Il
Ministero dell’Istruzione ha autorizzato tre licei a sperimentare un percorso
abbreviato, e così si è tornato a parlare dell’opportunità di accorciare la
durata di tutti i licei di un anno. Come al solito, l’argomento principe è adeguarsi
a quanto si fa in altri paesi, anche se la motivazione autentica è la spinta
confindustriale a gettare quanto prima i giovani sul mercato del lavoro.
In
generale, da noi ci si è sempre mossi in senso opposto. Avevamo eccellenti
lauree universitarie quadriennali: un buon laureato in fisica o in matematica
aveva l’accesso garantito a un dottorato negli Usa. Si pensò di creare dei
diplomi biennali per funzioni più ristrette della ricerca o dell’insegnamento. Un’ottima
idea che fu accantonata per la sciagurata riforma 3+2 (laurea triennale più
laurea magistrale) col risultato che una laurea triennale non va oltre il
livello di un diploma e la laurea quinquennale fornisce una preparazione inferiore
alla vecchia quadriennale. Per diventare insegnanti occorrevano ben 7 anni, con
le Ssiss (Scuole di specializzazione per l’insegnamento secondario) in cui, pur
di allungare la broda, si arrivava a reclutare un investigatore privato in
pensione che insegnava come classificare i vari tipi di classe scolastica. La
riforma che ha soppresso le Ssis biennali in favore di un solo anno di Tfa
(Tirocinio formativo attivo) è stata combattuta e stravolta.
Quindi
nell’università si è stiracchiato in tutti i modi e ora, invece di guardare all’unica
soluzione ragionevole – tornare per molte lauree al percorso quadriennale – circolano
proposte sconsiderate, come quella di accorciare la specializzazione dei
medici, quando l’unica cosa che non va toccata è la preparazione di chi ha in
mano la salute.
Per
la scuola si è prospettato di anticipare l’ingresso alle primarie all’età di 5
anni, ma sono insorti alcuni pedagogisti appesi alle teorie fasulle di Jean
Piaget secondo cui i bambini prima dei 7 anni non avrebbero i circuiti
cerebrali pronti. Nel ciclo primario domina la “didattica della paura”, secondo
cui meno si fa e meglio è: una visione riflessa nelle Indicazioni nazionali,
recentemente riscritte per peggiorare le già grottesche precedenti. Sta di
fatto che il ciclo settennale primario è una gran perdita di tempo, mentre i
poveri maestri vengono forniti, mediante una buona laurea, di conoscenze di cui
è vietato far uso. Ogni genitore attento alla crescita dei propri figli freme
dal desiderio che escano dalle primarie per iniziare a far qualcosa. Invece di
rafforzare, accorciare o anticipare il percorso primario, le proposte
circolanti sono da brivido: trasformare il primo anno e il terzo anno delle
medie in “anni ponte” con le primarie e le superiori.
Occorrerebbe
piuttosto ragionare nel merito: porsi seriamente il problema di riqualificare
il primo ciclo e, per i cicli successivi, distinguere per settori. La
formazione professionale, la formazione tecnica (da distinguere fra loro) e la
formazione liceale (nei vari indirizzi), vanno considerate partitamente e la
loro durata va pensata in relazione alla loro funzione. È sacrosanto sviluppare
le formazioni tecnica e professionale, anche accorciando percorsi inutilmente
lunghi, ma per i licei (soprattutto per il classico e lo scientifico) occorre
chiedersi se vogliamo mantenere una formazione di livello superiore, altamente
qualificata, nella speranza di sopravvivere nel campo della ricerca scientifica
e umanistica. Se la risposta è affermativa, come si spera, non si dica che la
durata quinquennale di un liceo è eccessiva, con la mole di conoscenze
necessaria (e crescente) per una formazione adeguata. Alcuni dei licei in
sperimentazione si difendono dicendo che loro hanno insegnanti inglesi, iPad,
Lim e videochat: argomenti da palline colorate, come se questi mezzi di per sé migliorassero
l’apprendimento.
