Va apprezzato il coraggio del ministro Gelmini di aver rimesso in circolazione la parola “merito”, impronunciabile da quando (decenni fa) “meritocrazia” è stata eletta a sinonimo di tutti i mali del mondo. È tanto più apprezzabile che, dopo averne fatto un riferimento centrale per la scuola secondaria, l’abbia accostata ad “autonomia” e “valutazione” per comporre la triade cui vuole ispirare la sua azione nell’ambito universitario. Ha fatto anche bene a enunciare chiaramente il dilemma: tornare a un sistema centralizzato o scommettere sull’autonomia. Convince la scommessa sull’autonomia che però richiede la valutazione, la quale deve fondarsi sulla promozione del merito, nella sostanza e non per obbedienza a parametri formali. Se l’idea dell’autonomia convince per l’università – mentre è da considerare con molta maggiore cautela per gli istituti scolastici – occorre tuttavia ripensarla perché è stata sperimentata e siamo in condizione di dire quali rischi vadano evitati. Difatti, la falsa autonomia introdotta nell’università ha stimolato cattivi risultati, come la proliferazione di migliaia di lauree, e non ha prodotto i risultati sperati, come la promozione della qualità della ricerca e della didattica. Le università, impossibilitate ad agire in vera autonomia – per esempio sul fronte delle tasse – hanno esaurito (non senza colpe) la quota di bilancio dedicata agli stipendi. Ne è risultato un effetto drammatico: non vi è più mobilità tra le università, il corpo docente è ingessato in forme mai viste ai tempi del più rigido centralismo e le conseguenze negative sulla qualità della ricerca e della didattica sono gravissime.
Le modalità di reclutamento dei docenti proposte dal ministro – chiamata diretta su una lista nazionale di idonei – ci convincono pienamente e saranno tanto più efficaci quanto più le università saranno messe in condizione di promuovere la mobilità del corpo docente, ma anche stimolate e quasi costrette a farlo.
Un altro problema sottolineato dal ministro sono i pessimi risultati del sistema 3+2 (laurea triennale e specialistica). Tutti riconoscono che le lauree triennali non servono a niente e tanto varrebbe tornare alla vecchia normativa. Quantomeno occorrerebbe por mano a una semplificazione estrema del sistema dei crediti – Salvatore Settis ha addirittura proposto di abolirlo con una circolare – che è fonte di uno squallido mercato. Per esempio, occorrerebbe vietare l’idea aberrante di misurare un credito con le pagine di testo da studiare (pagine di quanti caratteri e di che difficoltà?!). Quando poi certe commissioni di valutazione di ateneo addirittura invitano i docenti a stimare un credito come un impegno di 25 ore di studio ci si rende conto del degrado culturale cui siamo arrivati e della metastasi manageriale dell’egualitarismo di stampo sessantottino. Esiste infatti una categoria di professori che preferiscono dimenticare di essere tali e giocare a fare i manager con un’attrazione quasi erotica per la “governance” e la “valutazione” quanto più sono formali e complicate.
Non può darsi autonomia senza valutazione, ma anche la valutazione deve essere seria e non ridursi agli esercizi formali di certe commissioni o alla burofrenia di carrozzoni autoreferenziali. Bisogna rifuggire dall’ossessione della valutazione “oggettiva” e “automatica” che sfocia inevitabilmente nella proposta di criteri assurdi e arbitrari, come quello letto di recente: attribuire un valore 20 a un libro pubblicato “all’estero” e 12 a un libro pubblicato in Italia. Quel che conta è il valore intrinseco del libro o dell’articolo e neppure della rivista in cui è stato pubblicato. Con certi criteri da “citation index” articoli epocali di grandi scienziati sarebbero oggi valutati poco in quanto pubblicati su riviste di secondo piano. L’unica valutazione seria è di contenuto e deve essere svolta da commissioni imparziali che ispezionino sul campo. Circa la valutazione degli studenti e delle famiglie, eviterei da parte del ministro di definirla in termini di “customer satisfaction”, termine che non andrebbe usato nell’ambito dell’istruzione.
Infine, così come il ministro ha ricordato l’importanza per la scuola della quarta “i”, l’italiano, siamo certi che sarà sensibile al ruolo motore della ricerca di base e alla necessità di riportare al centro dell’università la cultura e il rapporto con le tradizioni culturali senza di che non si potrà evitare che la didattica si riduca a esamificio e la ricerca a produzione di brevetti.
