Concordo su tutto tranne sulla critica al fatto che i docenti mentor rischiano di diventare una casta di docenti privilegiati che insegnano a insegnare e non insegnano più, o comunque molto meno, viste le loro funzioni “superiori”. Dato che ormai le porte dell'università sono sbarrate (da quando hanno soppresso i ricercatori a tempo indeterminato e non assumono associati e ordinari che non siano già ricercatori e associati), non vedo molte altre strade per valorizzare quei docenti che vogliono continuare a fare attività di ricerca pur rimanendo dentro la scuola. Lei mi dirà: però questi mentor non faranno attività di ricerca, ma si profonderanno in vacui pedagogismi didattici illudendosi di insegnare a insegnare. Ecco, è probabile purtroppo che sarà così, ma il principio di alleggerire il carico di docenza per consentire invece a una quota di docenti di dedicarsi anche alla ricerca didattica dovrebbe essere introdotto. Del resto, ogni tentativo di valorizzare l'attività di ricerca dei docenti si scontra con pregiudizi e preclusioni varie. Si pensi ad es. ai tutor coordinatori del TFA: rispetto ai supervisori SSIS qui c'è da registrare una specie di "regresso". Ricordo che ai tempi della SSIS i supervisori non dovevano neppure essere distaccati anno per anno, ma, com'era naturale e come dovrebbe essere in un paese "normale", il loro mandato (quadriennale e prorogabile) cominciava a settembre di un anno accademico e proseguiva senza soluzione di continuità negli anni successivi. Invece adesso i tutor coordinatori vengono nominati ad anno scolastico già inoltrato, in una data imprecisata dipendente dai capricci e dalle inefficienze delle burocrazie dei vari ministeri, sicché devono lasciare alcune classi a supplenti nominati dal dirigente con effetti spesso disastrosi sulla didattica. Ho pure la netta impressione che anche i sindacati abbiano in qualche modo fatto resistenza verso una maggiore continuità nella funzione di tutor, perché sono ostili verso quella che, a tutt'oggi, è stata l'unica autentica forma di carriera del personale docente della scuola italiana: per loro i supervisori SSIS o del corso di laurea di scienze della formazione primaria venivano a costituire una sorta di "casta" da boicottare perché rompevano il principio della piattezza e dell'uniformità del trattamento dei docenti e dell'unico avanzamento per anzianità di servizio, oltre a realizzare in concreto quel raccordo scuola-università a cui pure sono ostili.
Ecco, l'esempio che lei ha fatto coglie il punto. Il mandato quadriennale e prorogato di fatto a tempo indefinito (questo sì malcostume tipicamente italico!) aveva prodotto una casta di personaggi che non erano più né carne né pesce. Né universitari, perché non avevano fatto alcun concorso per entrare in un ruolo universitario, e perché non erano tenuti ad alcuna produzione scientifica, ma tendenti a porsi sullo stesso piano dei professori universitari, in certi casi con un'arroganza degna di miglior causa. Né insegnanti, perché non insegnavano più né avevano la minima voglia di tornare a farlo (mentre in un paese normale la ciclicità delle esperienze dovrebbe essere assicurata) e difatti levarono alti lai quando i TFA imposero una rotazione più stretta. La quale doveva realizzare l'effetto virtuoso di creare un rapporto autentico tra scuola e università – che poi vi siano ritardi burocratici nelle assegnazioni è un'altra faccenda, grave ma non ha niente a che far col problema di sostanza. I supervisori SSIS non hanno mai realizzato alcun rapporto serio tra scuola e università, al contrario l'hanno "otturato", ponendosi come casta inamovibile. Fino allo scandalo di presentarsi in “carta da visita" come supervisori SSIS, che sarebbe come se io, per aver fatto una volta il presidente di seggio elettorale, mi presentassi come "presidente di seggio". O, per restare a temi più specifici, è come se, avendo presieduto delle commissioni di laurea, mi presentassi come "presidente di commissioni di laurea", Supervisore SSIS non è mai stato un "ruolo", tantomeno un gradino di carriera nella scuola o nell'università. È un tipico esempio del malcostume italico di trasformare un incarico provvisorio, una normale attività, in un ruolo, in un diritto a vita.
Aggiungo che quel che dovrebbe passare nella mentalità di questo paese è che le esperienze culturali (didattiche, scientifiche, ecc.) non necessariamente debbono dare luogo a una posizione di carriera. Questa sì che è una visione di sindacalismo deteriore.
