E tanto di cappello a Napolitano, uno dei migliori Presidenti della Repubblica che abbiamo avuto
La maestra resiste imperterrita alle richieste dei genitori di far indossare ai bambini il grembiule. È una questione di ordine, di pulizia, di omogeneità nel vestire, di decoro… Gli argomenti passano come acqua sul vetro. Il rifiuto poggia su obiezioni di questo peso: il grembiule si impiglia nella sedia quando i bambini si alzano… Allora tanto vale mandarli a scuola nudi. Sorriso-smorfia cui segue una lunga lamentazione sulla maestra compresente che non c’è più e sulla disgrazia del maestro unico. Nella stessa classe – è un esempio, le testimonianze di questo tipo si ripetono – la maestra rifiuta il minuto di silenzio nel giorno dei funerali dei soldati uccisi a Kabul. «Sono troppo piccoli. Non capiscono, non capirebbero». Non ci crede neanche lei. Forse non ha capito il piccolo Simone Valente, anche se è stato giustissimo portarlo al funerale e mettergli in testa il basco del padre: un giorno, quando rivedrà quella foto, avrà una stretta di commozione e di amore al pensiero del padre e un moto di riconoscenza per chi gli ha lasciato quel ricordo prezioso. Forse non capisce un bambino di due anni, ma uno di sei, sette, otto anni capisce perfettamente. Non ho forse capito tutto io, alla morte di mia nonna – la prima morte che conobbi – all’età di sei anni? E non ho avuto presto, molto presto, una risposta alla domanda del perché la mia famiglia paterna fosse tanto vuota? Molto presto ho saputo dello sterminio che l’aveva fatta sparire. Non è stato affatto un errore. Al contrario. È servito a farmi crescere, a rendermi responsabile, a capire il male e il bene.
Tutti i bambini d’Italia debbono sapere che il padre del piccolo Simone e i suoi cinque colleghi sono morti per tutti noi, facendo il loro dovere da persone oneste, da cittadini esemplari, sacrificandosi per la democrazia e per la libertà. Invece, c’è chi vuole che questo non si sappia e neppure si dica. Perché? Semplicemente perché stanno dall’altra parte. Se sono sfrontati dicono che i militari italiani erano «mercenari», oppure che onorarne la memoria è «buttarla in retorica», se sono ipocriti si nascondono dietro scuse di psicologia infantile da strapazzo. Comportarsi così di fronte alla morte – e quale morte! –, avere persino il coraggio di oltraggiarla, schernirla o ignorarla, è una violenza senza pari che solo il fanatismo ideologico può produrre. Tanto più grave se proviene da funzionari pubblici, pronti a rivendicare l’autonomia soltanto quando si tratta di propagandare la propria ideologia. Il peccato veniale di opporsi al grembiule e quello mortale di opporsi al minuto di silenzio sono collegati da due fili rossi: l’essere un funzionario infedele e un’ideologia.
È un’ideologia che ha radici lontane. Un tempo si denigrava il tricolore – infangato dal fascismo e dalla retorica nazionale, si diceva – e gli si offriva come sola salvezza l’accoppiamento con la bandiera rossa. Oggi, che quasi nessuno ha il coraggio di credere alla seconda, si vuole stemperare il tricolore nello stendardo multicolore del pacifismo – quello sì espressione di una retorica bolsa. Il filo rosso di questa ideologia è l’odio di sé, l’idea che noi siamo oppressori imperialisti che debbono far penitenza, che la nostra civiltà fa schifo. Prima si voleva distruggerla rigenerandola con la rivoluzione comunista, oggi si vuole distruggerla consegnandola mani e piedi legati al terrorismo e alla “civiltà” talebana. L’ideologia pacifista si trasforma in spietata indifferenza di fronte alla morte di persone che hanno fatto nobilmente il proprio dovere. È raccapricciante l’idea che i nostri figli possano essere consegnati alle cure di simili “educatori”.
(Tempi, 1 ottobre 2009)
78 commenti:
Buongiorno, ho scoperto il suo blog cercando chi fosse questo "Giorgio" che aveva fatto infuriare "Piergiorgio". Bhe, ho scoperto un blog molto interessante, che mettero tra i "segnalibri" (i preferiti di Firefox).
Complimenti anche per queso post sui ragazzi morti a Kabul.
Corrado
PS
Una domanda: in altri post le esprimono solidarietà perchè è stato definito "l'ebreo Giorgio Israel". Ora è chiaro l'intento dispregiativo, ed antisemita, con cui è stato usato l'aggettivo "ebreo" ma non è paradossale che le venga espressa solidarietà per questo ? Quasi che anche chi le esprime solidarieta considerasse la parola "ebreo" come un offesa di per se (ovviamente senza rendersene conto).
No, non è paradossale. È come se si dicesse "il negro Obama": detto così ha intenzione offensiva. Come facevano i fascisti quando dicevano "l'ebreo Einstein". Giustamente chi esprime solidarietà stigmatizza l'uso offensivo dell'espressione e non l'aggettivo di per sé.
