In alcuni spiacevoli episodi che mi hanno riguardato, molti hanno fatto ricorso, sui media e in rete, a espressioni di quel tipo. I malevoli le hanno usate per disprezzo, ma altri le hanno ripetute in buona fede, come se fosse normalel
Ricordiamo tutti cosa successe quando Berlusconi definì il presidente Obama «bello e abbronzato»: la fine del mondo. Se avesse usato l’espressione «il nero Obama» sarebbe intervenuto il Consiglio di sicurezza dell’Onu e, se avesse usato l’espressione «il negro Obama», le truppe dell’Onu lo avebbero deportato sull’isola di Sant’Elena. A parte gli scherzi sull’Onu, nessuno può contestare che le due ultime espressioni siano rispettivamente sconveniente ed estremamente sconveniente, diciamo pure razziste.
È legittimo che un africano, motu proprio, dichiari la propria “negritudine” nel senso in cui la intendeva Leopold Senghor: l’insieme dei valori culturali africani. Ma se un altro appiccica l’epiteto a una persona, che magari neppure sa chi sia e cosa pensi, non sta facendo altro che indicare provocatoriamente la sua “razza”. Non è una cosa diversa dire «l’ebreo Tal dei tali». Non credo che il direttore di Tempi apprezzerebbe una lettera che suonasse così: «Non concordo con la tesi esposta su questo periodico dall’ebreo Yasha Reibman». In questi tempi, la riscrittura di un libro sul razzismo fascista mi porta a rileggere documenti di quel periodo: allora era usuale dire «l’ebreo Einstein», «l’ebreo Volterra», «l’ebreo Momigliano». Ma si trattava, per l’appunto, di un linguaggio volutamente razzista, in cui l’indicazione dell’ebraicità era priva di relazione col tema (la fisica di Einstein o la matematica di Volterra) e mirava a indicare: «Quel signore fa parte di quella razza…».
Dire «l’ebreo Einstein» senza alcun motivo non è meno grave che dire «il negro Obama». Nel primo caso manca persino il pretesto di riferirsi a un dato evidente come il colore della pelle. Che gli ebrei abbiano il naso adunco o le labbra spesse è un luogo comune razzista. Racconto un episodio. Mio padre – certamente di “pura razza ebraica” almeno dal Quattrocento – quando era assistente di biologia fu presentato a un noto professore lombrosiano. Gli amici del professore, per stuzzicarlo, lo invitarono a indovinare di quale origine fosse mio padre, che veniva dall’Oriente. Quello lo squadrò davanti e di profilo, di sopra e di sotto e proclamò deciso: «Razza araboide»… Allora un ebreo si identifica dal cognome? Il mio è quasi una bandiera. Eppure mi capita di incontrare persone che credono che io sia cristiano, magari perché ho apprezzato un discorso di Benedetto XVI oppure perché – è accaduto giorni fa – Israel è un nome sacro per un cristiano…
E poi si può essere ebrei per ragioni religiose, per un legame con un’antica identità nazionale (da cui è nato il sionismo), per un legame culturale o soltanto per un legame sentimentale con lontane ascendenze. Si dice che vi sono mille modi di essere ebrei. Spetta al soggetto decidere se identificarsi e dichiararsi in un certo modo; non ad altri, tantomeno usando l’epiteto in un modo che richiama il razzismo di un tragico passato.
Ebbene, alcuni recenti spiacevoli episodi che mi hanno riguardato, su cui non voglio tornare e per i quali ho ricevuto molta solidarietà, hanno lasciato qualcosa di assai spiacevole sul terreno. Si tratta del fatto che molti abbiano fatto ricorso, sui giornali e in rete, a espressioni del tipo «l’ebreo Giorgio Israel», «un ebreo come Giorgio Israel», e via di seguito. I malevoli le hanno usate con tono evidentemente sprezzante, altri le hanno ripetute in buona fede come se fosse del tutto normale.
Ora, chi segue questa rubrica sa che non sono affatto indulgente nei confronti del politicamente corretto. Ma, in coscienza, come si fa a non trovare inquietante che un simile modo di parlare entri nel linguaggio comune?