Le esperienze culturali non necessariamente debbono dare luogo a posizioni di carriera: su questo sono pienamente d'accordo. Lo sono meno sul fatto che non debba esistere alcuna posizione di carriera né alcuna carriera, come accade nella realtà attuale. Con il che non voglio dire che mi fidi delle intenzioni ministeriali in proposito. Peraltro, condivido anch'io gran parte delle tesi sostenute nell'intervista.
Quando incontro la ricorrente espressione "insegnare ad insegnare" non posso fare a meno di sorridere. Dove sono stati gli aspiranti insegnanti prima di trovarsi dietro una cattedra? Sui campi di calcio? Nelle officine? Ebbene no: hanno passato una ventina d'anni sui banchi di scuola, ad ascoltare e interagire con decine d'insegnanti di diversa abilità. Se ancora non hanno imparato almeno i rudimenti di COME si insegna dopo questo po po' di addestramento, dubito che qualche ora insieme a qualche dubbio "esperto" possa servire a granchè. Frequentai un corso abilitante di ben 9 mesi e so di che parlo. Per il mio lavoro in laboratorio poi ho visto all'opera molte decine, un centinaio forse di insegnanti, dal bravissimo all'incapace: l'età e quindi l'esperienza c'entravano poco nelle enormi differenze, chi era bravo lo era da subito e sennò ciccia. E' un mestiere unico e strano.. qualcuno mi pare abbia parlato di "attori di stato" e forse ci va vicino. Per imparare a insegnare..ricordo dopo tanti anni, ne faccio il nome con reverenza, un certo prof. Baffigo: entrò nella nostra classe per una supplenza di fisica, nessuno di noi ne capiva niente a parte il solito fenomeno che non fa testo. Parlò per una mezz'ora andando lentamente avanti e indietro, nel silenzio generale..e finalmente capii. E con me gli altri. Passato lui, di nuovo il buio. Ecco, forse se in classe ci fossero stati aspiranti insegnanti da un maestro così qualcosa avrebbero ricavato, ma dubito.
6 commenti:
Concordo su tutto tranne sulla critica al fatto che i docenti mentor rischiano di diventare una casta di docenti privilegiati che insegnano a insegnare e non insegnano più, o comunque molto meno, viste le loro funzioni “superiori”. Dato che ormai le porte dell'università sono sbarrate (da quando hanno soppresso i ricercatori a tempo indeterminato e non assumono associati e ordinari che non siano già ricercatori e associati), non vedo molte altre strade per valorizzare quei docenti che vogliono continuare a fare attività di ricerca pur rimanendo dentro la scuola. Lei mi dirà: però questi mentor non faranno attività di ricerca, ma si profonderanno in vacui pedagogismi didattici illudendosi di insegnare a insegnare. Ecco, è probabile purtroppo che sarà così, ma il principio di alleggerire il carico di docenza per consentire invece a una quota di docenti di dedicarsi anche alla ricerca didattica dovrebbe essere introdotto.
Del resto, ogni tentativo di valorizzare l'attività di ricerca dei docenti si scontra con pregiudizi e preclusioni varie. Si pensi ad es. ai tutor coordinatori del TFA: rispetto ai supervisori SSIS qui c'è da registrare una specie di "regresso". Ricordo che ai tempi della SSIS i supervisori non dovevano neppure essere distaccati anno per anno, ma, com'era naturale e come dovrebbe essere in un paese "normale", il loro mandato (quadriennale e prorogabile) cominciava a settembre di un anno accademico e proseguiva senza soluzione di continuità negli anni successivi. Invece adesso i tutor coordinatori vengono nominati ad anno scolastico già inoltrato, in una data imprecisata dipendente dai capricci e dalle inefficienze delle burocrazie dei vari ministeri, sicché devono lasciare alcune classi a supplenti nominati dal dirigente con effetti spesso disastrosi sulla didattica.
Ho pure la netta impressione che anche i sindacati abbiano in qualche modo fatto resistenza verso una maggiore continuità nella funzione di tutor, perché sono ostili verso quella che, a tutt'oggi, è stata l'unica autentica forma di carriera del personale docente della scuola italiana: per loro i supervisori SSIS o del corso di laurea di scienze della formazione primaria venivano a costituire una sorta di "casta" da boicottare perché rompevano il principio della piattezza e dell'uniformità del trattamento dei docenti e dell'unico avanzamento per anzianità di servizio, oltre a realizzare in concreto quel raccordo scuola-università a cui pure sono ostili.