Chiediamoci
piuttosto come mai, in paesi in cui è in vigore il liceo di 4 anni, si pensa di
tornare indietro. In Germania – dove è diffuso l’apprezzamento per il sistema
scolastico italiano, malgrado i nostri sforzi per farlo a pezzi – una nuova
legge dà alle scuole la facoltà di aumentare la durata del corso di studi
allungando di un anno la durata delle superiori. Nell’Assia numerose scuole
hanno deciso di prolungare la durata del Gymnasium, con il plauso delle
famiglie, per mettersi alla pari dei licei italiani…
D’altra
parte, occorrerebbe porsi una semplice domanda: come mai l’imponente
emigrazione intellettuale italiana non conosce un’ondata di ritorno e tanti
trovano un impiego? Non sarà perché chi ha studiato in Italia, ancora,
nonostante tutto, gode di una preparazione di livello molto alto? Ce lo
ripetono in tanti dall’estero, ma noi preferiamo farci ipnotizzare da
statistiche discutibili: la lettura di “mentire con le statistiche” di Darrel
Huff dovrebbe essere resa obbligatoria nelle scuole. Perciò, prima di mettere
le mani per l’ennesima volta in modo sconsiderato sul sistema, pensiamoci bene
e, nel frattempo, non tocchiamo i licei, una delle poche cose ancora decorose,
nonostante tutto.
(Il Mattino, 31 ottobre 2013)
31 commenti:
Caro prof. Israel, ancora una volta mi trovo in piena sintonia con Lei; e mi fa molto piacere che un insigne matematico riconosca e sostenga l'importanza degli studi umanistici, né indenda disgiungerli da quelli scientifici. I nostri Licei funzionano bene, nonostante i vari ministri (in primis l'ex Profumo, che ha fatto più danni della grandine) vorrebbero distruggerli. Anche questa sbornia tecnologica di oggi, che vorrebbe imporre nella scuola l'utilizzo di nuovi strumenti come le LIM, i tablets ecc., è stupida e illusoria, perché se un alunno è incapace o svogliato non sarà certo un tablet a farlo diventare uno studente modello. Ma questo la superficialità dei tempi moderni non lo comprende, e fa benissimo Lei a ribadirlo nel suo blog. Anch'io ho parlato del problema sul mio blog, all'url: http://profrossi.wordpress.com e mi ripropongo di farlo ancora.
Quando mi hanno spiegato come funziona il nuovo liceo francese quadriennale sono rimasta orripilata. Invito tutti a vegliare su queste sciagurate riforme. Perché dovremmo studiare di meno? per essere più ignoranti? E allora, già che ci siamo, perché non togliamo dua anni anziché uno?
Sono un docente di liceo e mi ttovo trovo pienamente d'accordo con lei. Quando finirà questa deriva?
Sono 5 anni ormai che ogni "riforma" scolastica (maestro unico nella primaria, nuovi licei, tentativi di allungare l'orario di lavoro a parità di stipendio) e anche universitaria ha un unico scopo: ridurre i costi. Del resto, a che pro spendere soldi per formare laureati che poi vanno a lavorare all'estero?
Inoltre, quello della scuola è un terreno che si presta facilmente. La categoria è poco sindacalizzata, nonostante si pensi il contrario, e lo sciopero dei docenti non produce disagi. Aggiungiamoci che è opinione molto diffusa che i docenti lavorano poco (si confondono le ore di lavoro in classe con le ore di lavoro tout court) e la categoria gode di scarsa stima (causa anche alcuni docenti incompetenti) ed è dunque bersaglio facile.
L'intervista alla ministra sul settimanale gente faceva vomitare: concentrare gli studi per essere più vicini all'Europa, educazione alla cittadinanza e non solo studio delle materie...
Basta!!!! Questa roba è fumo negli occhi mentre ci scippano l'istruzione! Dove vivo io tolgono il sabato scolastico perché la Provincia, ormai morente, non ha pià i soldi per pagare i riscaldamenti delle scuole!