(Tempi, 22 ottobre 2209)
18 commenti:
Caro Professore,
concordo con il suo disagio, purtroppo in Italia c'è quest'antisemitismo strisciante che è molto difficile da superare anche perché non ne viene colta la piena portata razzista
tanto per dire non le dico le volte che mi sono litigato per l'uso leggero e disinvolto di "rabbino" come termine dispregiativo.
Cordialmente, Fabio Milito Pagliara
"....come si fa a non trovare inquietante...."
Sì, è molto inquietante. Io ho vissuto gli anni delle seconda guerra mondiale e ho conosciuto l'uso dell'appellativo "ebreo" al modo in cui lo indica lei, quindi è da molti anni che guardo con grande apprensione alla leggerezza con cui la sinistra sta sottovalutando, peggio, ignorando, questo problema, che non è certo evitato da tutti i sottili distinguo tra "ebreo", "israelita", "israeliano", "sionista"che gli intellettuali (ma essi soltanto) fanno.
Cordialmente Laura
Egregio Professore, in questo periodo di crisi e di pessimismo mi vien da dire che l'antisemitismo velato - ma... mica tanto velato - è forse la carta di tornasole che segnala quando mala tempora currunt.
In un'altra Nazione europea, pochi anni fa, sono stato chiamato “italiano” con disprezzo. Considero che sia stato un episodio men che irrilevante e sporadico, essendomi io imbattuto in un poveraccio: ciò nonostante, anche se è contro ogni logica, ricordo tuttora vivamente l'episodio e con qualche amarezza.
Abbiamo visto sulla stampa - e anche qui - commenti che “sdrammatizzavano” vicende Sue e non Sue di recente accadimento. Io vedo invece queste vicende come preoccupanti avvisaglie. Certi giudizi, affrettati, distratti, superficiali, così sbrigativi da sembrare piuttosto liquidatori, sono sottovalutazioni che, inconsapevolmente e purtroppo - qui il dente mi duole - pure consapevolmente, sopiscono e portano fuori strada.
Al limite, a caldo e quando può far comodo, alcuni fanno quel minimo di “ammuìna” per il politicamente corretto (un concetto peraltro variabile a seconda), per poi riprendere serafici come prima più di prima.
Bene: egregio Professore, ricordo un mesetto fa in quanti eravamo insieme con Lei tutti ebrei; qualcuno al più solo in solidarietà limitata, una partecipazione - al mio palato - di pungente sapore brezhneviano. Ma forse ricordo male, già allora non eravamo abbastanza.
Comunque, saltando di palo in frasca con quella levità fuori luogo che mi piace stigmatizzare negli altri, invio a Tempi ed a Lei i più sinceri auguri di lunga vita: Le va bene se facciamo fino al 22 ottobre del 2209?
Prof. Israel, è chiaro che chi aggiunge al Suo nome inequivocabile l'aggettivo o il sostantivo ebreo lo fa con intento spregiativo. Più che di razzismo, penso che qui si tratti banalmente di stupidità. Ricordo che Indro Montanelli negava che gli italiani fossero razzisti, essendo stati abituati da secoli di storia ad adulare lo straniero padrone a casa loro. Il vero razzismo, secondo lui, era caratteristica dei popoli del Nord Europa, quindi di origine germanica. Secondo me l'antisemitismo italiano non è autoctono, è più un prodotto d'importazione o uno scimmiottamento di quello nazionalsocialista. Un esempio tra tanti: il "fascista" Giovanni Gentile si era valso di un gran numero di studiosi "ebrei" per la redazione della sua Enciclopedia Italiana Treccani.
Pio XI, a chi gli chiese, mandatogli evidentemente da Mussolini, che anche la Chiesa di Roma favorisse le leggi razziali di Hitler rispose: «Noi siamo spiritualmente degli ebrei» (1938). (Citato da un intervento di don Luigi Giussani del 2 gennaio 1999).
Per l'appunto. Da cristiano, credo di avere questo onore.
Un nota bene: si veniva chiamati "italiani" con disprezzo anche nel Sudtirol/Alto Adige, e da gente di cittadinanza italiana e lingua tedesca... Salvo poi essere trattati con simpatia e benevolenza appena passato il confine del Brennero, o di Prato alla Drava (è per me storia di due mesi e mezzo fa).