O volendo dirla in altri termini "La paura della verità" (bel libro di Boghossian) ovvero la paura di fare valutazioni sul giusto e sbagliato che è un modo come l'altro per negare qualsiasi tentativo di dialogo, che come affermava tempo fa sul sole24ore la De Monticelli si distrugge tanto pensando di possedere una verità assoluta tanto negando l'esistenza di una qualche verità là fuori.
In sintesi direi il terrore matto di pensare a favore di usare categorie pre-pensate (una sorta di pensiero omogeneizzato), triste.
Libertà d'insegnamento significa poter spiegare liberamente una pluralità di opzioni non d'imporle ai bambini in forza della propria autorità.
cordialmente, Fabio Milito Pagliara
D'accordo Pagliara, ma l'osservanza di un minuto di silenzio in onore e a memoria dei nostri soldati fa parte di una "categoria pre-pensata omogeneizzata" o è un dovere a carico di tutti gli insegnanti del nostro sistema statale?
Che ipocrisia parlare di libertà di insegnamento per evadere il dovere civile, morale e umano di educare i nostri alunni!
E' stata perfino introdotta la disciplina "cittadinanza e costituzione" e si rischia ancora una volta di ridurla ad una serie di regolette su come non inquinare l'ambiente, come comportarsi adeguatamente in strada, come rispettare tutti gli altri tranne noi stessi...
Invece onorare dei morti con un minuto di silenzio sarebbe un'imposizione dall'alto...
Egregio Pagliara, non riesco ad accostare il minuto di raccoglimento ad una opzione da spiegare liberamente, una opzione poverella - queste parole sono io che le dico - quasi indistinta e sperduta nel mare della pluralità, senza provare una amarezza acuta e profonda.
Abbia pazienza, mi girano le scatole: pensi che nella scuola circolano opzioni liberamente spiegate come quelle delle maestre listate a lutto davanti ai propri scolari, o quelle dei bambini iirreggimentati e magari pure mascherati in manifestazioni per uso e consumo proprio.
Non diamo nessun appiglio attenuante a queste misere porcate, che pretendono di camuffare la loro feroce ipocrisia con discorsi di superiore equilibrio, di saggia esperienza, di delicatezza di sentire, e - pensi un po' - di libertà.
Istintivamente mi sono sentito subito dalla parte delle maestre che non hanno celebrato il minuto di silenzio, pur non condividendo le loro motivazioni come descritte dal Professore. Poi ci rifletto e cerco di capire perchè un omaggio che non avrei nessuna difficoltà a chiedere alle mie classi di liceo non penserei mai d’imporlo a ragazzini piccoli. E ci arrivo: non è che son troppo piccoli per capire, quel che succede ai nostri militari impegnati all’estero è tutti i giorni in tavola, per capire capiscono. Però non hanno alcuna facoltà di farsene un’idea propria, di nessun genere, come è naturale a quell’età. Personalmente rifuggirei perciò dal fornirgliene una mia, fosse pur buona e santa come gli onori ai nostri soldati. Diventerebbe la loro, senza possibilità di critica e ragionamento. Li vorrei anch’io rispettosi dei caduti, ma che ci arrivassero da sè, come dice Fabio, non per dovere istituzionale calato dall’alto.
Piuttosto: perchè non s’insegna ai grandi a rispettare davvero il minuto di silenzio? Il nostro credo sia l’unico paese al mondo dove invece si applaudono freneticamente le bare, non riusciamo a esser seri neppure lì.
Dissento nel modo più assoluto.
Proprio perché sono piccoli bisogna farlo!!!
Ma insomma, è naturale (spero...) insegnare che non si fa la cacca per terra, non si rutta a tavola e non si dicono parolacce e non è naturale insegnare il principio elementare che si deve portare rispetto ai morti, soprattutto se sono morti compiendo il dovere assegnato loro dalla comunità nazionale?
Ma a quale punto siamo arrivati, col relativismo e la pretesa libertà di scegliere? Cosa c'entra il dovere istituzionale calato dall'alto? Sarebbe forse sensata l'"opzione" per cui metà della classe sta in silenzio per un minuto e l'altra accompagna il silenzio spernacchiando?
Davvero deprimente....
Perfettamente d'accordo professor Israel: ormai adulti, educatori e persino genitori abdicano al loro ruolo di faro per le nuove generazioni, giustificandosi con la cosiddetta "libertà", che altro non è se non un relativismo che ha raggiunte vette poco immaginabili fino a solo 10 anni fa. E temo che la scalata non sia ancora finita...
Esiste un razzismo che discrimina per età. Siamo tornati all'impero romano, oppure a Sparta? I bambini sono "esseri inferiori" perché "non sanno ancora"? O siamo noi adulti che, forti della nostra "maggiore età", ci illudiamo che condividano il nostro rimbambimento? Capiscono, capiscono. E ci giudicheranno. Anch'io dissento, professore.
Il relativismo nichilista che descrive Nautilius è lo stesso a cui tiene tanto la nostra scuola e tutta la nostra società, spacciandolo per libertà di scelta.
Al corso di preparazione al concorso magistrale mi facevano imparare che bisogna trasmettere un sapere sganciato dai valori particolari, in modo tale che l'individuo da adulto possa scegliere liberamente il punto di vista da cui guardare la realtà.