Stiamo copiando, come al solito, il PEGGIO degli altri paesi. Il sistema scolastico italiano E' e RIMANE (per ora) uno dei migliori al mondo! Il vero problema è che la scuola è piena zeppa di insegnanti incapaci. Invece di andare a rimuovere chirurgicamente quest'afflizione, inserendo magari un sistema di assunzione degli insegnanti rigoroso e severo (come l'agrégation francese, quella sì da prendere a esempio), si continuano a fare proposte sciocche volte a smantellare definitivamente uno dei pochi sistemi ancora buoni rimasti nel nostro disgraziato Paese. Meno male c'è ancora qualcuno come il prof. Israel che dice veramente le cose come stanno!
sarà. io però continuo a chiedermi che senso ha mantenere in piedi tre, tra i diversi licei, che sono pressocché uguali differenziandosi per poche ore di discipline specifiche e neanche tanto. Al classico, è vero si continua col greco e col latino che, un tempo si diceva, aiutano ad affinare la logica e a capire l'etimologia della parola: ma esistono scienze come la logic, e l'informatica e la matematica dovrebbero anche aiutare con la logica. Manca invece, in tutti i corsi e in tutti i gradi, una cosa che oggi secondo me è fondamentale: tutte quelle scienze psicologiche e sociali ma anche antropologiche che aiutino a districarsi nei meandri delle dinamiche dei rapporti umani e che aiutino il ragazzo a conoscere se stesso. Lo stesso approccio urbanistico alla scuola andrebbe mutato. Insomma non si può pensare ad una scuola che sia rimasta sempre uguale a se stessa, capace tutt'al più di indottrinamento ( e oggi neanche tanto). Le varie "riforme" somigliano a delle pezzeacolori, ma non si possono chiamare vere riforme, lasciando in fondo lo stato delle cose uguale a sé stesso e cambiando soltanto il numero delle ore di questa o quella materia. Io ho frequentato il liceo classico, ma avevo una professoressa di matematica che veniva dallo scientifico: indovini con quale risultato? Ma il mio vero approccio alla matematica è avvenuto solo all'università quando ho trovato la persona "giusta" con l'approccio "giusto". Credo ci voglia più coraggio, quando si parla di scuola, prevedere attività anche nel pomeriggio (questi ragazzi il pomeriggio lo sprecano)e una vera differenziazione nei corsi, accorpando quelli che sono simili ma potendo prevedere materie facoltative per l'approfondimento. La scuola dovrebbe essere un percorso valido oltre che per l'apprendimento anche per la scoperta di sé stessi.
Non so cosa intenda mac67 per categoria poco sindacalizzata, io effettivamente rientro fra coloro che pensano il contrario, opinione che mi sono formata a mano a mano che passavano gli anni nella scuola primaria di mia figlia.
- L’immissione in ruolo degli insegnanti attiva varie opportunità contrattuali per cambiare posto per i propri interessi personali, sicuramente legittimi, ma evidentemente anche molto tutelati.
- Un’ottima insegnante di ruolo, impegnata con un dottorato, ha preso servizio solo all’inizio del secondo quadrimestre; anche in questo caso la tutela dei diritti dell’insegnante è stata garantita, nonostante i bambini nel frattempo, in prima elementare, passassero da una supplenza di italiano all’altra.
- Un maestro capitato in terza, matematica, incompetente, non ha potuto essere allontanato in nessun modo perché anche in questo caso le tutele funzionano benissimo.
Lungi da me l’intenzione di generalizzare, riporto solo quanto capita nella nostra scuola. Dopo 3 anni, durante i quali ho sempre cercato giustificazioni e motivi per guardare con ottimismo all’anno dopo, ho concluso che la categoria con meno tutele sindacali di tutti è quella dei bambini, a cui sempre più spesso capitano insegnati che vivono la loro esperienza scolastica come una tappa, un passaggio, un trampolino di lancio, la cui collaborazione con i colleghi si riduce al minimo necessario ed il cui interesse per il bene degli allievi è di brevissimo termine.
Materie sociopsicologiche? Si insegnano al sociopsicopedagogico, un liceo dal quale provengono -sia detto senza offesa- i miei studenti universitari più scadenti.
