Se c’è una disciplina che fornisce definizioni rigorose e univoche questa è la matematica, anch’essa entro certi limiti. Già, perché appena si esce da un contesto puramente formale, in cui contano sono le relazioni e le proprietà degli enti in gioco e non la loro natura, cominciano i problemi. La definizione di “punto” di Euclide – «il punto è ciò che non ha parti» – ha fatto scorrere fiumi di inchiostro. Perciò, appena si ha a che fare con oggetti concreti le definizioni diventano vaghe e opinabili, come lo sono i lemmi dei dizionari, tanto più se gli oggetti non sono puramente “materiali”.
Tutto ciò per dire che definire cosa sia l’intelligenza, il talento e il genio è una vera e propria sfida, ed è una sfida perdente se si pretende di dare una definizione rigorosa e univoca nello stile di quelle della matematica astratta (assiomatica). Tuttavia, siccome oggi pare che solo coloro che procedono alla maniera dei matematici (assiomatici) siano persone serie, ci si ingegna a dare definizioni siffatte dell’intelligenza. Ne risulta un’idea di intelligenza bene descritta da Edoardo Boncinelli in un recente articolo sul Corriere della Sera: «un costrutto i cui contorni sono delineati interamenti dagli strumenti di misura utilizzati nelle ricerche empiriche». Insomma, poiché la definizione di intelligenza è subordinata al fine di misurarla, essa è «l’insieme delle capacità che contribuiscono a favorire risposte corrette a quesiti di natura verbale o logico-matematica». Con una simile definizione la creatività non fa parte dell’intelligenza. Ne consegue che individui geniali ma ribelli alle convenzioni e alle regole e persino di rendimento scolastico non eccelso non sono da considerarsi “intelligenti”: tali sono i casi di Leonardo da Vinci, Darwin, Churchill o Einstein. Osserva Boncinelli che tutto dipende dalla definizione scelta, ovvero se si ritiene che la creatività faccia parte dell’intelligenza oppure no. Questa insulsa diatriba nasce perché i test di intelligenza non creativa sono facili ed efficaci – in definitiva si tratta di questionari – mentre non si è riusciti finora a ideare test efficaci di misurazione della creatività.
Bella scoperta. Se la parola “creatività” ha senso – e indica quindi un comportamento assolutamente imprevedibile e contrario a qualsiasi procedura meccanica predeterminata – è evidente che ogni tentativo di misurarla è destinato all’insuccesso. Ma siccome – come si è detto – misurare è diventato un’ossessione e pare che qualcosa non è misurabile non esiste o non è degno di considerazione, ecco che si propende per una definizione “esatta”, e pesantemente riduttiva dell’intelligenza. A quali conseguenze portino questo genere di elucubrazioni è mostrato dai titoli apposti all’articolo di Boncinelli (il cui testo è invece del tutto ragionevole): “L’intelligente non è creativo, troppo talento frena il genio”, “Test e studi psichiatrici dimostrano come lo sviluppo della sfera intellettuale renda gli individui prudenti e tradizionalisti”. Insomma si suggerisce che per essere geniali è meglio non essere troppo intelligenti e che per non essere prudenti e tradizionalisti è meglio non sviluppare la sfera intellettuale… Un altro incitamento a non studiare?
La verità è che chi limita la propria ragione a esercizi di logica formale è un mediocre, anche se sa molte cose. Non è intelligente. È un “idiot savant”. Anche i migliori matematici sono i creativi e non i “meccanici”. Ci voleva tanto dispendio di scienza statistica e psichiatrica per confezionare simili trivialità? Ma questi sono i prezzi da pagare sull’altare della “misurazione delle qualità”.
(Tempi, 26 giugno 2008)
4 commenti:
Egregio professore, stavolta non posso trattenermi dal rivolgerle una domanda, a proposito della misurazione dell' "insieme delle capacità che contribuiscono a favorire risposte corrette a quesiti di natura verbale o logico - matematica":
A cosa dovrebbe servire la misura di questo "insieme di capacità"?
Forse a capire "come nascono le idee"? (visto che l' ultimo libro del genetista Boncinelli ha questo titolo)
Gianfranco Massi
Forse è il contrario. Chi da per scontato che quelle capacità siano frutto di meri fatti materiali (e che le idee siano la secrezione dei neuroni), si possono misurare come si misura un'intensità di corrente.
Caro Prof,
vorrei sapere la Sua autorevole opinione sui 'testi d'intelligenza', ormai tanto di moda e su cui si basano anche le selezioni per accedere alla maggior parte delle Università.
Leggendo il Suo articolo, mi pare che Lei sia fondamentalmente critico verso ogni forma di misurazione dell'intelletto. Allora, questo significa che tanto i test di intelligenza quanto i quiz di selezione per università o altre istituzioni dovrebbero essere aboliti? E, in caso positivo, quale dovrebbe essere lo strumento di valutazione?
La ringrazio.
I test d'intelligenza sono un'idiozia assoluta perché si basano su un'idea assurda, e cioé che si possa dare una definizione formale e autoconsistente di intelligenza. I quiz di selezione sono una cosa diversa perché sono un metodo per valutare l'esistenza di requisiti minimi di conoscenze e di abilità a manipolare certi concetti o metodi. Dei test a riposta chiusa (insomma dei quiz) ben fatti e ben pensati in matematica o in fisica possono essere utili ed efficaci. Quando si passa a materie che non hanno un carattere formale possono invece essere fuorvianti. Penso che l'uso di quiz in storia, in filosofia o in letteratura sia un'autentica buffonata. I test assomigliano a un'interrogazione. Laddove è possibile - in genere nel caso della determinazione di requisiti minimi -farne uso ragionevolmente è un modo per ovviare alla difficoltà di fare un gran numero di esami diretti. Quando si possono fare esami in modo classico è sempre meglio. È imprescindibile per certe materie. Quanto all'intelligenza - ripeto - meglio lasciar perdere.
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