In questo modo, lo possiamo constatare tutti benissimo, crescono e si moltiplicano in modo esponenziale i giovani scettici, tristi, devianti, senza amore per niente e per nessuno.
Perché non sono stati educati.
L'educazione fiorisce dove l'alunno può guardare un maestro che gli indica la strada. Solo nell'imitazione di un adulto vero il bambino impara veramente, perché cresce dentro ad un'ipotesi di senso della realtà. E soltanto se è così attrezzato, quando diventerà un ragazzo, potrà valutare criticamente quanto appreso per sceglierlo o rifiutarlo.
Carissimi,
forse mi sono spiegato male dando per scontato che non fare il minuto di silenzio fosse qualcosa di assurdo.
Quello che dicevo è appunto che non si può approfittare della propria autorità per imporre i propri convincimenti ovvero "non far fare il minuto di silenzio", i motivi che si sono addotti sono tutte razionalizzazioni di chi ha eluso il proprio dovere, così come chi è contrario al grembiule, in nome di pensieri pre-confezionati.
Allo stesso tempo dicevo che tutto si può usare come spunto per approfondire e spiegare, se ci fossero state domande sul perché di quel minuto le maestre avrebbero potuto spiegare che era per rispetto ai soldati morti mentre facevano il loro dovere.
Gli autori che ho citato sono tra i più acerrimi nemici di relativismo e dogmatismo, il relativismo assoluto asserendo che tutte le opinioni sono uguali di fatto le annulla tutte (e allora a che scopo dialogare? senza contare il banale problema che mette questa sua verità al di sopra delle arte senza possibilità di confutazione) il dogmatismo asserendo che la sua versione è l'unica verità uccide il dialogo allo stesso modo.
In definitiva se invece si parte dalla semplice constatazione che come esseri finiti e limitati non siamo in grado di possedere la verità ma possiamo discutere di tutte le opzioni possibili con la forza delle nostre argomentazioni (evitando quindi tutte le fallacie che si possono commettere in un ragionamento) allora il dialogo diventa l'unica opzione possibile e plausibile.
Cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Per come la penso io ha già detto molto Barbara. Vorrei aggiungere che il relativismo può essere solo un metodo per dialogare e confrontarsi facendo scendere dal piedistallo le proprie convinzioni. Invece si pretende di insegnare ai nostri ragazzi che valori, convinzioni, ideali sono svincolati dalla nostra storia, dalla nostra cultura e dal nostro vissuto personale e che non ha senso tramandarli. Vogliamo indurre le nuove generazioni a servirsi in un supermercato in cui le visioni della vita sono merce esposta sugli scaffali senza avergli prima trasmesso con autorevolezza un criterio di scelta. Sceglieranno quello con più pubblicità (ingannevole) o non ne sceglieranno alcuno perchè gli avremo inculcato che, alla fin fine, sono tutte equivalenti. Per i nostri giovani questo è veleno puro. E'l'ideologia alla base della TV commerciale ma pochi lo fanno notare. L'errore gravissimo che fa agliara è pensare che l'adulto non debba "approfittare" della sua Autorià. Al contrario è un dovere esercitarla (con ragionevolezza) perchè è un fondamente insostituibile del processo educativa, è un delitto spogliarsene. Pensandoci bene gli facciamo un ulteriore torto privandoli della possibilità di ribellarsi, privilegio di cui la mia generazione ha usufruito abbondantemente.
Ecco, la liberaldemocrazia ha i suoi inconvenienti. In un regime illiberale quelle maestre sarebbero immediatamente affidate ad altro incarico, nella migliore delle ipotesi, licenziate in tronco dal direttore della scuola, nel caso più frequente. Così succedeva, per esempio, in Ungheria prima dell'89. Ma hic et nunc che si può fare? Niente, purtroppo. Nel liceo dove ho insegnato per 8 anni, quando la regione ha invitato i docenti a ricordare la storia raccapricciante delle foibe, c'è stata una rivolta degli insegnanti di storia, con tanto di manifesto pubblico, contro l'"indebita" ingerenza della politica nella libertà d'insegnamento.
Vede, Professore, quello che Lei ha detto nell'ultima replica è giustissimo. La cosa che rattrista è il doverlo dire. Prima del Sessantotto non ce n'era bisogno. Non è che "ai miei tempi tutto era più bello". E' che dagli anni '66 - '68 in poi l'educazione pare diventata un optional. E certi politici, certi (pseudo-)intellettuali, certi personaggi dello spettacolo ce ne danno ogni giorno una prova. E a volte la maleducazione è ricercata per avere, come si dice oggi, "visibilità".
Caro Attento,
concordo!
Il punto è proprio che non è vero che siccome non abbiamo verità assolute tutte le ipotesi sono ugualmente valide, non è vero che non dobbiamo andare fieri delle conquiste delle democrazie occidentali, non è vero che possiamo giustificare tutto in nome di un malinteso rispetto verso l'altrui cultura, anche perché le culture non sono qualcosa di dato una volta e per sempre ma sono qualcosa di vivo in cui siamo nati e cresciuti e da cui attingiamo per confrontarci con problemi sempre nuovi (a volte posti da altre culture, a volte posti dalle innovazioni tecnologiche ecc) ma appunto sono strumenti da usare per argomentare per orientarsi non qualcosa di dato e immutabile.
