle che ho sentito finora, personalmente la riterrei accettabilissima. Mi piacerebbe sentire qualche opinione in merito.
“Sì, ma se l'obiettivo diventa riuscire nel test, meglio allenarsi, no?”. Altro che allenarsi: se i test Invalsi diventeranno il parametro di valutazione dell'insegnante, e vogliono che lo diventi, è certo che gli insegnanti si piegheranno alla logica dell'addestramento totale. Non si penserebbe ad altro che a un'eccellente riuscita nelle prove. Già si avverte tra i colleghi una frenesia mimetica, competitiva, da addestratori. Se credessi che la mia immagine di insegnante, nonché il destino del mio miserrimo prossimo futuro stipendio, dipendesse dalla corretta collocazione di quei pallini sulle schede, forse mi scatenerei anch'io in questa corsa alla continua somministrazione di prove alle prove. Ma non ci credo. E continuo a insegnare, vada come vada. Preferisco fare altro, benché ciò mi stanchi molto più di quanto non graverebbe il maniacale esercizio di quelle viziosissime provine. Devo occuparmi del sublime in Ulisse di fronte a Nausicaa, di Leopardi sotto il cielo stellato infinito, della logica grammaticale, delle crisi di panico di un'alunna, del degrado di facebook a cui cerco di sottrarre i miei alunni, dei bulli nei cessi della scuola, della musica che la collega di musica non fa ascoltare, di accompagnare, non retribuito, la mia classe a Siracusa per Andromaca, e di tutto un mondo di cui le prove Invalsi non tengono alcun conto: quel mondo si chiama insegnamento.
Mi piacerebbe essere valutato sulla base di quella che è la realtà del mio lavoro. Mi sdegna che ciò possa avvenire sulla base di ciò che esperti aziendali ritengono debba essere. La scuola è tante cose, tranne che un'azienda. Essere finalmente valutato! E' esattamente quello che, nel mio lavoro di insegnante, mi manca: un riconoscimento certificato, pubblico, dei meriti. Uno che si impegna da decenni, alla fine, sente il bisogno di un'identità lavorativa concreta, certificata. Non ci si accontenta più dei “si dice”, né della stima dei propri alunni, né dei casuali ringraziamenti dei genitori, né della sempre implicita, e mai volutamente esplicitata, soddisfazione del dirigente scolastico a cui il tuo impegno porta, come direbbe il cafoncello arricchito, nuova “utenza”. Tutto è così precario, così evanescente, nell'attraversamento della vita scolastica, nel tempo speso nel dialogo della trasmissione, nella trasmissione dei tuoi interessi e nella rappresentazione condivisa del sapere, da sembrare un affare privato, stipulato per convenzione tra te e i tuoi alunni, o al massimo tra te gli alunni e le loro famiglie. Lo Stato non ne sa nulla. Per lo Stato tu sei un impiegato qualunque. E invece invocherei una certificazione statale del mio operato educativo. Qui sono hegeliano: se non mi riconosce lo Stato, sono troppo astratto. Ma questa valutazione dell'operato può venire soltanto da un processo culturale, come lei, prof. Israel, ha già spiegato nelle sue proposte. A tale scopo servirebbero solo ispettori che siano all'altezza di questo compito, non burocrati, ma intellettuali con cui confrontarsi sulle responsabilità. Prove Invalsi e processo culturale si escludono reciprocamente, come i termini di un ossimoro.
Junco, tu non sei un insegnante, sei un artista, lasciatelo dì! La tua descrizione della condizione docente sotto il profilo valutazione altrui è perfetta. Beh, d'altra parte tutti i bravi insegnanti un poco artisti lo sono...e quindi come puoi essere valutato o peggio, come pretenderebbe Abravanel, misurato? L'artista deve bastare a se stesso. Te almeno hai un preside che ti conosce e riconosce, e io che mi cambia quasi tutti gli anni e dubito sappia chi sono? Quest'anno son mancato parecchio tempo, torno e trovo chi mi fa:"Ah che disastro senza di te...ora si sono accorti di quanto eri importante.." E' quasi un coro. Credono forse di farmi un complimento! ORA? Ma brutti zucconi, solo ora l'avete capito che ero Insostituibile? E io che mi credevo lo sapessero tutti...che colpo! :) Insomma caro Junco, valutiamoci da per noi, magari esagerando pure, e accontentiamoci degli sguardi (che supponiamo di rispetto) degli alunni nei corridoi ma che ce ne facciamo d'un pezzo di carta di certificato? Che tanto ci scommetto, perfino gli ispettori non saprebbero apprezzarci al nostro giusto valore! :)
6 commenti:
Sembra di leggere un racconto di fantascienza. Forse la cosa che mi colpisce di più è quella frase: "the testing industry"...la scuola ridotta a industria dei test..e quell'apocalittico ridurre i tempi delle materie per averne di più a disposizione per fare test e ancora test, visto che ne va della vita dell'insegnante...
