Rigore, lotta al bullismo, niente abbuono dei debiti formativi, docenti meritori premiati a livello retributivo – sono propositi del ministro dell’istruzione Gelmini che non possono non rallegrare. Tuttavia, poiché questo è un passaggio cruciale la chiarezza s’impone. Vediamo rapidamente tre questioni.
Il ministro chiede atteggiamenti costruttivi e una mobilitazione trasversale per salvare la scuola mettendo da parte le contrapposizioni ideologiche. Giusto. Purché sia chiaro che la scuola italiana non è stata massacrata dalle contrapposizioni ideologiche bensì dal dominio trentennale incontrastato di una sola ideologia: la miscela della pedagogia per obbiettivi e dell’autoapprendimento con l’egualitarismo e l’antiautoritarismo sessantottino. L’invito va rivolto in primo luogo a chi considera come una bestemmia la sola messa in discussione di questa ideologia, a chi ha coperto di insulti libri come “Segmenti e bastoncini” di Lucio Russo o, assai di recente, ha inveito contro i firmatari dell’appello al merito e alla responsabilità, che mi pare sia stato apprezzato dal ministro. I firmatari di questo appello (Sartori, Galli Della Loggia, Schiavone, Veca, Bodei, Pirani e altri tra cui lo scrivente) sono stati definiti da un ex-ministro “relitti del passato”, sacche di conservatorismo rappresentanti una cultura morta e deduttivistica di stile gentiliano, e invitati da un sindacalista a render conto di come sono andati in cattedra. Perciò, sgomberiamo il terreno dalle congreghe ideologiche che si ritengono proprietarie dell’istruzione e diamo spazio a una discussione culturale (non ideologica) aperta e costruttiva.
Il secondo punto riguarda i sindacati e le varie associazioni. Fa benissimo il ministro a sentire tutti con la massima disponibilità. Poi, però, scelga in modo indipendente, senza tavoli di contrattazione e riservando la decisione finale alla sede istituzionale appropriata, che è il parlamento. Su sindacati e genitori hanno rispettivamente ragione il ministro Brunetta e Pierluigi Battista: facciano un passo indietro per quel che non riguarda le loro competenze. È assai malsano che i sindacati mettano bocca sui programmi scolastici o sull’organizzazione didattica: si attengano alle questioni normative e salariali del personale. Altrettanto vale per le associazioni degli insegnanti o degli studenti: per evidente conflitto d’interesse non devono metter bocca su temi didattici, come la questione degli esami di riparazione autunnali.
Il terzo punto riguarda la valutazione dell’istruzione, circa la quale molti confondono la valutazione individuale dello studente (per cui non credo che esista miglior sistema del voto) e la valutazione del singolo docente, degli istituti o dell’intero sistema. Il Corriere della Sera titola: “Sui criteri di valutazione tutti divisi”. Giorgio Allulli propone una graduatoria per istituto misurando il tasso di abbandono scolastico e premiando gli istituti che riescono a contenerlo. Ci risiamo. Si capisce che docimologi e valutatori vogliano difendere la professione ma qui sono in gioco interessi più grandi dei loro. Quei criteri sono un’assurdità e lo si è già visto, come nel caso del parametro della laurea universitaria in tempo. Basta promuovere tutti ed ecco che il tasso di abbandono scolastico crolla a zero con conseguente premio per i fannulloni e gli inefficienti. Si rassegnino gli “esperti”: le griglie di valutazione non funzionano perché possono essere aggirate in mille modi. Occorre il controllo diretto, personale. È quanto osservava Silvio Garattini a proposito dello scandalo della clinica milanese: si sono messi in atto sistemi sofisticati come il DRG (Diagnosis Related Group), ma qualunque soluzione formale può essere aggirata, e l’unico sistema valido sono «ispezioni regolari, con ispettori esperti, indipendenti da chi decide e da chi paga».
Perciò non vanno bene le soluzioni prospettate dal presidente di TreeLLLe Attilio Oliva (procedure che mettano insieme i giudizi di presidi, famiglie ed ex-studenti) e dal presidente dell’Associazione Presidi Giorgio Rembado (preside, docenti, famiglie, studenti e un docente interno o, al più, esterno). Si formino piuttosto commissioni di docenti di altri istituti e di ex-docenti che piombino senza preavviso nell’istituto e, in collaborazione col preside, lo rivoltino da cima a fondo per alcuni giorni, esaminando ogni aspetto didattico e organizzativo e interrogando anche studenti e famiglie, tenendoli però fuori dal giudizio didattico (essi possono aver peso nella valutazione delle strutture e dei servizi). Basterebbe anche intervenire su un campione del 20% degli istituti per indurre comportamenti virtuosi. È un sistema adottato in diversi paesi e, con iniziativa autonoma, anche in alcune università italiane. Se si vuole procedere seriamente questa è la via. Le altre vie servono o a svicolare o a creare baracconi autoreferenziali che producono montagne di statistiche inutili per constatare poi che le cose vanno sempre peggio.