Caro Giorgio Israel, è evidente l'uso del termine "ebreo" dal tono generale e dal contesto in cui viene usato.
Se per esempio un suo collega, che certo non esiste, dovesse per caso ridare indietro un premio solo perché lo stesso anche lei ha ricevuto, in questo caso se il collega, che certo non esiste, dovesse aggiungere al suo nome "l'ebreo Giorgio Israel" si tratterebbe sicuramente di un uso dispregiativo.
Però detto così l'esempio è pura accademia perché reputo molto improbabile che un collega possa mai fare un uso così scorretto delle parole e macchiarsi di così insano gesto!
Non facciamo finta che noi italiani siamo brava gente.
L'antisemitismo è un tratto che fa parte della storia italiana come di quella europea, il ghetto a Roma è stato chiuso nel 1870 ma l'Italia né è stata piena nei secoli precedenti.
Negare che questi elementi di razzismo esistano nella nostra storia e cultura credo sia il modo migliore per ritrovarsi davanti il problema.
Bisogna vigilare, denunciare e sviluppare un diverso modo di guardare alle diverse tradizioni culturali che non sono qualcosa di monolitico ma un insieme di suggestioni che tra le altre cose formano i singoli individui. Io non sono semplicemente "Salernitano" ma sicuramente l'essere nato, cresciuto e vissuto tra Napoli e Salerno mi ha intriso di un certo tipo di cultura e tradizioni che si saranno andate a mischiare con il percorso di studi, il lavoro, le letture, ecc ecc
Voglio dire se guardiamo agli altri come individui e a noi stessi come individui (con tutte le loro contraddizioni tra cui a volte un razzismo latente) forse riusciamo ad evitare i problemi peggiori di questi rigurgiti razzisti.
cordialmente Fabio Milito Pagliara
Sull'atteggiamento degli intellettuali italiani (e scienziati italiani) riguardo al razzismo e all'antisemitismo, cfr. - scusate l'autocitazione - Israel, Nastasi, "Scienza e razza nell'Italia fascista" (Il Mulino). Temo che sia esaurito. Fra non molto sarà disponibile una nuova edizione completamente rifatta che sto terminando proprio in questi giorni.
Caro Prof.Israel,
spiace davvero constatare ancora una volta la brutta abitudine di utilizzare la identità nazionale o culturale come criterio per attribuire un merito o un demerito alle persone o alle loro idee, anziché ragionare serenamente sul loro pensiero o azione.
Questo è certo solo uno dei tanti espedienti retorici che vengono sfruttati, più o meno consapevolmente, da chi desidera dimostrare una tesi ad ogni costo; ma è indubbiamente uno fra i più odiosi.
Concordo con chi scrive che ciascuno di noi è figlio di una storia complessa che è la ricchezza dell'umanità; una storia che dobbiamo rispettare e anzi apprezzare in ciascuno, ma che non deve mai nutrire pregiudizi.
Cordialmente
Andrea Viceré
Buona sera, se l'aggettivo ebreo è usato in senso razziale, sono dalla Sua parte nel condannare ogni considerazione.
Personalmente sono sicuro che non esista la razza ebrea come qualsiasi altra divisione razziale tra gli uomini.
Si potrebbe anche però usare una connotazione religiosa della parola ebreo cioè l'uomo appartenente al popolo eletto.
Io per esempio, tra amici, ho parlato di Lei come ebreo, con ammirazione, come di me o un altro avrei parlato di cattolico.
Non penso che così sia offensivo o no.
La apprezzo per il coraggio.
Pierdamiano Ferro
Per me la parola "ebreo" è bellissima e speciale.
Quando io specifico che un tale è ebreo, lo faccio esaltandone un connotato che gli rende molto onore.
Mi sento debitrice verso il popolo ebreo e penso che lo siamo tutti.
Quindi questi discorsi mi suscitano più tristezza e sconforto che rabbia.
Quando uso la parola "marocchino" lo faccio in modo speciale perché tutti si arrabbiano?
Quando appello le amiche con "donna" invece che per nome nonostante il riferimento all'eterno si arrabbiano come mai?
Quando riducono la mia individualità a "meridionale" spesso non c'è il richiamo ai fasti dell'antica grecia ed è facile equivocare.