Ecco, l'esempio che lei ha fatto coglie il punto. Il mandato quadriennale e prorogato di fatto a tempo indefinito (questo sì malcostume tipicamente italico!) aveva prodotto una casta di personaggi che non erano più né carne né pesce. Né universitari, perché non avevano fatto alcun concorso per entrare in un ruolo universitario, e perché non erano tenuti ad alcuna produzione scientifica, ma tendenti a porsi sullo stesso piano dei professori universitari, in certi casi con un'arroganza degna di miglior causa. Né insegnanti, perché non insegnavano più né avevano la minima voglia di tornare a farlo (mentre in un paese normale la ciclicità delle esperienze dovrebbe essere assicurata) e difatti levarono alti lai quando i TFA imposero una rotazione più stretta. La quale doveva realizzare l'effetto virtuoso di creare un rapporto autentico tra scuola e università – che poi vi siano ritardi burocratici nelle assegnazioni è un'altra faccenda, grave ma non ha niente a che far col problema di sostanza. I supervisori SSIS non hanno mai realizzato alcun rapporto serio tra scuola e università, al contrario l'hanno "otturato", ponendosi come casta inamovibile. Fino allo scandalo di presentarsi in “carta da visita" come supervisori SSIS, che sarebbe come se io, per aver fatto una volta il presidente di seggio elettorale, mi presentassi come "presidente di seggio". O, per restare a temi più specifici, è come se, avendo presieduto delle commissioni di laurea, mi presentassi come "presidente di commissioni di laurea", Supervisore SSIS non è mai stato un "ruolo", tantomeno un gradino di carriera nella scuola o nell'università. È un tipico esempio del malcostume italico di trasformare un incarico provvisorio, una normale attività, in un ruolo, in un diritto a vita.
Aggiungo che quel che dovrebbe passare nella mentalità di questo paese è che le esperienze culturali (didattiche, scientifiche, ecc.) non necessariamente debbono dare luogo a una posizione di carriera. Questa sì che è una visione di sindacalismo deteriore.
Le esperienze culturali non necessariamente debbono dare luogo a posizioni di carriera: su questo sono pienamente d'accordo.
Lo sono meno sul fatto che non debba esistere alcuna posizione di carriera né alcuna carriera, come accade nella realtà attuale.
Con il che non voglio dire che mi fidi delle intenzioni ministeriali in proposito.
Peraltro, condivido anch'io gran parte delle tesi sostenute nell'intervista.
Quando incontro la ricorrente espressione "insegnare ad insegnare" non posso fare a meno di sorridere.
Dove sono stati gli aspiranti insegnanti prima di trovarsi dietro una cattedra? Sui campi di calcio? Nelle officine? Ebbene no: hanno passato una ventina d'anni sui banchi di scuola, ad ascoltare e interagire con decine d'insegnanti di diversa abilità.
Se ancora non hanno imparato almeno i rudimenti di COME si insegna dopo questo po po' di addestramento, dubito che qualche ora insieme a qualche dubbio "esperto" possa servire a granchè.
Frequentai un corso abilitante di ben 9 mesi e so di che parlo.
Per il mio lavoro in laboratorio poi ho visto all'opera molte decine, un centinaio forse di insegnanti, dal bravissimo all'incapace: l'età e quindi l'esperienza c'entravano poco nelle enormi differenze, chi era bravo lo era da subito e sennò ciccia.
E' un mestiere unico e strano.. qualcuno mi pare abbia parlato di "attori di stato" e forse ci va vicino.
Per imparare a insegnare..ricordo dopo tanti anni, ne faccio il nome con reverenza, un certo prof. Baffigo: entrò nella nostra classe per una supplenza di fisica, nessuno di noi ne capiva niente a parte il solito fenomeno che non fa testo. Parlò per una mezz'ora andando lentamente avanti e indietro, nel silenzio generale..e finalmente capii. E con me gli altri. Passato lui, di nuovo il buio.
Ecco, forse se in classe ci fossero stati aspiranti insegnanti da un maestro così qualcosa avrebbero ricavato, ma dubito.
Confesso molta preoccupazione per la prossima non richiesta riforma della scuola.
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