Aggiungo che i ragazzi socializzano benissimo da soli e che i soldi delle nostre tasse devono servire a istruirli. La cultura è un formidabile mezzo di autoconoscenza e un argine alla devianza sociale, ma le moderne democrazie propongono l'uomo anestetizzato piuttosto che l'uomo istruito.
Per Raffaella: prendo atto che in un solo rigo riesce a contraddirsi (non capisce che cosa intendo per sindacalizzazione, però le risulta il contrario).
Veniamo alla sostanza: intanto, i bambini non sono ovviamente sindacalizzati, in quanto non sono lavoratori.
In questi anni i docenti hanno scioperato pochissimo, eppure hanno un contratto scaduto da anni, lo stipendio e la progressione di carriera bloccati. Un mio collega, la cui moglie è pure docente, ha calcolato che i 3 anni di blocco della carriera li hanno danneggiati per 20000 euro (sì, 20 mila) previsti da un contratto firmato e controfirmato ma modificato unilateralmente. Consideri che molte persone fanno un mutuo pensando che nel giro di qualche anno il loro stipendio aumenterà sulla base di accordi esistenti e si ritrova in seguito a fronteggiare enormi difficoltà perché lo Stato è venuto meno agli accordi. Per molto meno (ICI, per esempio) abbiamo subito e subiamo dibattiti estenuanti.
Nel corso degli anni ai docenti sono stati assegnati altri compiti senza che venissero tradotti in compensi, e gli eventuali compensi sono stati diminuiti. Prove Invalsi, Esami di Stato, tanto per dire. In altre categorie, più sindacalizzate, provvedimenti simili portano alla protesta e allo sciopero. I sindacati della scuola invece brillano per assenza e accondiscendenza con il governo e molti docenti si limitano alle lamentele.
"come mai l’imponente emigrazione intellettuale italiana non conosce un’ondata di ritorno e tanti trovano un impiego?" Me lo sono spesso chiesto anch'io e mi sembrava di poter concludere che il problema del merito in Italia non è un problema prima di tutto della scuola, ma del mondo del lavoro. Nel senso che i giovani che emergono dal sistema formativo con qualità apprezzabili non trovano chi riconosca queste loro qualità una volta che sono fuori dal sistema stesso. E il fatto che tali qualità siano reali è dimostrato dalla facilità con cui trovano posti di prestigio fuori dell'Italia. Basterebbe ascoltare la trasmissione di Radio24 "Giovani talenti" per farsene un'idea.
Tuttavia in un recente editoriale il prof. Ichino ha affermato che un simile ragionamento non è che aneddotica, con la quale non si dimostra nulla; mentre la reale conoscenza si fa solo con la statistica e i dati Ocse-Pisa non lasciano dubbi sulla necessità di cominciare con il cambiare la scuola. Non so se il suo articolo, prof. Israel, contiene una polemica implicita proprio con quello di Ichino, comunque lo trovo davvero centrato in proposito.
erto che è in polemica con le posizioni di Ichino. Per queste persone le considerazioni di merito non contano niente, contano solo le statistiche, e il problema di verificare quali sono le basi di queste statistiche non esiste... Uno spirito davvero scientifico... Guardi il dibattito che c'è stato oggi su Roars. Al mio lungo articolo sull'insegnamento della matematica in Finlandia, basato sulle analisi di merito dei matematici finlandesi, si risponde: non me importa un fico secco, le statistiche (basate su test) mi dicono che gli apprendimenti finlandesi sono migliori, il resto sono chiacchiere. In verità, le chiacchiere sono le loro. Sono proprio un esempio della crisi della ricerca scientifica di cui ho parlato anche qui. The science gone wrong denunciata da Economist.
Gent.le Mac67,
Lei ed io consideriamo una realtà come “poco sindacalizzata” sulla base di criteri evidentemente diversi. Non vedo che contraddizione ci sia nell’affermare la mia opinione sollecitando contemporaneamente un chiarimento sul significato che la terminologia assume per lei. Comunque grazie per la risposta.
