La morte di Renzo mi lascia sconvolto e incredulo e mi riporta ai ricordi più lontani. Già, perché io e Renzo ci conoscevamo da più di quarant’anni, da quando eravamo entrambi studenti al Liceo Visconti. Lui di un anno e mezzo più giovane di me frequentava un’altra classe ma ci eravamo presto conosciuti perché facevamo parte dello stesso circuito di studenti di sinistra del celebre liceo romano. All’uscita da scuola andavamo spesso a piedi fino alla Stazione Termini, dove ci separavamo: lui prendeva l’autobus verso la sua casa sulla via Cristoforo Colombo ed io tornavo nella mia, vicino a Via Nazionale. Al Visconti, assieme ad altri due amici, Stefano Giolitti (il figlio di Antonio) e Franco Cataldi, avevo messo in piedi un giornale scolastico intitolato “Argomenti e pareri”, su una linea di sinistra molto moderata. Presto Renzo si aggregò alla “redazione” assieme ad altri ragazzi, tra cui alcuni figli di note famiglie di sinistra, come i Lombardo Radice e gli Ingrao. “Argomenti e pareri” divenne la nostra prima esperienza politica e prese un tono sempre più orientato a sinistra, conformemente all’evoluzione di quegli anni che vide l’ingresso nella sinistra comunista di legioni di giovani genericamente antifascisti, come gli aderenti a “Nuova Resistenza”, la quale fu anche un’esperienza comune a me e Renzo. Di recente con Renzo abbiamo rievocato un esilarante episodio avvenuto durante la fondazione a Firenze di “Nuova Resistenza”. Eravamo tutti in un albergo dove alloggiava anche una comitiva di turisti spagnoli. Durante la cena Renzo si levò in piedi gridando in modo stentoreo: «Que viva España roja!». Uno dei poveri turisti si alzò sconvolto e sibilò: «Usted está loco»… Ci siamo fatti molte risate sul nostro estremismo di adolescenti di allora, un estremismo da cui ci allontanammo rapidamente, pur continuando a militare nella sinistra comunista.
Per molti anni ci siamo persi di vista. Quando, nel 1990, Renzo divenne direttore de L’Unità, io ero uscito dal Partito Comunista da dieci anni. Pur a distanza, apprezzai subito la linea moderata e aperta con cui intendeva gestire il giornale e concepiva la sua militanza nella sinistra. Di recente mi raccontò del gelo con cui la vecchia guardia del Partito aveva accolto la sua nomina. Qualcuno – mi raccontò gli tolse persino il saluto. E già da alcuni anni era iniziato il suo cammino verso una posizione di riformismo liberale su cui ci ritrovammo e riprendemmo una frequentazione suggellata da una cena a Trastevere. Fu l’occasione di rivisitare tanti anni passati alla luce di un percorso che aveva tanti punti in comune e di inaugurare iniziative in comune, tra cui ricordo soprattutto un viaggio assieme a Berlino nel 2006 per la Giornata europea della cultura ebraica.
È un grandissimo dolore per me che Renzo sia venuto a mancare, proprio dopo che da parecchi anni si era ravvivato un sodalizio non più soltanto legato alle memorie della prima gioventù, ma alla condivisione di idee e prospettive. Con la sua vita condotta con sincerità e onestà che certamente gli sono costate molte sofferenze se ne va anche un pezzo della vita di chi gli è stato amico.
(Liberal, 12 giugno 2009)
4 commenti:
Non conoscevo la persona, come giornalista e pensatore politico intendo dire. Me ne sono potuto fare un'idea solo in rete, e mi trovo molto d'accordo con quello che ho letto.
Soprattutto quanto ho trovato sul Liberalismo sociale (se davvero il suo pensiero politico era vicino a queste posizioni ovviamente).
Ho trovato anche un articolo in cui lui fa un bilancio del '68 e anche in tale articolo mi ritrovo notevolmente.
Caro professore, sarà per lo stordimento causato dalla triste notizia della morte del suo caro amico Renzo, ma tra la traversata del Mar Rosso (Es 14) e la teofonia del Decalogo (Es 20) ci sono tre mesi di marcia nel deserto.
Comunque si tratta di una vignetta bellissima, capace di alleviare un pò il profondo dolore della perdita di un amico.
Credo che Renzo Foa abbia mostrato come pochi altri intellettuali (per esempio Lucio Colletti) quale poteva essere il percorso maturo, coraggioso, sofferto, ma convinto, di liberazione dagli schemi ideologici e dalla sudditanza derivanti dalla cultura marxista.
Purtroppo intere generazioni non sono state capaci di compiere questo passo sino in fondo.
Schiere di ex-miltanti o simpatizzanti hanno sconfessato l'ideologia comunista senza operare una vera e profonda riflessione critica.
Non sono approdati ad una vera visione liberale in cui con precauzione, modestia e rispetto, si decide di lasciare le domande di "senso" in un contesto diverso da quello, dimostratosi fallace, delle speculazioni ideologiche basate su argomentazioni "razionali".
In molti casi la caduta dei miti rivoluzionari ha determinato uno scetticismo e una disillusione che in definitiva si è tradotta nella assoluta negazione di un "senso" che abbia un significato universale. Insomma, l'approdo nella palude relativista.
Temo tanto che questo tipo di cultura farà entrare dalla porta quello che si era buttato via dalla finestra, l'"uomo padrone di sè stesso", unico artefice del suo destino somiglia tanto al'leroe della mitologia fascista e sovietica....
Lucio Coletti, Massimo Caprara, Ignazio Silone.
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