domenica 27 luglio 2008

Bioetica e politica

Secondo Pierluigi Battista il silenzio della politica è calato sulle questioni etiche e il caso di Eluana Englaro, nonostante la drammaticità delle sue implicazioni, non è bastato a romperlo. Secondo Ignazio Marino questo silenzio «ha una spiegazione semplice: al centro-destra i temi etici non interessano». In certo senso, siamo d’accordo con Marino, in un senso che va bene chiarito. Il centro-destra ospita posizioni molto diverse, talora diametralmente opposte, e inclina a non accentuare le divergenze, preferendo enfatizzare i temi su cui è più unito: economia, sicurezza, politica estera e, entro certi limiti, anche l’istruzione. In ciò asseconda la tendenza del suo elettorato a collocare questi temi ai primi posti nella graduatoria delle emergenze. Questo spiega l’insuccesso della lista pro-life di Giuliano Ferrara alle recenti elezioni, mentre è profondamente sbagliato dedurre da quell’insuccesso conclusioni circa una scarsa sensibilità per le questioni bioetiche nel nostro paese. Di certo, per la maggioranza degli italiani – e per coloro che ne hanno interpretato le tendenze – la questione della sicurezza viene prima, ma questo non significa che vi sia sordità sulle questioni etiche. Al contrario, l’Italia è certamente il paese europeo più sensibile in merito e che ha espresso ripetutamente – in particolare nel referendum sulla legge 40, ma non soltanto – una visione diametralmente opposta a quella della Spagna di Zapatero. Qui le posizioni di tendenza zapaterista si annidano tutte nello schieramento di centro-sinistra e in tal senso Marino ha ragione: non si sente niente a sinistra perché vi regna un totale unanimismo, a parte qualche borbottio indistinto che non raggiunge neppure il livello di un timido dissenso. Il centro sinistra si è appiattito su una linea che attribuisce alle “conquiste” della tecnoscienza un significato intrinsecamente progressivo e liberatorio. In fondo, si tratta dell’ennesima manifestazione della crisi di uno schieramento il cui nucleo duro – attorno a cui si dispongono appendici sempre più marginali – ha una derivazione fortemente ideologica che lo predispone a cercarsi ideologie sostitutive: tale è la funzione assunta dal mito del carattere buono e progressivo della tecnoscienza.
Eugenia Roccella è forse ottimista quando sostiene che il centro-destra sta elaborando una nuova cultura politica che superi certi aspetti del liberismo etico. È però indubbio che l’affermazione di Marino è vera soltanto in relazione alla reticenza della politica ufficiale: chi ha un atteggiamento critico nei confronti degli eccessi della tecnoscienza ha trovato e trova soltanto nel centro-destra un luogo dove elaborare un confronto su questi temi.
L’imperio della tecnoscienza nelle manipolazioni biologiche è dovuto a corposi interessi che è difficilissimo scalfire. È più facile accodarsi in silenzio a questi sviluppi che non criticarli. Abbiamo attraversato una pausa, ma non dimentichiamo che in pochi paesi come in Italia si è sviluppato un importante movimento culturale di critica a quello che chiamerei, riprendendo un’espressione di Pasternak (riservata ai totalitarismi), la «notte materialistica». Questo movimento ha avuto un centro di importanza primaria nel Foglio di Giuliano Ferrara e nell’attività di tante personalità del mondo cattolico e non cattolico che hanno trovato un terreno di dialogo sia sui temi sollevati ripetutamente da Benedetto XVI che nel ripensamento di testi di pensatori razionalisti e di scienziati estranei al riduzionismo. È di qui che bisogna ripartire con energia per rompere il silenzio della politica sulle questioni bioetiche.
/Tempi, 24 luglio 2008)

10 commenti:

oblomov ha detto...

il suo ragionamento mi sembra del tutto appropriato nel caso si parli di sperimentazione su/con embrioni, eugenetica e argomenti simili ma nel caso del testamento biologico e dell'accanimento terapeutico mi sembra che la "tecnoscienza" stia tutta dalla parte di un prolungamento indefinito della vita con ogni mezzo e ad ogni costo. Vita del tutto meccanicisticamente intesa: basta che alcuni campi elettromagnetici producano determinati effetti rilevabili da un elettroencefalogramma e che alcuni sistemi meccanici presenti nel nostro corpo possano proseguire la loro funzione. Tanto basta alla tecnoscienza.
Il sogno dell'immortalità è a portata di mano...

GiuseppeR ha detto...