Professori di storia che non vogliono parlare delle Foibe? Che facciamo la storia a pezzetti e che comprensione ci può essere del presente ignorando il passato? Bisogna confrontarsi con tutto il nostro passato senza timore dei momenti brutti.
Carissimi,
mi dichiaro subito: sono di sinistra. Così comunichiamo meglio. Sono di sinistra e insegno alla scuola primaria: con i miei bambini ho sempre lavorato su argomenti un po' scomodi come le foibe (ci sono state), l'olocausto (c'è stato), le tensioni in Medio Oriente (ci sono ancora), le ultime guerre che hanno visto coinvolto in qualche modo il nostro Paese (ci sono state e ci sono ancora). Questo nonostante si sia voluta sottrarre la storia moderna e contemporanea alla scuola primaria; ma non c'è divieto del resto ad approfondire questioni che non hanno perso d'attualità. Gli argomenti sono certo ostici per bambini piccoli; ma nessuno di loro vive sotto una campana di vetro. Molti ascoltano i telegiornali in famiglia e i commenti dei genitori e si fanno comunque una propria idea: su questo è possibile costruire un confronto tra loro e una ricerca di informazioni che molto spesso conduce a conclusioni che l'adulto non è in grado di prevedere, soprattutto se non vuole "predeterminare" una tesi.
Molti interventi critici si rifanno ad una certa sinistra che a mio avviso è sempre più minoritaria nel paese; mai troppo minoritaria, visto che è rappresentata anche in cattedra e fa danni gravissimi (potrei fare esempi anche più signifdicativi di quelli citati). Vi segnalo che esistono sensibilità professionali diverse e io cerco di rappresentarle con dignità. Sono perciò in disaccordo con chi contesta il minuto di silenzio per i caduti in Afghanistan (e non solo perchè oggetto di una circolare ministeriale che costituisce obbligo di servizio); con chi fa sottili distinguo sulla questione foibe (troppo a lungo trascurata) o sul conflitto arabo-israeliano: mi sembrano modi scorretti di esercitare la libertà di insegnamento. Il lavoro sui valori etici della nostra società (ce ne sono ancora) implica la discussione con i bambini e con le famiglie su come veicolarli, come discuterli anche con bambini piccoli e credo che nessun argomento sia una "riserva protetta" da motivi ideologici o di opportunità.
Ed eccoci al relativismo; ho avuto la possibilità di svolgere qualche docenza a contratto nell'Università nei corsi di laurea per futuri maestri e prima che relativismo, ho constatato conformismo didattico e pedagogico, una pericolosa tendenza a rifuggire dalla responsabilità educativa che dovrebbe essere propria di qualunque insegnante in qualsiasi livello di scolarità. Il conformismo più che condurre al relativismo conduce all'indifferenza, il terreno di coltura di ogni totalitarismo e/o di ogni pensiero unico o "debole". E di indifferenti, e formalisti, e cavillosi, si sta popolando la nostra società e ovviamente anche la scuola e senza distinzioni di schieramenti.
Per chiudere, e mi scuso per la prolissità ma apprezzerete che intervengo di rado, la riforma Gelmini non mi entusiasma e non starò a raccontarne i motivi (che non sono politici ma professionali); ma ho la responsabilità di una prima con bambini di 5 e 6 anni e credo che il mio compito sia di far funzionare al meglio possibile la didattica e le attività educative al di là delle mie personali convinzioni. Credo perfino che l'unico aspetto che offre opportunità a una riqualificazione della scuola sia l'insegnante prevalente (compattezza del progetto educativo, interdisciplinarità esercitata veramente, unitarietà del sapere tra l'altro):
ho dunque dichiarato brevemente (bisogna sempre dichiararsi, mi hanno insegnanto i greci) alle famiglie la mia perplessità professionale sulla riforma in assemblea, lasciando la questione subito in disparte per dedicarci insieme alle possibilità che anche le nuove norme offrono per costruire il percorso dei bambini. Afghanistan compreso.
Cari saluti a tutti, Vincenzo Manganaro
Io quando sento parlare di “relativismo” metterei mano alla pistola...:-) per carità, esisterà pure questo relativismo deteriore per il quale tutti i valori hanno uguale dignità, tutte le idee son rispettabili e tutte le usanze, anche le più rivoltanti, vanno accettate in nome della diversità fra le culture. Ma ormai qualunque accenno a capire anche le posizioni altrui ti attira l’anatema: “Ecco dove ci conduce il relativismo!” A forza d’esser relativi si diventa indifferenti, ma non esserlo per niente porta dritto all’intolleranza.
Comunque a mio avviso il punto l’ha centrato Attento (ciao A., come stai?): “L'errore gravissimo che fa Pagliara è pensare che l'adulto non debba "approfittare" della sua Autorità. Al contrario è un dovere esercitarla (con ragionevolezza)” Bravo, non potrei essere più d’accordo, il problema è proprio questo: esercitarla sì, ma fino a che punto e in quali circostanze?
