Un tema estivo prediletto dalla stampa è stato quello della dilagante ignoranza della lingua italiana. Alcuni articoli hanno illustrato, con dovizia di esempi, la prosa sgrammaticata e asintattica di molti docenti universitari, per concludere: se questi sono i pulpiti c’è poco da sperare.
È vero, gli esempi si sprecano. Di recente, ho letto un documento di critica degli orientamenti in tema di istruzione del governo, accusato di avere come unico disegno «l’impoverimento del sistema». Se qualcuno è in grado di dimostrare che la frase seguente ha un senso coerente rivelerò l’autorevole consesso da cui proviene, altrimenti sarà preferibile tacere per carità di patria: «Questa scelta è particolarmente acutizzata dalla sostanziale evanescenza della prospettiva di medio termine e da un’approfondita consapevolezza del ruolo dell’Università contro la recessione economica e civile del paese». Il documento proseguiva lamentando l’abitudine italiana di «imprimere un brusco cambiamento alle policies all’appuntamento con un nuovo esecutivo» e richiedeva «in via prioritaria alla politica un chiarimento della vision dell’Università, unica precondizione [perché non “condizione”?] per accettare sacrifici altrimenti privi di motivazione».
È un periodare originale compensato da un commovente attaccamento alla tradizione. A distanza di mezzo secolo Santi Bailor (l’americano a Roma di Alberto Sordi) fa ancora scuola: tra “vision” e “policies” un “shana-gana-uana” non guasterebbe.
Ma di che stupirsi? Si pensi al fatto che troppe case editrici hanno liquidato redattori che avevano accumulato esperienze decennali per realizzare economie attraverso il sistema dell’esternalizzazione (outsourcing), ovvero dell’appalto esterno a “ditte” e singoli. Il risultato è che i testi vengono dilaniati da persone di modestissimo livello che sfogano le loro frustrazioni intervenendo su questioni di merito e di stile, senza sporcarsi le mani con il vile compito della correzione dei refusi, i quali restano intatti mentre vengono decapitati in massa i congiuntivi e l’autore deve lottare per non far riscrivere in italiano “moderno” citazioni virgolettate di autori italiani dell’Ottocento o del primo Novecento.
È noto il caso di un celebre dizionario della lingua italiana di cui si voleva fare una nuova edizione digitalizzata. Occorreva scansionarlo e siccome anche le migliori scansioni producono molti errori, la ditta che aveva avuto l’appalto esterno ebbe l’idea geniale di ripassare il risultato con il correttore automatico italiano di Word Microsoft… Qualsiasi persona ragionevole può immaginare il risultato.
Siamo di fronte a una distruzione di competenze e conoscenze dovuta a molti fattori tra cui primeggiano: l’adozione di criteri di economia ed efficienza totalmente indipendenti da ogni valutazione di merito e che quindi si risolvono in sperperi, inefficienze e prodotti di cattivo livello; l’assunzione di massa di un gran numero di docenti senza verificarne seriamente la cultura e la preparazione, per ragioni meramente sindacali e clientelari, salvo poi lamentarsi quando si legge sul quaderno del bambino che l’insegnante ha dettato: «Oggi la maestra ci ha imparato…» (è autentica).
Non mancano molti altri fattori su cui non possiamo diffonderci. Colpisce il fatto che coloro che hanno ricoperto posizioni di grande rilievo nel campo dell’istruzione o hanno avuto un’influenza decisiva nelle istituzioni e nelle imprese culturali italiane parlino di questo disastro come se si trattasse di un evento naturale, di una grandinata opera del destino cinico e baro. E magari critichino i tentativi di porvi rimedio come una reazione passatista.
(Tempi, 11 settembre 2008)
1 commento:
Sinceramente sono molto deluso da chi, senza nemmeno avere il buon gusto di sollevare una critica circostanziata, in questi giorni alza barricate contro il tentativo di portare la scuola italiana sopra il livello della decenza.
Pensavo che almeno sulla scuola, che porta su di sé l'enorme responsabilità di decidere il futuro di generazioni, si potesse discutere seriamente. E invece no.
Per quanto mi riguarda ho accolto con piacere sia la notizia del ritorno al maestro unico (che fa di necessità virtù), sia il proposito di ridurre le ore di lezione, che ho sempre sostenuto essere in un eccesso tale da diventare deleterie per la crescita di un ragazzo (per molti è quasi impossibile coltivare un qualsiasi interesse autonomo. Attività di grande applicazione quali sport o apprendimento della musica poi sono da escludere a priori).
Potrei annoiarla raccontandole la mia esperienza formativa: le dico solamente che dopo essere entrato con concorso alla facoltà di ingegneria di Palermo, primo su un paio di migliaia, mi sono trovato di fronte una tale mancanza di impegno, di preparazione, di serietà che ancora il mio pezzo di carta non l'ho portato via. La scuola italiana mortifica e azzoppa i "bravi". Ho tutto il mio libretto pieno di trenta, ma ogni esame logora a tal punto la voglia di prepararsi in maniera seria che si finisce per sentirsi protagonisti di una sottospecie di farsa.
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