Nel centrosinistra l'atteggiamento critico verso il fanatismo scientista è presente anche se minoritario. Ci sono persone come Binetti, Bobba, ma anche Rutelli. Credo anche che da quelle parti abbiano capito che è perdente abbandonarsi alle derive tracciate alle elite intellettuali e dai gruppi di pressione più chiassosi.
Una seria valutazione politica deve tener conto che in Italia esiste ancora una diffusa sensibilità popolare umanistica rafforzata dall'azione responsabilizzatrice svolta della Chiesa cattolica. Non solo da personalità importanti ma principalmente da oscuri parroci nelle comunità parrocchiali. A questo si aggiunge ovviamente la presenza di forti voci di diversa provenienza come la sua e quella di Ferrara, che fanno la differenza rispetto ad altri paesi cosiddetti "cattolici".

marcella52 ha detto...

Mi aggancio all’affermazione “Il centro sinistra si è appiattito su una linea che attribuisce alle “conquiste” della tecnoscienza un significato intrinsecamente progressivo e liberatorio.”
Io vivo circondata da affiliati, sostenitori e simpatizzanti del centro sinistra. Amici, colleghi, sorelle e parenti prossimi, insomma tutti, con poche anzi pochissime eccezioni. Gente intelligente, dotata di una buona cultura, stimabile sotto molti punti di vista. Veri amici verso i quali nutro affetto sincero ma con i quali non riesco proprio ad impostare un confronto sereno su nessun argomento che abbia a che fare con la bioetica. Nelle rare occasioni in cui la questione viene affrontata per forza di cose, mi accorgo di essere guardata come una povera credulona e bigotta, da compatire affettuosamente. Ma non è questo quello che mi dispiace. Quello che non sopporto è che si da per scontato che tutti la pensino in un certo modo e che quindi non c’è alcun confronto, solo dei monologhi accompagnati da sguardi che cercano un consenso che sanno già di avere. Quello che non sopporto è vedere persone intelligenti affermare “verità” verso le quali non è possibile controbattere nulla perché il modo stesso in cui queste “verità” vengono affermate presuppone l’inutilità di una risposta.
Io sono convinta che questa situazione in alcuni casi deriva da una troppo lunga militanza in certe schiere, militanza che ha letteralmente deformato il modo di vedere il mondo perchè si fonda su certi dogmi che è impossibile confutare. Ma in altri casi, e penso che siano la gran parte, si tratta di una superficiale presa diposizione che però si è andata col tempo consolidando fino a diventare un abito. Questa posizione riguarda a mio parere tutta quella folla di persone che non hanno mai militato in alcun partito né si sono mai appassionate particolarmente a questioni politiche ma che, da qualche anno a questa parte hanno deciso di appartenere ad una certa schiera che fa tanto CULT. Queste persone, senza dedicare troppo tempo alla riflessione personale sulle questioni scottanti che si presentano, si iniettano quotidianamente una dose dell’opinione di colui che hanno scelto come GURU.
Sinceramente io, su molte questioni, sono alla ricerca della verità e non mi accontento, per questo gradirei assistere ad un sereno confronto, ad un onesto dibattito, ma purtroppo il dialogo è morto nella nostra società.

Gianfranco Massi ha detto...

Condivido perfettamente il discorso del prof. Israel sulle differenze di comportamento dei due schieramenti politici dominanti in Italia.
Secondo me la parola "reticenza" per spiegare l' atteggiamento sel centrodestra sui problemi etici è un pò riduttiva. Parlerei più propriamente di consapevolezza del pensiero della maggioranza dei cittadini, e conseguente rispetto democratico delle opinioni di minoranza.
Vorrei anche dire che, sempre secondo me, Marcella ha centrato il vero problema della cultura politica italiana quando parla di "militanza ideologica" degli intellettuali di sinistra.
Inoltre la Chiesa non impone - da quasi tre secoli - di "pensare" in modo conforme ai dogmi, ma di implorare a Dio la "convertirsione" alla fede
cristiana.
Gianfranco Massi

GiuseppeR ha detto...

Anche io quotidianamente combatto con amici, colleghi e, purtroppo, anche stretti familiari per sostenere un punto di vista diverso sui temi etici ottenendo esiti simili a quelli così ben rappresentati da Marcella.

In certi ambienti, è diffuso un conformismo piatto e bigotto legato ad una strana idea di "razionalita" costretta in un rigido determinismo materialistico secondo il quale "la coscienza ed i sentimenti sono solo un insieme di reazioni chimiche" e "la vita è determinata unicamente dal caso e dalla necessità".