Ho frequentato le elementari quando l’indottrinamento patriottico era la regola: il sussidiario si chiamava “Piave” e recava l’immagine di un soldato italiano all’attacco col ’91 e la baionetta in canna e la Vittoria alata che lo sovrastava...il Direttore ogni lunedì ci faceva cantare gli inni: “Monte Grappa tu sei la mia patria” ecc. Era bello. Il maestro (ottima persona, insegnante nato) ci instillò un odio per gli austriaci di cui ho fatto fatica a liberarmi...per i tedeschi no, era fascista quindi si fermava a parlare della Grande Guerra, la Seconda con i suoi disastri non esisteva. (Ma questo l’ho capito molto dopo.)
Era giusto? Era sbagliato? Era semplicemente finalizzato a far nascere l’amor di patria, e funzionava benissimo, a quell’età bevi qualsiasi cosa ti somministrino. A me non piace somministrare, nemmeno per nobili scopi.
Dice il Prof. Israel:” Non è naturale insegnare il principio elementare che si deve portare rispetto ai morti?” Assolutamente sì, insegnarlo, cosa che io trovo un poco differente dal pretendere “un minuto di silenzio” da dei bambini. Caro Attento, imporre il lutto per Autorità, come quando si impone che non si rutti in classe, a me non pare una buona idea. I rutti NON LI FAI e non devo spiegarti perchè, il “minuto di silenzio” ne parliamo, invece. E poi magari lo rispettiamo, perchè non dovremmo? E chi non ci sta se ne sta buono buono, democraticamente.
Per me, avrei chiesto un minuto di silenzio anche per gli operai della Thyssen e due minuti per Quattrocchi che per un istante fece rispettare il nome dell’Italia, a carissimo prezzo per lui purtroppo.
Mancando di pratica, ricordando le mie elementari, ho pensato che parlarne con dei bambini non si potesse senza subornarli un po’, ma l’intervento finale di Manganaro mi fa ricredere del tutto: se ne parli e si faccia il silenzio, non tanto in nome dell’autorità ma dei “principi elementari” evocati dal Prof. Israel, che vanno, giustamente, “insegnati”, e prima si può farlo meglio è.
Cordiali saluti.
E’ stato doveroso osservare il minuto di silenzio per i nostri Caduti a Kabul, ma è stato commovente ed eloquente il silenzio dei miei alunni, composti e seri in quel momento solenne; alunni che hanno capito il sacrificio di quei soldati, alunni che ricorderanno di averlo rispettato.
Egregio Nautilus, diamoci una calmata. La battuta del metter mano alla pistola non mi fa ridere per quello che evoca. E poi, se il relativismo ha su di lei questi effetti si procuri una bomba H a effetto spaziotemporale visto che la prima confutazione radicale del relativismo l'ha fatta Aristotele.
Badi che in Turchia è villano non ruttare dopo un buon pasto e in Cina si sputa per terra: un mio collega matematico che non lo sapeva stava per venire alle mani con gli studenti dell'università che gli sputavano tra i piedi mentre faceva lezione. Quindi se lei dice non si rutta e basta è un autoritario... Farebbe meglio a spiegare le ragioni culturali di questa nostra regola. Mentre il rispetto ai morti è assai più universale (e lasci perdere le strampalate distinzioni tra rispetto e minuto di silenzio).
Quindi quel che è una regola di costume per lei diventa un fatto da imporre d'autorità, mentre un principio morale è un'opzione da spiegare... Bel risultato. Forse le conviene riflettere proprio sul relativismo perché mi sa tanto che lei ha perso la trebisonda.
Mi sembra che qualcuno consideri un blog come una palestra di dialettica, mentre dovrebbe essere un pacato scambio di opinioni tra i lettori e il Titolare del blog. Per articoli e brevi saggi ci sono altri luoghi. Il post chilometrico ottiene due risultati negativi: fa perdere tempo a chi deve vagliare e scoraggia i lettori (io, per es., non li leggo). Già il prof. Israel ha ultimamente invitato alla brevità (secondo me ci si dovrebbe limitare a qualche battuta o a un breve ragionamento), ma da taluni è rimasto inascoltato.
Esatto, Myosotis. Bastano due righe. Anch'io sono stato educato a "libro Cuore", "Inno a Roma", e quelle carogne degli austriaci.
In famiglia si raccontava di mia madre che per poco non veniva uccisa da un militare tedesco per avere portato via una coperta per mio nonno, che, gravemente malato, di lì a poco sarebbe morto.
Oggi, dopo essere stato ripetutamente in Austria ed in Germania, ed avere un'auto tedesca non mi vergogno a dire che amo l'Austria, bella e musicale; ed apprezzo la precisione e la garanzia di sicurezza che la Germania, in generale, offre.
Non intervengo più: ho parlato troppo.
Gentile prof. Israel,
dunque l'educazione ai valori (valori di una comunità, di una famiglia...) deve avvenire mediante la loro blindatura autoritaria.