Su questo argomento c'è un interessante commento del blogger e insegnante Leonardo Tondelli sulla difesa che l'economista Tito Boeri fa dei test Invalsi, ne riporto qualche chicca qua e là:
Boeri:
"Bisognerebbe, al contempo, raccogliere informazioni sugli studenti assenti alle prove in modo tale da dissuadere gli istituti dall'incoraggiare assenze selettive degli studenti con le performance peggiori.
Tondelli:
Sì. Ha un senso. Un po' poliziesco, ma posso capire. Non ci avevo ancora pensato, Boeri sì (a questo servono gli esperti): quando il sistema andrà a regime, le scuole cominceranno a competere furiosamente tra loro, ed evitare che gli studenti peggiori partecipino alla prova nazionale sarà per molte una questione di vita e di morte. Non resta che imporre un apparato poliziesco.."
B:
"Ci sono poi i timori di alcuni docenti che la valutazione possa ritorcersi contro di loro. Nel caso dei bravi docenti sono paure del tutto infondate:
T:
Beh, ma questa è buona. Siate bravi e nessuno vi farà male. Ma noi temiamo, appunto, di non essere bravi. Perché misuriamo ogni volta la distanza tra la nostra preparazione e il risultato di una prova che non dipende nemmeno dal programma che stiamo svolgendo. C'è un migliaio di modi diversi di essere bravi insegnanti di italiano, ma se la prova invalsi fa una domanda sulla subordinata consecutiva, l'unico insegnante che sarà ritenuto “bravo” è quello che ha perso due settimane di tempo a far entrare nella testa del singolo ragazzo il concetto di subordinata consecutiva. Gli altri magari sono bravi a fare altre cose, ma non è vero che non hanno nulla da temere. Hanno da temere la proposizione subordinata consecutiva, per esempio. Cominciano a sognarsela di notte.
B:
E non è affatto detto che il cosiddetto "teaching to the test", insegnamento finalizzato a una migliore performance nel test, sia efficace.
T:
Questo è interessante. Da quando le prove Invalsi sono arrivate a scuola, un sacco di insegnanti ha cominciato a usare le ore di lezione per allenare i ragazzi a riuscire nei test, e gli esperti storcono il naso: quella non è vera scuola. Sì, ma se l'obiettivo diventa riuscire nel test, meglio allenarsi, no? No, non è detto che sia meglio. Sì, ma chi è che non lo dice? Ci sono degli studi in materia, dei dati statistici? Perché professore, finché non mi fa vedere dei numeri, io continuo a far fare ai miei ragazzi dei test a nastro, nella speranza che becchino più o meno le stesse risposte della prova finale: ne va della mia reputazione e del mio salario, mica mi posso fidare dei suoi “Non è detto”.
L'intero post è qui: http://leonardo.blogspot.com/2011/05/chi-verifica-le-verifiche.html#comments
A proposito di "orecchie da mercante". Il primo a farle, mi pare di capire, è il Corriere, il quale non ha di sicuro la memoria di Pico della Mirandola. Per l'interesse dei confindustriali alle scuole di tecnici , specialmente dopo la vicenda Fiat−Crysler, occorre distinguere tra il pensiero dei burocrati e le esigenze dei manager.
Nel blog cui ho fatto cenno nel mio post precedente ho trovato un lungo intervento di un insegnante (Luigi per chi vuol andare a vedere) di matematica e fisica che ha lavorato in Slovenia.
Riporto la parte riguardante la valutazione dei ragazzi e degli insegnanti:
" Gli esercizi.. (proposti agli esami: medie e maturità).. sono numerosi e relativamente semplici: non si verifica la genialità ma la comprensione dei concetti base. Alla fine, la valutazione è oggettiva, ed i colleghi di materie umanistiche mi garantiscono che anche per queste il margine di discrezionalità è minimo.
Il voto....per le scuole medie fornisce due indicazioni:....(una delle quali) per valutare il docente. Questa ultima è pesata sulla quantità di anni durante i quali il docente ha tenuto la classe: un anno non conta, due anni inizi ad essere responsabile e dopo tre anni con la stessa classe sei responsabile al cento per cento.
In caso di prestazioni significativamente al di sotto della media nazionale e degli standard previsti dai programmi ministeriali, i docenti non vengono certo licenziati, ma affiancati dai supervisori di cui si è parlato sopra con lo scopo di aiutarli a migliorare la qualità della loro didattica.
...(Questi ispettori sono) persone di provata esperienza e che hanno insegnato per anni, aiutano i novellini ad avanzare lungo i cinque livelli di carriera che un insegnante ha a disposizione: l'ultimo livello riceve una paga quasi doppia rispetto all'insegnante appena arrivato: gli avanzamenti possono avvenire ogni cinque anni e sono attentamente monitorati, comportando la presentazione di tesine, lo svolgimento di lezioni pubbliche e ovviamente il controllo dei risultati ottenuti dagli studenti.
Non dico che tutto sia perfetto, certo il sistema dà meno libertà e si è molto più controllati, ma anche molto più aiutati e valorizzati anzichè lasciati allo sbaraglio."
