Intervento scritto al Convegno che si tiene oggi a Roma, al Liceo Mamiani sul tema:
«Sotto l'egida di Atena, saper essere e saper fare – Liceo Classico passaporto per il futuro»
GIORGIO
ISRAEL
«Sotto l'egida di Atena, saper essere e saper fare – Liceo Classico passaporto per il futuro»
È con gran
dispiacere se, per motivi di salute, non posso intervenire a questo incontro
cui mi ha gentilmente invitato la preside Sallusti. Me ne dispiace ancor di più
in quanto lo ritengo un evento di grande importanza. La difesa del Liceo
Classico è un tema cruciale su cui si gioca il futuro dell’istruzione italiana
e, in generale, anche della cultura che vogliamo conservare, valorizzare e
trasmettere ai giovani, come momento fondamentale della nostra identità
nazionale.
Ferme restando
tutte le esigenze di rinnovamento dell’istruzione, dei nuovi rapporti tra
cultura e tecnologia – il che significa in concreto una valorizzazione della
formazione tecnica e professionale, in cui pure l’Italia è stata ai primi posti
prima che questa venisse demolita – si tratta di pronunciarsi su una questione
centrale. Vogliamo una scuola che sia esclusivamente luogo di addestramento di
forza lavoro per le imprese, il che significa molte cose negative? Ovvero,
riduzione del ruolo dell’insegnante da “maestro” a mero esecutore di direttive
imposte per via burocratica, per giunta in un contesto di basso livello, in
quanto in Italia ormai non esiste più una grande industria a elevato contenuto
tecnologico, bensì soltanto piccola e media impresa? Oppure vogliamo una scuola
che formi “persone” e non addetti, che conferisca in modo aperto e critico,
rispettoso delle dinamiche individuali degli alunni, le conoscenze necessarie
per poi compiere libere scelte? Insomma, vogliamo una scuola che formi alla libertà, e non di indottrinamento
costruttivista mirante a formare soggetti coerenti con linee ideologiche
preformate?
Per parte mia
aderisco con forza a una visione che definirei umanistica. Il Liceo Classico ne è la rappresentazione e il
baluardo più valido.
Al contrario,
stiamo vivendo il tentativo di distruggere questo baluardo e a ciò contribuisce
una prassi buro-tecnocratica che affoga la scuola sotto cumuli avvilenti di
prescrizioni, circolari, certificazioni, ecc. oltretutto scritte in un modo che
costituisce un attentato alla lingua italiana e alla dignità di chi deve
subirle. La prepotenza di questo apparato buro-tecnocratico è capace di
arrivare alla mistificazione. Collaborai anni fa alla redazione delle nuove
indicazioni nazionali per i Licei: la parte matematica è in buona parte farina
del mio sacco. Già allora fu criticata aspramente perché troppo “culturale”:
era vero perché l’intento era di proporre le relazioni tra matematica e altre
discipline, in particolare filosofia e storia, nel quadro di una visione
umanistica. Il che non significava ignorare il ruolo della matematica nella
rappresentazione dei fenomeni, ma escludendo nettamente che la matematica possa
ridursi a problem solving, un’idea
limitativa e anche profondamente ignorante, incapace di capire che spesso è la
riflessione sui problemi insolubili (e ve ne sono tanti in matematica!) che è
la fonte della formazione più ricca. Ho letto con sconcerto che il ministero ha
proposto le prove preliminari per la matematica argomentando che al centro di
esse deve esservi il problem solving
per renderle coerenti con gli orientamenti delle Indicazioni nazionali… Ogni
commento è superfluo.
La questione dei
rapporti tra materie scientifiche e materie “umanistiche” (greco, latino,
storia, filosofia), è cruciale. Il tentativo di considerare appunto
“umanistiche” le seconde e non le prime deve essere battuto. Esso significa
distruggere d’un colpo una peculiarità della tradizione scientifica europea e
italiana in particolare, che hanno costruito la propria modernità nella
relazione profonda con una tradizione che viene dalla cultura scientifica
dell’Antica Grecia.
All’indomani
dell’Unità d’Italia, il paese era l’unico in Europa che doveva costruirsi i
fondamenti di un’istruzione unitaria, dove tutto mancava, dalle istituzioni ai
libri di testo e alla definizione dei loro contenuti. Si accese allora un
dibattito su come impostare un insegnamento della matematica e come creare i
manuali di base. Non furono coloro che oggi verrebbero definiti come polverosi
umanisti, bensì ingegneri come Francesco Brioschi e Luigi Cremona (sostenuti da
Quintino Sella), i fondatori dei grandi Politecnici di cui oggi meniamo vanto,
a fare una scelta di un’audacia estrema: tornare
a Euclide. I primi manuali di matematica erano addirittura soltanto una
traduzione degli Elementi di Euclide.
Fu una scelta avventata? In una ventina d’anni appena, un paese appena
affacciatosi sulla scena si produsse in uno sviluppo impressionante e verso la
fine dell’Ottocento la matematica italiana poteva considerarsi senz’altro come
la terza potenza europea (e mondiale) dopo la Francia e la Germania.
L’approccio
umanistico aveva funzionato anche sul terreno specifico della scienza e
l’Italia ha avuto uno dei grandi protagonisti di tale visione nel grande
matematico e filosofo Federigo Enriques, i cui manuali hanno improntato la
formazione scolastica di tante generazioni fino a poco tempo fa – manuali che
peraltro sono ancor oggi superiori alle tante mediocrità circolanti.