Nel settore privato, quando si parla di un’azienda “poco sindacalizzata,” ci si riferisce generalmente a quelle realtà dove i lavoratori hanno scarsa consapevolezza dei propri diritti e/o non possono farli valere per non rischiare il posto di lavoro; ci si riferisce a quelle realtà dove il blocco degli stipendi per anni è spesso l’ultimo dei problemi (straordinari e lavoro di sabato non pagati, inviti velati o palesi a rimandare/evitare gravidanze, abuso di sanzioni disciplinari e pecuniarie, trasferimenti e cambi di mansione improvvisi, permessi negati ecc.). Queste, secondo la mia prospettiva, sono le categorie “poco sindacalizzate”, mentre ritengo che alcune tutele di cui gode la categoria insegnanti siano persino dannose per gli insegnati stessi; mi riferisco in particolare all’impossibilità di allontanare coloro che sono palesemente incapaci e inadatti a svolgere questo ruolo; si provi a togliere loro la cattedra e si noti con quanta solidarietà e complicità verranno protetti; qualche volta i genitori prendono coraggio e si rivolgono ai consigli di classe, lamentandosi delle ore di lezione in cui si fa poco o nulla, del tempo speso al cellulare o sull’ipad, dei voti eccellenti a fronte di verifiche mediocri ecc., ma non c’è modo alcuno per difendersi da coloro che si ritengono titolari di una rendita, anzichè di un posto di lavoro.
C'è anche un grosso problema politico: il governo ha tagliato moltissime cattedre e tende storicamente a stabilizzare precari che non hanno mai fatto concorsi. Così i laureati giovani sono DAVVERO tagliati fuori dall'accesso ai ruoli dell'insegnamento.
Vorrei dire a Raffaella che comprendo e condivido il malumore e la frustrazione per le esperienze vissute nella scuola dalla sua bambina, ma le tutele sindacali di cui parla non sono prerogativa esclusiva degli insegnanti, in quanto appartengono a tutto il pubblico impiego e credo che, pur essendo difficile farsele riconoscere concretamente, siano presenti anche nei contratti di lavoro del settore privato.
Vorrei poi dire qualche parola sull'incompetenza degli insegnanti, chiamata in causa in vari interventi: mi sembra che il mondo sia pieno di esseri umani incompetenti, equamente distribuiti in tutte le categorie professionali e che non sia corretto dal punto di vista del metodo addurre la loro presenza fra gli insegnanti quale causa di scarsa efficacia del sistema scolastico. E l'incompetenza dei dirigenti allora dove la lasciamo? E quella dei funzionari degli uffici regionali e ministeriali e del ministro stesso?
Perché non si dice da nessuna parte che il sistema sanitario nazionale non funziona bene perché molti medici sono poco preparati?
Un sistema ben organizzato dovrebbe essere in grado di ridurre al minimo il danno che un singolo incompetente più fare e bisogna sempre ricordare che la perfezione non è di questo mondo. Simili generalizzazioni sono inutili oltre che ingiuste.
Peraltro in realtà succede il contrario: un sistema scolastico per molti versi farraginoso produce, grazie al lavoro di tanti modesti ma non del tutto incompetenti insegnanti, risultati nient'affatto disprezzabili. Sono le persone, cioè, che correggono le incongruenze del sistema.
Quanto alle tutele sindacali, un dipendente pubblico almeno può contare sulla garanzia del posto di lavoro, cosa che nel privato non esiste. E’ giusto proteggere chi nella società svolge ruoli particolarmente importanti e delicati, come gli insegnanti appunto, c’è solo da chiedersi se talvolta non vi siano degli eccessi, a discapito degli interessi dei bambini. Non posso non notare a questo proposito le differenze con gli insegnanti dell’attuale scuola paritaria frequentata dalla bimba, che saranno anche giovani e meno esperti, ma in quanto ad entusiasmo, motivazione ed impegno superano di gran lunga molti colleghi della statale che ho conosciuto, compresi gli insegnanti più bravi ed esperti. Mi scuso se i miei interventi possono urtare la sensibilità di qualcuno, so bene che che le responsabilità vanno cercate a monte, ma si provi ad immaginare una mamma, che per lavoro sta fuori casa tutto il giorno, rientrare alle sette di sera e - tanto per fare un esempio, spiegare pressoché integralmente, oltre che “clandestinamente”, la lezione di scienze non spiegata a scuola.