Non è così semplice dare un valore positivo a parole che sono spesso connotate negativamente, quindi o ogni volta si specifica l'uso e la volontà di quell'uso o è meglio evitare.
cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Provo a essere schematico. Esiste un pregiudizio popolare nei confronti dell'ebreo (ne esiste anche uno “colto”: quello politicamente e ideologicamente schierato).
Nella costruzione di questo pregiudizio, la chiesa medievale (e non solo questa) ha avuto le sue colpe, rispetto alle quali la chiesa contemporanea ha ripensato le proprie responsabilità e ha chiesto perdono, evocando per i cristiani, riguardo agli ebrei, “fratelli maggiori”, un giudizio, non più prevenuto, rispettoso della co-appartenenza (la fratellanza) e della loro autorevolezza (una maggiorità, comunque sia intesa).
Tuttavia, com'è ovvio, il pregiudizio popolare rimane. Il pregiudizio si nutre del non sapere, va per sentito dire e si ripropone come un sentire. In certi ambientacci, culturalmente sottosviluppati, capita ancora di ascoltare qualcuno che offende un altro chiamandolo “ebreo”. Se vai a chiedergli che ha contro gli ebrei, non sa che dire, boh. Ciononostante, gli piace dirlo.
Contro il pregiudizio, ci vuole educazione: l'ignorante va educato, nel sapere e persino nel sentire. Questo dovrebbe essere compito della scuola. Cosa fa la scuola contro il pregiudizio nei confronti dell'ebreo? Gli insegnanti cosa sanno e cosa trasmettono della cultura ebraica, della letteratura, dei musicisti, della filosofia, etc.? Se la parola “ebreo” non la si riempie di contenuti, di umanità, il vuoto resta aperto ai pregiudizi della barbarie.
Nella giornata della “memoria”, oltre a ricordare l'orrore, bisognerebbe, come un dovere, aprire finestre sul mondo ebraico. Io, in quella giornata, ad esempio, leggo ai miei alunni qualche racconto chassidico, o spiego una pagina di Giobbe, o faccio ascoltare una Suite di Bach eseguita da Mischa Maisky. E dico: “questo è ebreo”. Cerco, così, di fare il mio dovere di insegnante, di estrazione cattolica, contro il pregiudizio popolare.
Barbara,
mi piacerebbe avere a scuola colleghi come lei. :-)
Mi verrebbe da citare la faccenda del milanese eguale baggiano a Bergamo, faccenda di cui tratta il Manzoni nel dialogo tra Renzo e Bortolo poco dopo che il primo ha abbandonato (e in che modo...) lo Stato di Milano.
Ci sono gli sfottò tra cesenati e riminesi, o tra bresciani e bergamaschi; i "franceschi" di cui Forlì fece "sanguinoso mucchio" (Dante) erano in parte faentini (e non è che oggi le cose siano migliorate di molto). Castel Bolognese nacque per la cura dei bolognesi (da cui il nome) nell'imporre la fine delle continue guerre tra Imola e Faenza...
Voglio dire che l'Italia è sempre eguale a se stessa.
Egregio professore, le esprimo con simpatia la mia solidarietà; è per me evidente che quando ci si rivolge a qualcuno chiamandolo l'ebreo tal dei tali, l'appellativo ha un senso dispregiativo. Purtroppo l'antisemitismo è abbastanza diffuso in Italia, a chi non crede che sia così, vorrei solo ricordargli che all'università "La Sapienza" di Roma c'è un professore che per affermare la libertà di pensiero nega la Shoa.
C'è molta indifferenza sulla storia e sulla vita degli ebrei in Italia, ma c'è anche molto antisemitismo. Cordialmente.
Stimatissimo professore, sono un'insegnante di scuola media e sono scandalizzata dall'uso che i giovani fanno della parola "ebreo" come insulto, insieme a "marocchino", "negro" "barbone". Trovo inquietanti soprattutto il tono bonario, quasi affettuoso,e l'espressione amichevole che accompagnano questi "insulti".
Suggerisco di leggere nelle "Lettere di Berlicche" la dissertazione sulla viltà e sullo scherzo. È istruttiva quanto al "tono bonario" di cui la gentile Maria Grazia Puppo riferisce.
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