La discussione sull’ora di religione islamica sta prendendo una brutta piega: quella della confusione. Secondo il senatore Urso l’ipotesi di introdurre l’ora di religione islamica è compatibile con i Concordati del 1929 e del 1984. È vero che, a norma delle intese raggiunte con lo Stato, anche gli ebrei potrebbero avere le loro ore di ebraismo, ma a spese loro. Si continua però a trascurare il fatto che simili intese sono state possibili per l’esistenza di un referente unico – l’Unione delle Comunità Ebraiche – che i musulmani non hanno. Qualcuno pensa di accollare allo Stato il compito di federatore del variegato mondo islamico italiano per darsi un interlocutore? E anche se questa fantasia si avverasse, chi pagherebbe gli insegnanti? Se l’insegnamento fosse a spese della “comunità” islamica non si vede come intervenire nella scelta degli insegnanti, chi ne compilerebbe gli albi. Quantomeno dovrebbero essere create commissioni miste. È facile immaginare quale contenzioso sorgerebbe visto che persino nel caso cattolico la scelta degli insegnanti è di pertinenza del Vicariato. Se invece si decidesse di finanziare gli insegnanti di religione islamica, si creerebbe una inaccettabile disparità con le altre religioni.
Già queste questioni formali mostrano in quale ginepraio ci si sta muovendo disinvoltamente. Poi c’è la questione dei numeri, su cui pure si sorvola e che pone un problema di sostanza pesante come un macigno. Sono i numeri a rendere virtuale il diritto degli ebrei alla loro ora di religione. Anche se il numero dei musulmani in Italia è cresciuto si tratta comunque di una minoranza stretta, distribuita in modo non uniforme, senza contare che non sappiamo quanti di loro sono interessati all’insegnamento religioso. Si pensa di costituire classi di una o due alunni? Quanti insegnanti sarebbero necessari? Oppure si pensa di procedere a un accorpamento dei musulmani in classi in cui siano più numerosi? Ma si è già visto a cosa portino simili concentrazioni. Chi pensa di andare in questa direzione gioca col fuoco del comunitarismo, ovvero della frantumazione della società in gruppi separati. Un’autentica follia.
Poi ci sono le vere questioni di sostanza. Ora, piaccia o non piaccia, non esistono esempi di società dotate di una minima capacità di aggregazione che non abbiano una cultura dominante, il che non significa (o non deve significare) prevaricante. Molti paesi europei sono a cultura cattolica prevalente, altri sono a cultura protestante, la costituzione degli Stati Uniti (il paese “multiculturale” per eccellenza) riflette chiaramente una precisa visione religiosa, Israele ha una cultura ebraica dominante, e persino la città di Salonicco – da cui venne la mia famiglia – aveva una cultura dominante ebraica e quando la perse si dissolse come esperienza originale. Mi sono permesso di avanzare su questo giornale la tesi che sarebbe bene rafforzare, attraverso un ripensamento dell’insegnamento della religione a scuola, le radici giudaico-cristiane caratterizzzanti la cultura storica del nostro paese. Sono consapevole che questo è molto chiedere, ma ora constato che traballa anche la proposta più pragmatica: e cioè che, constatando che il 90% per cento degli alunni ancora frequenta l’ora di religione cattolica, è opportuno non mettere in discussione questa istituzione in quanto espressione di una perdurante religiosità di maggioranza che esprime un fattore identitario prevalente nella comunità nazionale.
Pare che anche diverse autorità del mondo cattolico siano poco convinte di questo. Siamo sinceri. Trovo che abbia ragione Alberto Melloni sul Corriere della Sera a denunciare i limiti dell’ora di religione «che ha fabbricato più agnostici della scuola brezneviana». Aggiungo che ciò deriva anche dal suo carattere equivoco: non un’ora di cultura, ma, si dice, neppure di catechesi. Però è confessionale, altrimenti non sarebbe gestita dalla Chiesa. Il risultato è che, da un lato, continua ad essere prevaricatoria nei confronti degli alunni di altre religioni – anche per le pretese di collocazione in orari centrali; dall’altro, trasmette – anche per il livello di certi insegnanti che nulla sanno di religione e teologia – una religiosità “debole”, e spesso un pasticciato sociologismo buonista o addirittura postcomunista. Proprio per questo a me pare che l’unica soluzione, per quanto difficile, sia quella di un radicale ripensamento dell’ora di religione. Ma, a quanto pare, il fronte della discussione è molto più arretrato. Qui pare che si profili uno strano compromesso tra l’accanita difesa dell’istituzione “ora di religione cattolica” nelle forme attuali, e la concessione di uno spazio analogo alla religione islamica. Insomma, l’orizzonte diventa davvero il comunitarismo, anche se per il momento ci si arrocca, senza entusiasmo né speranze, sulla linea di resistenza di una maggioranza declinante. Se la vedranno i nostri figli o nipoti. Sembra che alcuni cattolici non vedano che su questa linea si schierano anche settori laicisti che sembrano accettare l’idea dell’ora islamica più come ariete contro il primato dell’ora di religione cattolica che per autentica convinzione.
Se questa è la linea che si profila è evidente che essa non può essere accettata passivamente da chi ha a cuore la sopravvivenza, ed anzi la rivitalizzazione su idealità rinnovate e ripensate, dei fondamenti della nostra civiltà – il che non è retorica passatista o arroccamento, ma la volontà di promuovere e sviluppare una visione della società che è stata costruita nei secoli sulla base di una concezione della vita associata radicata nell’etica e nella morale ebraico-cristiana. Fatte salve le differenze teologiche e di pratica religiosa è questo il terreno comune su cui si sono costruiti, attraverso tanti sacrifici i diritti della persona. In questo contesto può trovare posto la presenza musulmana, con l’esclusione però tassativa che si creino zone separate dominate da leggi e regole diverse. L’idea di una società divisa in zone cattoliche, ghetti ebraici e quartieri sotto la giurisdizione della sharia fa rabbridividire. Se questa fosse la tendenza – come fanno temere certi commenti confusi e apatici – e la scuola ne fosse il primo laboratorio, allora la risposta non potrà che essere rigorosamente laica: nessuna ora di religione a scuola, di alcun tipo, ed eventualmente un’ora di storia delle religioni, però tenuta da insegnanti diplomati con un’apposita laurea magistrale e abilitati in una classe ideata allo scopo. Se la tendenza fosse al cedimento verso la società comunitarista, allora questa sarebbe la sola possibile linea di resistenza, la quale potrebbe riscuotere molti più consensi di quanto si pensi. È questo che si vuole? (Il Giornale, 22 ottobre 2009)