Ma non si apre in questo modo la strada a una giustificazione puramente formale di qualsiasi contenuto? Non è questa la via più breve al "tutto va bene"? Con quale diritto dichiariamo illegittimi oppure orrendi i valori di altre civiltà (sottomissione della donna, educazione all'odio...)? E perché venne accusato di indottrinamento di minori o addirittura di sfruttamento a fini ideologici chi portò i bambini a manifestare contro la riforma Gelmini? Se il maestro plurimo è per me un valore che intendo trasmettere ai miei figli (spero si colga l'ironia dell'esempio), non ho il diritto di imporre tale valore con l'autorità del mio ruolo di padre e dunque non spiegare, ma trascinare con forza?
E allora: forse l'antidoto migliore al tanto temuto relativismo è proprio la disponibilità al dare ragione dei propri valori, a discuterli, a fondarli razionalmente. I "valori" osceni si caratterizzano per la loro chiusura ideologica, per la loro indisponibilità all'argomentazione. La blindatura autoritaria li sottrae al giudizio del pensiero critico.
Il dogmatismo non ha il privilegio della critica.
Cordiali saluti.
Niccolò Argentieri
x Nautilus,
Come è avvenuto in passato non riesco a seguire il filo logico delle tue argomentazioni.
Da una parte si concorda sull'esigenza di educare con autorevolezza, dall'altra si contesta che il "minuto di silenzio" sia imposto d'"autorità".
Non capisci che il tuo maestro "germanofobo" ha fornito una solida sponda per la crescita dei suoi alunni proprio perchè aveva le idee chiare (non importa se giuste o sbagliate) e non si vergognava di esporvele.
Si equiparano le sorti dei soldati che muoiono nell'adempimento del loro dovere di servitori dello stato a quelle ugualmente tragiche da un punto di vista umano ma evidentemente diverse degli operai Thyssen e dell'eroico Quattrocchi.
Mi dispiace, sarò limitato, ma non vedo una razionalità in queste opinioni.
Mi sembra che nella tua (o nella mia) testa ci sia un guazzabuglio talmente irrisolvibile da produrre repliche e controrepliche fino allo sfinimento di uno degli interlocutori.
Visto che mi hai chiamato in causa ti rispondo solo questa volta sola dato che non intendo abusare dell'ospitalità del professore.
Caro professore ha ragione, tra parentesi molto gustoso l'episodio del prof. di matematica in cina.
A proposito dei vari relativismi consiglio il bellissimo libro del recentemente scomparso Giovanni Jervis "Contro il relativismo" (Laterza, 2005), e sul concetto di cultura ho trovato ottimo "Intercultura. E' possibile evitare le guerre culturali?" di Mantovani per i tipi de "il Mulino".
Sono libri incisivi e di rapida lettura che offrono molti spunti per eventuali approfondimenti successivi.
Caro Argentieri, ma quale "blindatura autoritaria"? Il guaio è che lei, come qualcun altro, mette tutto sullo stesso piano. Un conto è la sottomissione della donna e altro conto il maestro plurimo (e non c'è barba di ironia che dia senso a questo guazzabuglio). Mettersi in lutto e trascinare i bambini in piazza contro la riforma Gelmini non ha nulla a che vedere con il minuto di silenzio, perché la riforma Gelmini e i morti non hanno la stessa valenza morale. E' esattamente come mettere sullo stesso piano lo sputare per terra e spernacchiare un morto. Che una donna non va tenuta in stato di soggezione a bastonate debbo sottoporlo a dibattito e "dar ragione" del perché sia moralmente evidente? Stiamo proprio perdendo la trebisonda. Magari nascondendoci dietro gli slogan tipo "blindatura autoritaria", e per giunta confondendo autorità con autoritarismo.
Caro professor Israel,
non Lei o io, ma chi insegna che una donna va bastonata dovrebbe essere chiamato a darne razionalmente ragione. E sono certo che avrebbe difficoltà. La mia paura è che sostenendo l'elemento inevitabilmente impositivo dell'educazione (cosa sulla quale io tendo almeno in parte a concordare) noi perdiamo il diritto a indignarci se ad essere imposti sono valori riprovevoli. Le convinzioni orrende si caratterizzano per l'impossibilità di aprirsi al confronto. Se noi le solleviamo da questo dovere rischiamo di lasciar loro campo libero. Il non dovere sostenere e discutere i propri valori rischia di metterli tutti sullo stesso piano.
Cordiali saluti
Niccolò Argentieri
Invoco la par condicio! Ma come, lei ci chiede di entrare “in punta di piedi” poi prima mi qualifica come “deprimente” e poi m’accusa d’esser fuori di me! Scherzo professore, io non m’offendo quasi mai. E la frase sulla pistola, guardi, la uso spesso in senso ironico ma ancor più autoironico, stavolta era meglio mi ricordassi chi l’ha detta, ma tant’è...
No, ma quale trebisonda, che esagerazione... e poi proprio lei mi fa del relativismo culturale ricordando le usanze diverse di altri popoli?...in Italia non si rutta e non si sputa e basta, lo sanno anche i sassi.. e ove si finga di non saperlo, s’interviene d’autorità, come sulle botte alle donne. Che c’è da dibattere e spiegare...lo riscrive poi anche lei.
Ecco cosa volevo dire caro Attento: l’autorità ci vuole! Ma bisogna selezionare le circostanze, come mi pare aver capito pensi anche tu.
