Il
presidente del Consiglio dovrebbe guardarsi non solo dalle ostruzioni della
burocrazia ma anche dalla irrefrenabile pulsione ideologica – che nel nostro
paese ha forti radici, particolarmente a sinistra – a voler lasciare un segno
di sé rifacendo il mondo. È facile capire come tale pulsione trovi particolare alimento
nei temi della cultura e dell’istruzione.
Uno
dei primi annunci di Matteo Renzi è stato un imponente piano di edilizia scolastica
che, a quanto sembra, dovrebbe finalmente partire, mettendo in gioco più di un
miliardo di risorse e puntando a risolvere vergognose situazioni di sfacelo ben
note a insegnanti, dirigenti scolastici e famiglie. Un omaggio alla concretezza
e al buon senso, tagliando corto alla tragicommedia dei propositi di riforme
universali di un sistema in puro e semplice disfacimento fisico. Ma la
diffidenza è d’obbligo pensando alle ristrutturazioni edilizie del passato:
quattrini mai spesi, lavori iniziati e interrotti per richieste di aumenti e l’obsolescenza
delle opere iniziate, ecc. La scommessa è tutta qui: se l’imponente somma non sarà
spesa producendo risultati tangibili entro tempi strettissimi, non solo
l’effetto sulla ripresa economica sarà annullato, ma sarà l’ennesima amara
constatazione che in questo paese si preferisce chiacchierare e intessere
progetti piuttosto che “fare”. È una sfida da far tremare i polsi e che, per
essere vinta richiede un impiego di energie da non lasciare spazio ad altro.
Ma
è doloroso costatare che c’è chi non si accontenta di questa “bassa cucina” e
non rinuncia ai sogni lungamente covati di palingenesi globale dell’istruzione
italiana. Così, è emerso un progetto strampalato, che prevede la trasformazione
delle scuole in “centri civici” aperti fino a sera, la cui funzione non sarebbe
più ristretta all’istruzione (tagliare sull’insegnamento tradizionale è lo
sport prediletto dei “riformatori”) ma estesa ad attività “culturali” e
“associative”, e all’esercizio di una funzione di assistenza globale sul
territorio. Insomma, una sorta di oratori laici, dove parcheggiare i figli
tutto il giorno, tra attività teatrali e sportive, e dove assistere il nonno
nella dichiarazione dei redditi. In tal modo, si realizzerebbe l’agognata trasformazione
dell’insegnante in “facilitatore”, previa la definizione dei suoi orari,
generalizzando l’idea già in atto in ambito universitario secondo cui si può
quantificare l’impiego di tempo di un insegnante per preparare le lezioni,
correggere i compiti o aggiornarsi, trasformando in stolida burocrazia quel che
dovrebbe essere materia di un’intelligente valutazione. Non sembra neanche il
caso di contestare nel merito un progetto tanto insensato. Per restare alla
concretezza, ci si chiede con quali risorse le scuole – dove già si fanno
consigli di classe a termosifoni spenti – potrebbero pagare il personale
per restare aperte fino a sera, o semplicemente la bolletta per
l’illuminazione. Ma, è noto, l’ideologia vola ben alto sopra i gabinetti rotti
e la carta igienica mancante. Le proteste hanno fatto rientrare il progetto in
una fase di ripensamento, ma in una forma ambigua, dello stile «aspettiamo che
si posi il polverone e poi torneremo alla carica».