(Libero, 12 giugno 2008)
8 commenti:
Grazie all' esternazione dei propositi operativi del ministro dell' Istruzione Gelmini, si scorge in giro un pò di distensione e di minor pessimismo. Il titolo del suo articolo é significativo "occasione irripetibile". Speriamo di non sciuparla.
Gianfranco Massi
Diffcile non essere d'accordo con lei.Ha mai pensato di iscrivere il suo blog a Tocqueville.it? Si troverebbe, secondo il mio parere, molto bene. L'aspettiamo.
Difficile non essere d'accordo con quello che scrive. Ha mai pensato di iscrivere il suo blog a Tocqueville.it? Si troverebbe molto bene secondo me. L'aspettiamo.
P.s domani, a Roma, sarò lieto di sentire il suo dibattito con Fisichella.Se ci sarà occasione la conoscerò molto volentieri.
Il principale problema degli appelli al merito ed alla responsabilità consiste nella spiccata tendenza nel discutere i meriti altrui e non accettare discussioni sui propri. Qual è la difficoltà di rendere conto di come si è andati in cattedra e spiegarlo ad un sindacalista?
Magari è faticoso, ed un'invettiva in un blog consente di limitarsi ad argomenti più generici, ma si finisce persi nelle migliaia di polemiche esistenti. Per curiosità: in quell'occasione, quanti dei professori citati hanno accettato di mettersi in discussione e rendere conto della propria carriera?
Egregio Signore,
lei ha dato un esempio paradigmatico di come si sragiona in Italia su queste cose.
Io mi sono sottoposto a giudizio in concorsi da borsista a assistente, ad associato, a straordinario, a ordinario. Per non dire le innumerevoli altre volte in cui mi sono sottoposto e m sottopongo a giudizio per programmi di ricerca e non soltanto in Italia, per pubblicare articoli, ecc. Sempre davanti a CHI HA TITOLI PER GIUDICARE.
Del resto, il mio curriculum e l'elenco delle mie pubblicazioni sono in rete a disposizione di chiunque voglia vederli, in piena trasparenza.
Ma non sono tenuto a sottopormi al giudizio del primo che passa, soltanto perché ha voglia di rompermi le scatole, e anche se non capisce una sola parola delle mie "competenze".
Quindi è proprio il contrario. Chi ha firmato quell'appello ha tutti i titoli, controllati e giudicati, per parlare d'istruzione. Mentre, per una stupefacente inversione, un sindacalista che non ha alcun titolo e "competenza" a parlare d'istruzione si permette di pontificare senza mai rendere conto a nessuno e "mettere in discussione la propria carriera" e ha anche la faccia di bronzo di chiedere a noi che titoli abbiamo per essere andati in cattedra...
Ma ci faccia il piacere...
Non meriterebbe neppure rispondere, se non fosse che questo è un esempio perfetto di come abbiamo perso la bussola.
Oddio, essere definito un "esempio paradigmatico", anche se di sragionamento, è quasi lusinghiero. E tuttavia mi sembra, egregio professore, che non sia riuscito ad afferrare il problema, o più astutamente faccia finta di non capire. Per mia esperienza (fortunatamente limitata), i sindacalisti sono spesso ignoranti e sgradevoli, ma raramente sono stupidi, e suppongo che quello citato conoscesse molto bene quali sono i criteri effettivi con cui le commissioni operano, e fosse era assai confidente nel riuscire a mettere in difficoltà qualsiasi interlocutore. Per questo sarebbe stata importante una risposta chiara e risolutiva, che invece non è arrivata, lasciando l’argomento debole e mal supportato. Ed attenzione, suppongo ancora (ma riconosco che solo mie supposizioni), che il sindacalista non abbia assolutamente messo in discussione i titoli (credo anche io non avesse la competenza per discuterli), ma i modi (che invece credo conoscesse molto bene) e mi pare che anche qui faccia finta di non capire.