Nella prolusione
del 1860 all’Università di Bologna, Luigi Cremona spiegò con estrema chiarezza
e con parole attualissime quali sono le relazioni profonde tra i vari ambiti
della conoscenza e, in particolare, quello tra scienza pura e applicata che è
proprio la chiave del successo della tecnologia nella società contemporanea.
Per concludere, ne
propongo un passaggio:
«Respingete
da voi, o giovani, le malevole parole di coloro che a conforto della propria
ignoranza o a sfogo d’irosi pregiudizii vi chiederanno con ironico sorriso a
che giovino questi ed altri studii, e vi parleranno dell’impotenza pratica di
quegli uomini che si consacrano esclusivamente al progresso di una scienza
prediletta. Quand’anche la geometria non rendesse, come rende, immediati
servigi alle arti belle, all’industria, alla meccanica, all’astronomia, alla
fisica; quand’anche un’esperienza secolare non ci ammonisse che le più astratte
teorie matematiche sortono in un
tempo più o meno vicino ad applicazioni prima neppur sospettate; quand’anche
non ci stesse innanzi al pensiero la storia di tanti illustri che senza mai
desistere dal coltivare la scienza pura,
furono i più efficaci promotori della presente civiltà – ancora io vi direi:
questa scienza è degna che voi l’amiate; tante sono e così sublimi le sue
bellezze, ch’essa non può non esercitare sulle generose e intatte anime dei
giovani un’alta influenza educativa, elevandoli alla serena e inimitabile
poesia della verità! I sapientissimi antichi non vollero mai scompagnata la
filosofia, che era allora la scienza della vita, dalla studio della geometria,
e Platone scriveva sul portico
della sua accademia: Nessuno entri qui se
non è geometra. Lungi quindi da voi questi apostoli delle tenebre; amate la verità e la luce, abbiate fede nei
servigi che la scienza rende presto o tardi alla causa della civiltà e della
libertà».
Oggi,
ancor più di ieri, difendere il Liceo Classico significa opporsi ai nuovi apostoli delle tenebre.
4 commenti:
Professore, le auguro di rimettersi presto in salute
poi in questo filmino
https://www.youtube.com/watch?v=VGJIcBwOPp4
vada al minuto 23:00
(sono due temi diversissimi, ma la morale è sempre quella!)
Mi unisco agli auguri per la sua salute, davvero di cuore.
I fanatici esaltatori del "sapere pratico" e di una scuola che prepari all'esercizio di specifiche ai loro figli fanno frequentare un liceo.
Quando vedrò un figlio di questi soloni frequentare un istituto tecnico o professionale ed esercitare nel corso della vita la professione di operaio potrò anche pensare che il loro punto di vista, che comunque non condivido, sia portato avanti in buona fede. Fino a quel giorno continuerò a pensare che si tratta di un disegno premeditato per impedire a chi non appartiene al loro club di fruire di una formazione culturale di un certo tipo. Non sia mai che questi plebei possano pensare troppo e bene.
Desidero approfittare del suo blog per segnalare questo intervento sul ddl buona scuola scritto dal dr. Pino Tilocca, dirigente scolastico , che mi sembra per certi versi in tema anche con questo suo ultimo post e che comunque a mio parere esprime un punto di vista non banale e sostenuto da validi argomenti sul tema:
Quando il presidente Renzi, a fine marzo, col suo stile da venditore di miracoli all’ingrosso, ha presentato il disegno di legge sulla scuola, abbiamo subito colto il carattere propagandistico delle sue affermazioni a beneficio di TV e giornali.
La lettura dell’articolato della legge e della relazione finanziaria che lo accompagna ci da la misura reale dei provvedimenti che il governo tenta di far passare nonostante la reazione durissima, partecipata e convinta di quasi tutta la comunità scolastica, eccezion fatta per le organizzazioni corporative dei presidi, non casualmente architrave del disegno autoritario del premier.
Non nascondo che proprio la lettura dell’impresentabile articolato suscita perplessità per il suo linguaggio approssimativo, i passaggi tortuosi e inapplicabili, la contraddizione con norme in essere e non abrogate.
Giustamente qualcuno l’ha definito un tentativo da apprendisti stregoni, fatto col linguaggio da frate Cipolla e con in mano la pietra filosofale del ciarlatano.
Non voglio, in questo intervento riprendere punto per punto le vergogne del DDL, ma soffermarmi su due questioni sicuramente strutturali che evidenziano le logiche di fondo di questa porcheria chiamata riforma: la forte pulsione autoritaria e la tendenza a frammentare l’universalità del servizio scolastico a favore di una bipolarizzazione verso scuole di alte prestazioni a favore dei ricchi e di scarto verso le zone periferiche, antropologicamente marginali ed economicamente svantaggiate.
Dicono Renzi e corifei che la proposta in discussione alla Camera realizza finalmente dopo 15 anni l’autonomia scolastica.
In realtà questa cosa messa oggi sul tavolo non ha niente a che fare col DPR 275 che nel 1999 introdusse l’autonomia scolastica nel sistema dell’istruzione.
Quella normativa disegnava una idea di scuola dotata di una identità e di un progetto pedagogico e culturale alto, in grado di mobilitare le risorse interne a partire dai docenti e quelle territoriali comprensive di famiglie, associazionismo ed enti locali.
Dotava gli istituti di consistenti risorse finanziarie destinate all’ampliamento dell’offerta formativa, al riequilibrio delle opportunità educative, alle iniziative di formazione, alle proposte di sperimentazione didattica...
...continua
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