Poi, con queste persone, ti trovi a discutere con passione di arte, letteratura, filosofia e ti domandi perchè lo fanno se il senso di tutto è ricondotto alla cieca casualità. Oppure partecipi alle loro vicende affettive e ti accorgi che sono qualcosina di diverso rispetto a degli automi che agiscono per puro utilitarismo.

Allora capisci che c'è qualcosa che non va, molte di quelle persone si aggrappano a quelle certezze perchè si sono smarrite, non hanno più il coraggio di porsi le domande fondamentali.

Hanno rinunciato di mettersi "alla ricerca della verità" perchè per loro la "verità" non esiste e si accontentano di rappresentare la realtà in un formato ridotto all'interno di una visione pseudo scientifica che non rende conto della sua infinita complessità.

Anche io soffro un po' la mancata disponibilità al dialogo e devo sopportare l'affettuosa compassione dei miei amici e la palese irrisione dei non amici.

Mi aiuta constatare che questi fenomeni son oggetto di attente riflessioni (non solo perchè ci ospita nel suo blog consiglierei di leggere per esempio "Liberarsi dei demoni" del prof. Israel e utilizzarne la bibliografia).

Inoltre, nel mio piccolo, sento la responsabilità di sostenere una diversa visione della vita, non tanto per difendere me o proteggere i miei amici "smarriti" ma, principalmente, perchè temo che le principali vittime di questo smarrimento saranno i nostri figli.

agapetòs ha detto...

Il dialogo l'è morto da un bel pezzo! Basta vedere ad esempio l'ostracismo che sta ricevendo Pansa. E comunque, questi signori che ora gridano al fascismo, non hanno avuto niente da dire quando esponenti del governo Prodi sono andati sulla Piazza Rossa a festeggiare l'anniversario della rivoluzione bolscevica. Ma se la Mussolini andasse a Predappio sulla tomba del nonno, quale scandalo che ne farebbero!
Ma gli errori compiuti in nome dei "più alti ideali dell'umanità" (1) sono meno gravi degli altri, no?
Giovanni Corbelli

"Salutiamo in voi la forza invincibile della classe operaia, la realizzazione dei più alti ideali dell'umanità. Vi auguriamo lunghi anni di vita e di salute, per il bene dei popoli dell'Unione Sovietica, per il bene della classe operaia e dei popoli del mondo intero. Gloria a Voi, compagno Stalin!" (Togliatti, messaggio per il 70° compleanno di Stalin)

Giorgio ha detto...

VITA PIÙ, VITA MENO…

C.: “G., stai attento all’incrocio! Io ho figli, e il collega che sta dietro ha genitori…”
G.: “Io non ho figli (e, per ora, neanche moglie), e i miei genitori sono deceduti, ma sto attento lo stesso agli incroci.”
C.: “G., se tu non hai figli, né moglie, né genitori, la tua vita vale meno di quella di noialtri due…”
G.: “Non direi. La vita umana è un valore non negoziabile!”

Quello riportato è uno scambio di battute realmente avvenuto nella mia automobile, ove C. è una collega docente e “il collega che sta dietro” è un collega docente; G. sono io, il guidatore.
A parte le battute, voglio affrontare, seppur brevemente, un problema molto serio.
Al giorno d’oggi certuni considerano la vita di alcuni individui come una vita avente “meno valore” della vita di altri individui, o, quantomeno, come una vita “meno degna di essere vissuta” rispetto alla vita di altri individui (mi riferisco agli embrioni/feti, agli handicappati gravi, ai malati con scarse probabilità di guarigione, ecc.).
Contro l’aborto ho già parlato in riferimento a un altro post. Qui voglio affrontare, molto sinteticamente, il problema dell’eutanasia, venuto alla ribalta negli ultimi tempi con i casi di Terry Schiavo, Luca Coscioni, Piergiorgio Welby, Eluana Englaro, e lo voglio fare evitando strumentalizzazioni (come, purtroppo, è avvenuto spesso relativamente a questi casi) e, naturalmente, col massimo rispetto per le persone e le famiglie che ne sono direttamente coinvolte.
Il punto nodale, a mio avviso, è la differenza fra il concetto di “qualità" della vita e quello di “sacralità" o, se si vuole, più laicamente, di "non negoziabilità" della vita.
È evidente, infatti, che è proprio in nome del concetto di “qualità" della vita che si considerano alcune vite meno degne di essere vissute rispetto ad altre (uno dei frutti amari della moderna deriva scientista e tecnocratica), ma se lo sostituiamo con quello di “non negoziabilità" – se non vogliamo, appunto, parlare di “sacralità” – della stessa, ci accorgiamo che le tragedie che hanno colpito quelle vite non inficiano minimamente il loro valore e la loro dignità (fossero pure vite gravemente “handicappate”, o vite ridotte ad uno stato “vegetativo”, ecc.); semmai, dovrebbero conferir loro un bisogno di attenzione e di rispetto particolari, dal momento che, in ogni caso, esse contribuiscono all’arricchimento dell’esperienza umana.