Ora
si apprende che un altro poderoso progetto epocale sta prendendo forma. Riguarderebbe
nientemeno che la riforma globale dei cicli scolastici. È evidente che si sta
consolidando l’idea di ridurre i licei a 4 anni, con la tecnica efferata di
evitare le discussioni di merito e creando il fatto compiuto con le
“sperimentazioni”. Ma qui si va oltre, riesumando un progetto di ben 15 anni
fa, la riforma dei cicli dell’ex-ministro Berlinguer, che prevedeva un ciclo
primario settennale e un altro superiore quinquennale. Sembra che non sia stata
assimilata la lezione di quali disastri abbiano compiuto anni di riforme
contraddittorie e sgangherate e di esperimenti avventati “in corpore vili” e
che non ci si acconci ad affrontare una fase di calma riflessione, limitandosi
a rimettere in funzione il funzionamento ordinato del sistema. Invece, questi
progetti sembrano alimentati da un vero e proprio odio ideologico della
cultura, dell’insegnamento tradizionale, dei percorsi di apprendimento che non
siano immediatamente finalizzati al lavoro e che non siano brevi, che culmina
nel desiderio compulsivo di distruggere i licei. È davvero triste sentire
responsabili politici e ministeriali che invitano a studiare il minor tempo
possibile e andare a lavorare quanto prima, stimolando il controcanto di
imprese che stampano manifesti in cui da un lato si vede un giovane felice che
è caporeparto dopo aver studiato solo tre anni dopo le medie, e dall’altro un
precario “sfigato” che vive di stenti dopo aver studiato altri nove anni dopo
le medie. Perché alimentare una disgraziata guerra di miserie? L’abbiamo già
ricordato invano su queste pagine: l’Italia aveva uno dei migliori sistemi
d’istruzione tecnica e professionale del mondo che ha fatto a pezzi. È un
obbligo assoluto riqualificarlo ed è ovvio che non è necessario che tutti
facciano il liceo e l’università. Ma non si vede perché l’avviamento precoce al
lavoro di una fascia di giovani sia in contraddizione col fatto che un’altra
fascia studi più a lungo, anche molto a lungo. Come pensare che un paese
avanzato possa fare a meno di personale di altissima qualificazione? Ci si
rende conto che la tecnologia contemporanea richiede più tempo di studio, più
approfondimento? E perché mai non dovrebbe sussistere uno spazio per l’alta
formazione culturale di tipo umanistico, senza la quale anche la conoscenza
scientifica perde una delle sue principali fonti di alimento?
Sono
questioni su cui fermarsi e su cui non fare passi avventati dagli effetti
irrimediabili, solo per vedere realizzati vecchi progetti riverniciati da
demagogie malamente giustificate dalle esigenze del presente. Per garantirsi
quel successo in cui tanta parte dell’elettorato ha investito, il presidente
Renzi non dovrebbe solo combattere contro la burocrazia che rischia di
annullare il suo programma di edilizia scolastica, ma guardarsi dalle pulsioni
ideologiche che cercano di realizzarsi nelle finestre della sua attività di
governo.
Il Mattino, 21 luglio 2014
6 commenti:
Assolutamente d'accordo. Mi chiedo: fino a che punto questa irrefrenabile corsa all'appiattimento si ricollega al bisogno di superare la fatidica distinzione tra dott. e non-dott.?
E se, come per esempio in Francia, anche da noi il dott. fosse d'ora innanzi solo il medico?
Lei è una delle poche persone che in questo paese conduce battaglie di civiltà.
Mi associo all'elogio. Finalmente qualcuno che scrive la verità e ha occasione di pubblicare sui giornali. L'orchestrazione mediatica del consenso e il cloroformio delle menti dilagano ovunque, ma siamo in molti a non poterne più.
forse vogliono ragazzi culturalmente impreparati, per avere generazioni future poco pensanti...da manipolare a loro piacimento..
17 minutes ago · Mi piace
Non vede come pompano le trasmissioni di cucina? Dobbiamo fare tutti i cuochi, altro che Fermi e Untersteiner ...
Grazie mille al professor Israel. Segnalo che sono in corso discussioni interessanti sul medesimo argomento anche sul blog "le parole e le cose".
“Chi dovrebbe essere pagato di più, a scuola” [http://www.leparoleelecose.it/?p=15706#comment-257186]
“La scuola non serve a niente” [http://www.leparoleelecose.it/?p=15671] e
“Cinque cose da fare per la scuola” [http://www.leparoleelecose.it/?p=15578]
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