Ora, per me il minuto di silenzio deve essere soprattutto un atto di rispetto SENTITO, quindi imporlo d’autorità perchè è arrivata una velina dall’alto per me non ha senso, come credo per nessuno qui, Israel in testa che infatti nega lo sia.
Ma allora bisogna spiegare chi sono questi soldati, perchè sono morti, il dovere che compivano, proprio perchè sono diversi dalla Thyssen e da Quattrocchi. Io non dubito che “coccinella” l’abbia fatto e bene visti i buoni risultati, quel che eccepivo era che coi bambini delle elementari (penso a 6-7 anni) che non possono avere opinioni proprie, mi puzza d’indottrinamento. “Ben venga!” dicono Israel e Attento e qualcun altro “E’ un dovere così naturale...” Probabilmente hanno ragione loro, ma c’è anche chi urla “pace pace” invece di far silenzio al funerale. E’ un dissenso inaccettabile e offensivo davanti alle bare? Forse sì, ma forse anche no.
A scanso ulteriori polemiche, non la penso affatto come lui. Però esiste e dubito che sia una posizione individuale. Magari fra poco saranno una folla. “Ma i bimbi devono essere comunque educati a rispettare ecc.ecc.” Ok ok, ho capito, m’arrendo! Caro Attento, il guazzabuglio secondo me c’è: verità assolute magari ce ne sono, ma poche poche. Sarà questo il famoso relativismo tanto demonizzato?
Finalmente si è capito che non si è obbligati quantomeno a leggere commenti o post (ancorché corti), né tantomeno a condividerli (ancorché lunghi).
Saluti da un osservatore e commentatore pontino
(ricordando che, oltre ai morti, vanno rispettati anche i vivi).
Della Rocca
Temo che non ci capiamo proprio. Se non riesco a spiegare che un conto sono le usanze (sputare per terra) e un conto le questioni morali fondamentali, e addirittura divento un relativista perché penso che non esista una norma generale per la lunghezza di una gonna, temo che stiamo perdendo tempo e abbandono la discussione.
State mettendo tutto sullo stesso piano. Ma amare il vino piuttosto che la birra non è lo stesso ordine di questione che ritenere legittimo bastonare una donna oppure no.
Nelle questioni morali di fondo è giusto chiamare chi insegna che è giusto uccidere a darne conto. Il dialogo è sempre fondamentale. Ma - è chiaro a cosa stiamo, sta pensando Argentieri - non posso aprire un dialogo con chi vuole imporre con la forza la sua visione e non vuole discutere senza conservare la volontà di difendere anche con la forza ciò che è stato conquistato a tanto caro prezzo.
Fare diversamente è il fallimento morale del pacifismo. Non si dialoga con i nazisti, che non vogliono dialogare, escludendo la volontà di difendersi. È il fallimento di Obama, che affonda nel cinismo rifiutandosi di ricevere il Dalai Lama "per non compromettere il dialogo".
Ma qui stiamo parlando di questioni di fondo. Come il lutto per la morte, che è miserevole discutere assieme al lutto per il maestro unico. È la stessa confusione miserevole che a suo tempo si è espressa nell'atto di quegli insegnanti che hanno sfilato con la stella gialla per protestare contro la "riforma Gelmini".
Ma temo che non riusciamo proprio a capirci ed è meglio lasciar perdere.
Provo a metterla giù in modo più schematico, perché il mio ragionamento si è rovesciato.
Se io dico: "per me A è bene, non sono disposto a discutere su questo", non offriamo il destro a chi dice "se è per questo, allora per me B è bene, e neanch'io discuto perché ho ragione come te, non dovendo dare ragione"?.
Chi ci guadagna da questa situazione, chi avrebbe dalla sua la ragione e il rispetto della convivenza civile o chi non ha altri fondamenti che il dogma?
Niccolò Argentieri
E bisogna aprire un processo di contrattazione anche sulle evidenze? Certo, ora capisco meglio quanto sia profonda la crisi educativa nel senso in cui fu detto efficacemente: l'aver smarrito la capacità di educare.
Signor Armilleri, lei parte dal diffuso presupposto che, ad essere aperti al dialogo, ci si guadagni comunque.
Si tratta di una illusione-distorsione tipicamente occidentale, come dimostrano i fatti. Ne è un esempio lampante il fatto che il fondamentalismo islamico trae linfa vitale da quello che lei considera apertura e che esso invece interpreta come debolezza, degrado e giustificazione alla violenza.
Se lei, parlando civilmente con uno che ritiene sensato ammazzare di botte sua moglie perché ha messo lo smalto alle unghie, dicesse: "Carissimo, io ti rispetto. Forse tu hai ragione e io ho torto, ma spiegami quali sono le ragioni di ciò che stai facendo";
se quello rispondesse: "Carissimo, le ragioni sono nella legge a cui mi sottometto, questa legge me l'ha imposta Dio e non si discute. E di questo sono ancora più certo vista la tua mollezza. Anzi, grazie alla tua mollezza la mia legge sarà presto anche la tua"...
lei cosa avrebbe da replicare?