“Coloro la cui vita è minorata o indebolita richiedono un rispetto particolare. Le persone ammalate o handicappate devono essere sostenute perché possano condurre un’esistenza per quanto possibile normale.” [Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2276]
“Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile. […]” [ivi, n. 2277]
“L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie e sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente.” [ivi, n. 2278]

Molto recentemente, a proposito del caso di Eluana Englaro, alcuni esponenti della Chiesa Cattolica si sono pronunciati contro il principio di autodeterminazione del pazìente.
“Ma vogliamo negare che ultimo giudice in materia di coscienza morale sia la coscienza morale stessa?”, obietta la filosofa Roberta De Monticelli relativamente a tale pronunciamento.
Rispondo: la vita, anche se è nostra, non ci appartiene.

Ringrazio e saluto.
Giorgio Della Rocca

agapetòs ha detto...

a Giorgio Della Rocca mi permetto di dire che se l'argomentazione contro l'eutanasia è espressa nei termini "la vita non è nostra", la contrarietà all'eutanasia rimane una questione religiosa e, come tale, non è proponibile in un'assemblea legislativa.
Sono convinto che le ragioni del no all'eutanasia nascano anche da argomenti non religiosi, gli stessi per i quali se vediamo una persona agonizzante dopo un tentativo di suicidio, l'imperativo morale dentro di noi ci dice che quella persona va soccorsa, non abbandonata all'esito della sua "autodeterminazione".

Giorgio ha detto...

PRECISAZIONE SU EUTANASIA (E ABORTO)

Ringrazio Giovanni Corbelli (alias Agapetos) per il suo commento, ma spero mi si consenta una breve replica.
Sono d’accordo con lui che l’opposizione all’eutanasia vada condotta su un piano laico oltre che religioso, ma è appunto quello che ho cercato di fare, proponendo il principio laico di “non negoziabilità” della vita al posto di quello religioso di “sacralità” della stessa (tra l’altro, la proposta non è mia personale; è della Chiesa Cattolica…).
Io, poi, non ho detto che l’opposizione vada condotta in base al principio (religioso) che “la vita non è nostra” (appunto perché donataci da Dio). Ho detto che la vita è nostra, ma non ci appartiene, non solo perché (religiosamente) appartiene a Dio, ma anche perché (laicamente) appartiene a tutta l’umanità: la vita di ciascuno acquista senso e valore, infatti, solo nella relazione col resto dell’umanità.

Già che ci sono, colgo anche l’occasione per fare una precisazione sull’aborto.
In riferimento ad un altro post, come ho già detto, mi sono espresso decisamente contro la legge 194/78, che ho definito una legge eticamente iniqua, e in un altro commento ho annoverato l’aborto fra i “mali assoluti” del passato e del presente.
Nel 1962, una dottoressa quarantenne (specialista in pediatria) di nome Gianna Beretta Molla, già madre di tre figli, mentre aspettava una quarta figlia scoprì di avere un tumore all’utero; era anche al corrente che, abortendo, avrebbe, con buone probabilità, salvato la propria vita, ma scelse di portare a termine la gravidanza, e morì subito dopo aver dato alla luce Gianna Emanuela. Gianna Beretta Molla è stata proclamata prima Beata e poi Santa durante il pontificato di Giovanni Paolo II.
È chiaro che lo Stato non può chiedere a tutti di essere dei Santi (o, se si vuole, laicamente, degli eroi), ed anch’io ammetto che, in situazioni estreme in cui ci sia da scegliere tra la vita del nascituro e la vita della madre, si abbia il diritto di una libera opzione. Ma, lo ribadisco, solo in casi estremi, e non certo in tutti quelli previsti, piuttosto "elasticamente", dalla legge 194.

Rinnovo saluti
Giorgio Della Rocca

agapetòs ha detto...

Utilizzo questo spazio gentilmente messo a disposizione dal prof. Israel per rispondere a Giorgio Della Rocca.
L'espressione "la vita non è nostra" può certamente avere un valore non religioso, ma poiché in genere è completata da "ma è di Dio", l'ho interpretata in questa accezione, anche se è vero che non è l'unica possibile.