(Libero, 18 giugno 2008)
2 commenti:
Condivido in pieno -come del resto sempre- quanto lei suggerisce.
I miei "two cents" sull'argomento.
Riguardo al degrado dell'istruzione universitaria mi pongo da anni la domanda del perché non sia possibile anche in Italia l'approccio americano. Dove lavoro io, ma in tutte le università USA, l'università e' completamente autonoma. Se poi vuole essere accreditata (= parificata) deve aprile le proprie porte alle ispezioni dell'ente esterno che ne garantisce gli standard di livello.
Il reclutamento dei professori/ricercatori e' esclusivamente compito del singolo dipartimento che sulla base del curriculum e del lavoro svolto giudica più o meno idoneo ogni singolo candidato.
Ogni dipartimento quindi può aprire un nuovo posto a proprio piacere e senza dover indire bandi o concorsi all'apparenza iper-formali e garantisti ma che si rivelano poi sempre i soliti giochi politici. Ogni commissione e' composta al massimo da 3 persone il cui giudizio e' quasi sempre INSINDACATO (non, insindacabile!): nessuno accusa nessuno perché si presume che la selezione sia stata fatta in maniera corretta. Non sono necessarie graduatorie con punti assegnati anche per gli articoli scritti perché il più delle volte il posto da riempire richiede competenze molto specifiche che solo una manciata di persone possiedono. E la scelta finale e' sempre quella che soddisfa meglio tali richieste.
Stesso argomento per gli studenti che al termine di ogni corso vengono chiamati ad esprimere il loro giudizio sul corso e sul docente. Se i livelli di accettazione espressi dagli studenti non sono almeno del 75-80% il docente e' in guai seri. Anche qui tuttavia ognuno e' onesto e consapevole del potere che ha; nessuno pensa ad usare questi meccanismi per piccole vendette personali.
Voglio dire che forse, prima di proporre l'introduzione di altre regole, sarebbe meglio cercare di far passere il messaggio più aulico della serietà e onestà. Cosa che per noi italiani e' più difficile perché per indole tendiamo a vedere sempre la "fregatura" da cui dobbiamo ripararci fregando gli altri. E allora si propongono meccanismi di controllo sempre più sofisticati senza accorgersi che e' una spirale dal quale non si esce.
L'unico punto su cui ci si e' voluti ispirare al modello americano/anglosassone e' quello degli esami e del percorso per la laurea. Ma la difficolta' degli studi e l'ampia conoscenza della materia dovuta ai molti corsi tuttavia era proprio cio' che ci rendeva migliori di loro. La mia laurea in fisica mi ha costretto a seguire 30 corsi di fisica e/o matematica per cui seppure in ritardo rispetto ai colleghi USA le mie conoscenze sono state poi utilissime per conseguire il dottorato e permettermi di muovermi da un campo all'altro. Senza contare l'abitudine allo studio serio e continuativo.
L'autonomia universitaria italiana invece e' servita -mi sembra- solo a rendere tutto più semplice per gli studenti e i docenti che hanno ridotto i programmi anche della meta'. I 3 anni che volevano rendere gli italiani competitivi hanno invece creato un'immagine negativa all'estero poiche' anche il corso di laurea piu' breve e' dovunque di 4 anni. E vallo a spiegare che si "pero' noi facciamo 5 anni di scuole superiori mentre voi solo 4..."
Infine il concetto di credito formativo negli USA non c'e'. C'e' solo la Credit Hour che altro non e' che il numero di ore settimanali richieste per il corso semestrale. Anche qui e' il docente che stabilisce la difficolta' e l'ammontare di materiale necessario e nessuno dubita della qualita'.
Chiedo scusa per la lunghezza,
Marco
Riguardo all’importanza per la scuola della quarta “i”, si dovrebbero rimettere le due ore di lettere che sono state tolte alla secondaria e che non sempre si possono ripristinare con laboratori, prima di tutto perché questi dovrebbero essere autonomi rispetto al curricolo di italiano e poi, ahimé, perché non sempre sono scelti dalle famiglie, che, mi sembra, tendono talvolta ad orientarsi verso altre agenzie educative per le ore pomeridiane.
Prof. Maria Luisa Necchi.
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