Questo ora non succede più. Il numero dei bambini per classe e le ore settimanali sono gli stessi della scuola statale, ma ogni argomento è approfondito decisamente meglio, messo in relazione con le altre discipline, coadiuvato da qualche piccolo esperimento, schematizzato e supportato da esercizi per casa dove io intervengo solo per accertarmi che siano svolti con accuratezza.
Purtroppo dobbiamo pagare una retta, che tuttavia considero il miglior investimento che la nostra famiglia abbia mai fatto.
Io non riesco a digerire che alle elementari un laurato in lingue non possa insegnare lingua a meno che non abbia il diploma magistrale. Al contrario, maestre decisamente incompetenti insegnano l''inglese, che non conoscono, grazie a miracolosi corsi di ottanta ore. Così si protegge una lobby e si promuove l'incompetenza.
Gentile professore,
ha perfettamente ragione e quando qualcuno fa notare la follia dei 4 anni la risposta è: ma con la didattica per competenze ce la si può fare... a parte che come sempre in Italia c'è la parolina che salva capre e cavoli, ora è "competenza", ma comunque, in tutte le definizioni di competenza che si possono dare, rimane fissa una cosa: la capacità di applicare delle conoscenze in contesti situati. Bene com'è possibile che per imparare ad applicare una conoscenza, ci si metta meno che per acquisirla?
Non è possibile, infatti. E' che devono mascherare i tagli e usano le paroline magiche per intortare i malcapitati (noi).
In relazione all’incompetenza “per categoria”, il livello medio degli insegnanti risente storicamente (come minimo da svariati decenni) di un reclutamento basato unicamente su parametri quantitativi di ispirazione burocratica e normativa, ed assai poco sulla valutazione di merito, per quanto anche questa possa valere. Così si è assistito a decine di migliaia, e forse più, di insegnanti immessi per anzianità di servizio, per sanatorie di precari, per ammortizzare situazioni familiari disagiate, e negli ultimi anni per aver frequentato ridicoli corsi che in base a misteriose convenzioni conferivano punteggio utile per le graduatorie, evitando anche i non insuperabili percorsi istituzionali. Non so di preciso quando questo fenomeno sia diventato rilevante: nella mia esperienza, nel corso delle scuole medie ho avuto a che fare con professori e presidi di buon livello, durante il liceo classico (seconda metà anni 70) ho cominciato a veder arrivare docenti e dirigenti inadeguati, al di sotto del livello delle figure che andavano a sostituire. È purtroppo vero che queste valutazioni quantitative ed assistenziali si siano già estese ad altre categorie professionali, con le conseguenze già discusse.
Esatto: è quello che è successo anche all'università. Andati via i grandi vecchi, non sempre corretti ma molto competenti, sono arrivati in massa assistenti autopromossisi grazie a Berlinguer: scorretti e incompetenti. Ora c'è il blocco del turn-over e ci teniamo questi. Poi, non si sa ... è un mistero ...
Sì, gli insegnanti (solo quelli della statale, certo) sono incompetenti, l'università (statale) è in mano ad assistenti, incompetenti anch'essi, non esistono più le mezze stagioni e il nuoto è l'unico sport completo.
Però, battute a parte, mi interesserebbe sapere qualcosa di più delineato sugli «assistenti autopromossisi grazie a Berlinguer». Continuando nella mia esperienza personale, stavo frequentando a Pisa il primo anno ai tempi del DPR 382/1980, ed anche nella confusione di matricola ho potuto percepire il trambusto ed i meccanismi che portarono all'immissione in ruolo di massa (visto che riguardava anche i perfezionandi della SNS e della SSSUP, si risentì in modo particolare) ed i conseguenti adattamenti dell’offerta didattica. Mi rimangono invece più oscuri i meccanismi che avrebbero consentito questa autopromozione collettiva più recente: conservo qualche ricordo sull’introduzione di un giudizio di idoneità in concomitanza ai concorsi, che tuttavia veniva comunque stilato da docenti ordinari ed associati.