Sotto questo aspetto mi sento di ricambiarle il complimento di “esempio paradigmatico”: in Italia il mondo della cultura e della ricerca lamenta di continuo il disastro della gestione clientelare, ma non si capisce chi abbia esercitato questa gestione. I professori, i dirigenti, i funzionari, i gestori, i ricercatori, gli insegnanti dove erano quando questo mondo scivolava nello sfascio? Nel migliore dei casi ha lasciato passivamente che una minoranza ne causasse il degrado? E se così fosse, questa passività è una giustificazione?
Perché poi le commissioni abbiano i titoli quando nominano ricercatori, associati od ordinari e ne siano prive nelle altre occasioni è un altro mistero. Non che io sia favorevole o contrario alle posizioni espresse, di cui devo ancora cogliere nette distinzioni (in effetti devo ancora capire se è un confronto di idee o solo uno scontro di poteri) rimango un po’ perplesso quando trovo figure autorevoli, tra cui comunque la annovero (perché conosco vagamente il suo curriculum ed ho letto alcune delle sue pubblicazioni, e non mi considero offeso dall’essere definito “non meritevole di risposta”) esprimersi in termini così rabbiosi nella forma e così vaghi e confusi nei contenuti, dando più spazio ai propri rancori che alle proposte. Magari è il limite del blog, forse nel suo libro “Chi sono i nemici della scienza” (ancora non l’ho letto, magari mi farò risentire dopo averlo fatto) riesce ad esprimersi in termini più strutturati e coerenti. Anche io, devo riconoscere, in questo contesto mi esprimo in modo più frettoloso di quanto sia abituato a fare.
A questo proposito la invito comunque a rileggere il suo intervento, e provare ad astrarlo dalla situazione e dagli autori: se fosse stato scritto da uno studente di liceo, che valutazione gli assegnerebbe?
E perché non lasci l’impressione di un vecchio cinico e stanco (non sono poi tanto vecchio) “mi consenta” una battuta: probabilmente ho perso la bussola (confesso in effetti di avere pochissime certezze, e nessuna nei campi che meglio conosco), e forse lo stesso è successo alla massa italiana: meno male allora che esiste ancora qualche isolato faro di saggezza che l’ha mantenuta …
Grazie comunque per l’interessante discussione, ma ritengo la sua risposta poco convincente.
È tipico accusare qualcuno di essere "rabbioso" soltanto perché esprime le sue idee credendoci. Sembra molto più elegante e razionale apparire calmi e distaccati. In tal modo, si può dire che uno "fa finta astutamente di non capire" come se fosse un'affermazione oggettiva. Traduciamola pure nel suo autentico significato, ovvero "lei è in malafede" (che cos'altro è chi fa finta astutamente se non una persona in malafede?). È un insulto. Ma è mascherato da un tono di grande "civiltà", di chi non perde mai le staffe e ragiona...
Con questo tono disincantato e scettico si può dire qualsiasi cosa, anche la più preregrina. Per esempio che dovrei rendere conto a chiunque passa per strada dei miei titoli, che un sindacalista - in quanto tale quasi sempre intelligente... - che ha il solo titolo di essere eletto dai suoi iscritti ha anche il titolo di essere giudice senza essere mai giudicato. Si può sostenere che, di fronte alla richiesta del sindacalista si è tenuti a dimostrare che le tante commissioni erano integerrime, che hanno operato correttamente, indipendentemente dai titoli, perché quelli non erano in discussione... (chissà cosa erano chiamate a valutare?). Altrimenti si è sospetti...
E se si risponde che tutto cio è preregrino e roba da "tricoteuses", si è rabbiosi, astutamente in malafede e da bocciare. Lo dice chi ha dato prova di simili esercizi di logica...
Ha detto una cosa molto vera: il cinismo è un triste approdo. O forse lei è il sindacalista o un suo sodale.
No, non sono né l'uno né l'altro. Credo di potermi definire "un passante interessato all'argomento" della valutazione di persone e strutture, accademiche e non, e sulle problematiche di carattere organizzativo e sociale collegate (che è il motivo per cui sono capitato sul suo blog).
Al momento questo interesse è puramente culturale, può considerarmi un dilettante della questione, non coinvolto e quindi effettivamente «calmo e distaccato» a riguardo. E per questo non ho molta voglia di trovarmi coinvolto in un interminabile contrasto personale, poiché è chiaro che abbiamo un'avversione reciproca per i rispettivi modi di esprimersi. Tuttavia, visto il mio interesse per l'argomento, mi rifarò sentire dopo aver letto il suo libro, cercando di attenermi ad argomenti più tecnici e prescindendo da considerazioni stilistiche.
La ringrazio per la sua disponibilità.
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