Vorrei fare un paio di osservazioni:"esercizi numerosi e relativamente semplici", ecco, non sarebbero meglio dei test a crocette e altrettanto facilmente e oggettivamente valutabili? Col vantaggio che dovrebbero riferirsi al programma minimo ministeriale, senza obbligare al "teaching to the test"? Almeno quando uno studente ha dato ampia prova di sapersi destreggiare negli esercizi e ragionamenti di base è comunque possibile cominciare a costruirci su qualcosa di buono, anzichè come spesso accade dover ricominciare tutto da capo.
La valutazione poi dell'insegnante mi pare la migliore (o meno peggio) di quelle che ho sentito finora, personalmente la riterrei accettabilissima.
Mi piacerebbe sentire qualche opinione in merito.
“Sì, ma se l'obiettivo diventa riuscire nel test, meglio allenarsi, no?”.
Altro che allenarsi: se i test Invalsi diventeranno il parametro di valutazione dell'insegnante, e vogliono che lo diventi, è certo che gli insegnanti si piegheranno alla logica dell'addestramento totale. Non si penserebbe ad altro che a un'eccellente riuscita nelle prove. Già si avverte tra i colleghi una frenesia mimetica, competitiva, da addestratori.
Se credessi che la mia immagine di insegnante, nonché il destino del mio miserrimo prossimo futuro stipendio, dipendesse dalla corretta collocazione di quei pallini sulle schede, forse mi scatenerei anch'io in questa corsa alla continua somministrazione di prove alle prove. Ma non ci credo. E continuo a insegnare, vada come vada.
Preferisco fare altro, benché ciò mi stanchi molto più di quanto non graverebbe il maniacale esercizio di quelle viziosissime provine. Devo occuparmi del sublime in Ulisse di fronte a Nausicaa, di Leopardi sotto il cielo stellato infinito, della logica grammaticale, delle crisi di panico di un'alunna, del degrado di facebook a cui cerco di sottrarre i miei alunni, dei bulli nei cessi della scuola, della musica che la collega di musica non fa ascoltare, di accompagnare, non retribuito, la mia classe a Siracusa per Andromaca, e di tutto un mondo di cui le prove Invalsi non tengono alcun conto: quel mondo si chiama insegnamento.
Mi piacerebbe essere valutato sulla base di quella che è la realtà del mio lavoro. Mi sdegna che ciò possa avvenire sulla base di ciò che esperti aziendali ritengono debba essere. La scuola è tante cose, tranne che un'azienda.
Essere finalmente valutato! E' esattamente quello che, nel mio lavoro di insegnante, mi manca: un riconoscimento certificato, pubblico, dei meriti. Uno che si impegna da decenni, alla fine, sente il bisogno di un'identità lavorativa concreta, certificata. Non ci si accontenta più dei “si dice”, né della stima dei propri alunni, né dei casuali ringraziamenti dei genitori, né della sempre implicita, e mai volutamente esplicitata, soddisfazione del dirigente scolastico a cui il tuo impegno porta, come direbbe il cafoncello arricchito, nuova “utenza”. Tutto è così precario, così evanescente, nell'attraversamento della vita scolastica, nel tempo speso nel dialogo della trasmissione, nella trasmissione dei tuoi interessi e nella rappresentazione condivisa del sapere, da sembrare un affare privato, stipulato per convenzione tra te e i tuoi alunni, o al massimo tra te gli alunni e le loro famiglie. Lo Stato non ne sa nulla. Per lo Stato tu sei un impiegato qualunque. E invece invocherei una certificazione statale del mio operato educativo. Qui sono hegeliano: se non mi riconosce lo Stato, sono troppo astratto.
Ma questa valutazione dell'operato può venire soltanto da un processo culturale, come lei, prof. Israel, ha già spiegato nelle sue proposte. A tale scopo servirebbero solo ispettori che siano all'altezza di questo compito, non burocrati, ma intellettuali con cui confrontarsi sulle responsabilità.
Prove Invalsi e processo culturale si escludono reciprocamente, come i termini di un ossimoro.
Junco, tu non sei un insegnante, sei un artista, lasciatelo dì!
La tua descrizione della condizione docente sotto il profilo valutazione altrui è perfetta.
Beh, d'altra parte tutti i bravi insegnanti un poco artisti lo sono...e quindi come puoi essere valutato o peggio, come pretenderebbe Abravanel, misurato?
L'artista deve bastare a se stesso.
Te almeno hai un preside che ti conosce e riconosce, e io che mi cambia quasi tutti gli anni e dubito sappia chi sono?
Quest'anno son mancato parecchio tempo, torno e trovo chi mi fa:"Ah che disastro senza di te...ora si sono accorti di quanto eri importante.." E' quasi un coro. Credono forse di farmi un complimento!
ORA? Ma brutti zucconi, solo ora l'avete capito che ero Insostituibile?
E io che mi credevo lo sapessero tutti...che colpo! :)
Insomma caro Junco, valutiamoci da per noi, magari esagerando pure, e accontentiamoci degli sguardi (che supponiamo di rispetto) degli alunni nei corridoi ma che ce ne facciamo d'un pezzo di carta di certificato?
Che tanto ci scommetto, perfino gli ispettori non saprebbero apprezzarci al nostro giusto valore! :)
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