E' successo così: con l'autonomia berlingueriana si sono creati fantasiosamente nuovi curricola, spesso vuoti di contenuto (tipo Scienze della Comunicazione o Inglese per operatore d'impresa). Gli atenei hanno bandito a raffica concorsi per le idoneità di associato e ordinario promuovendo sempre almeno un interno e poi chiamandolo. Intanto l'età media è salita (docenti anzianotti) finché nel 2017-2018 ci sarà il grande svuotamento. In tutto questo, disastrosamente, la Gelmini ha abolito i ricercatori a tempo indeterminato, sicché la gente giovane e brava scappa perché ha la prospettiva di essere buttata in mezzo alla strada dopo sei anni. Se volete continuo ...
Avete ragione, le generalizzazioni sono inutili ed ingiuste; a onor del vero, conosco tante famiglie che si ritengono soddisfatte della scuola (statale) in cui vanno i propri figli; in ogni caso avevo premesso che mi riferivo alla mia, di esperienza. Se, nonostante tutto, si ritiene che la statale italiana produca ancora risultati nient’affatto disprezzabili, mi fa piacere; forse noi siamo stati solo particolarmente sfortunati, oppure siamo solo eccessivamente esigenti. Sicuramente non ho detto che i docenti della statale sono incompetenti, bensì che quelli incompetenti nella statale sono eccessivamente tutelati.
Si, mi interesserebbe se continuasse. Anche se i corsi menzionati rimangono lontani dalle mie esperienze (a torto o a ragione concordo con li definisce corsi Natuzzi), la loro creazione e la nomina di professori in corsi nuovi e vecchi passa sempre per gli organi di governo degli atenei, ossia per i «grandi vecchi», a cui l'autonomia ha probabilmente concesso di consolidare l'impostazione già feudale della gestione accademica. Poi è innegabile l'aumento della percentuale di incompetenti in ambito universitario, faccio solo fatica a vederla come conseguenza di un'autopromozione (o forse ho compreso male il termine), che rimaneva al di fuori del potere degli assistenti.
In linea generale, chi fa carriera è un bravo politico, ma non è detto che sia il miglior docente della sua materia. Nell'Università i politici hanno occupato molti posti e prendono decisioni adagiandosi totalmente alle volontà ministeriali. Ora il diktat è "numerosità": significa che non mi importa del livello dello studente e delle materie, ma devo raccattare quanti più soldi delle tasse siano possibili. Detto questo, promuovo insegnamenti di massa, affosso tutti gli altri. Affosso inoltre i colleghi che difendono un'idea di rigore e serietà, tirando a mezzo commi e insuperabili direttive ministeriali e relegando le loro materie in un canto (mobbing). Siccome ho pochi soldi, cerco di tirare avanti con sempre meno forze e creo corsi con 150/200 studenti. Didattica scarsissima, ordine di farli passare all'esame a qualunque costo ...
Tutto questo coincide con quanto ho in vari modi potuto sperimentare, e l'uso strumentale e pretestuoso di direttive ministeriali ha una lunga storia. L'unica cosa che ancora mi sfugge è l'autopromozione. Per promuovere qualcuno ad associato od ordinario si ha bisogno come minimo della compiacenza della commissione, degli organi che la nominano, e dei politici che influenzano gli uni e gli altri, ed andando oltre, del legislatore che mi assicuri leggi di favore.
Quindi, più che assistenti autopromossisi mi sembra la perpetuazione di un sistema di potere che nella contingenza attuale si manifesta anche con il degrado culturale e l'aumento di incompetenza. Devo essere sincero: anche se in altro contesto, se capissi come ci si autopromuove, lo farei io stesso.
Non si boccia: si fanno favori. Io faccio idoneo il tuo pupillo, tu poi mi ricambierai la cortesia. Così funzionava. Ora è tutto bloccato. Dalla padella nella brace: i giovani vengono reclutati solo come precari.
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