La vita, la libertà, la dignità personale non sono discutibili e non per una questione dogmatica, ma naturale. Si può discutere sul fatto che i pesci debbano stare in acqua per vivere o che gli uccelli abbiano bisogno di volare? Così esistono dei principi inalienabili e non negoziabili che ci costituiscono come uomini. Siccome essi sono dei dati, siccome rappresentano la stoffa stessa di cui siamo fatti, non abbiamo alcun diritto di metterli in discussione. L’unica cosa che possiamo fare è riconoscerli e difenderli. E in questo si vede il livello di sviluppo raggiunto da una civiltà.
Egregio Professore, chiedo indulgenza per questo commento che - pur nella fretta della stesura e pur nella disinvolta foga relativista – risente in modo macroscopico degli schematismi di una remota impositiva educazione cattolica:
1° Forse Dio c'è, oppure non c'è - 2° Non darti pensieri per Dio - 3° Comportati come se Dio non ci fosse - 4° Tollera moderatamente i genitori, almeno finché ti serviranno a qualcosa - 5° Ricorda che chi non si comporta bene non merita di vivere - 6° Godi comunque della carne senza incertezze o scrupoli - 7° Quel che è mio è mio, quel che è tuo è mio - 8° Parla in favore di chi ti paga meglio - 9° Tieni d'occhio le mogli degli altri perché non si sa mai - 10° Tieni d'occhio la roba degli altri perché mammona c'è
Barbara, credo non si potesse dir meglio. Complimenti. Anche se chi glieli fa è un "intollerante" (e se ne vanta). Cioè io.
Il prof. Israel afferma: “E bisogna aprire un processo di contrattazione anche sulle evidenze?”.
Con tutto il rispetto: quale evidenza è più evidente di quella secondo la quale la civiltà progredirebbe se (e solo se) a ispirare i pensieri e le azioni fossero il rispetto e l’amore del prossimo (da non confondersi col "buonismo")?
Eppure, non tutti la considerano un’evidenza. Alcuni la considerano un’utopia.
Per questo c’è bisogno di dialogo e di tolleranza; e di testimonianza. Da non confondersi col "buonismo".
Giorgio Della Rocca
Gentile Barbara,
credo che con "Armilleri" Lei intenda rivolgersi a me. Questo spiega forse alcune conclusioni che mi attribuisce e che non compaiono nei miei commenti.
Io non ho detto che ad essere aperti al dialogo ci si guadagni comunque (controlli pure).
Ho chiesto invece: cosa mi salva dal relativismo del "tutto va bene" se l'unico fondamento dei miei valori è che sono i miei valori e io intendo fare in modo che continuino a esserlo? Questo fondamento non giustifica qualsiasi fetenzia per il solo fatto che qualcuno ci crede?
Io non credo assolutamente che tutto vada bene e voglio capire su quale base io possa asserire che i miei valori sono migliori di chi incita all'odio. E credo che tale superiore forza consista nella possibilità di dare ragione razionalmente di ciò che voglio insegnare.
Cordialmente
Niccolò Argentieri
Qui si sta confondendo il dialogo, la tolleranza, l'uso della ragione per convincere - tutte cose sacrosante contro cui sarebbe insensato dissentire - con l'idea che tutto sia opzione, che tutte i punti di vista siano a priori ugualmente validi. Perché questo è il tema del relativismo. Altrimenti, si tratta soltanto di un problema di comportamenti, che è un'altra faccenda. Di questo si stava parlando, ovvero se un minuto di silenzio per i morti sia un'ovvietà oppure un'opzione da porre in discussione. Perciò, con tutto il rispetto: avete le idee in piena confusione e questa discussione è una pura perdita di tempo.
Volevo precisare che, nei miei commenti a questo post, ho cercato solo di evidenziare, molto sinteticamente, quali siano – a mio modo di vedere – i fondamenti morali ed etici su cui dovrebbe basarsi il rispetto (non "buonistico") per chi muore e per chi vive.
Giorgio Della Rocca
Posso fare una piccola provocazione? Consiglio la lettura di: Benito Mussolini, "Nel solco delle grandi filosofie: relativismo e fascismo", in «Il popolo d’Italia», 22 novembre 1921, in cui il Duce definisce sé stesso un relativista pratico e il fascismo come "super-relativista".
Non ho letto lo scritto di cui parla il prof. Israel, ma, conoscendo un po’ Benito Mussolini e il fascismo, posso immaginarne il contenuto.
Del resto, la figura di Mussolini (il Duce) è alquanto diversa da quella di Gesù Cristo (il Buon Pastore).
Si racconta che egli confidò una volta al suo Ministro degli Esteri: “Sono cattolico e anticristiano!”.
Sarà stata pure una battuta, ma risulta un’assurdità logica, oltre che teologica.
Perché non ci si può proclamare cattolici prima che cristiani (e meno che mai cattolici e anticristiani).
Giorgio Della Rocca
"...avete le idee in piena confusione". Prof. Israel, l'avrà letta la notizia: il Nobel per la pace a Obama! Per quale ragione? Cos'ha fatto per meritarlo? Ha appena rifiutato di ricevere un uomo di pace come il Dalai Lama per non "irritare" i criminali oppressori del suo popolo. Per me quelli che attribuiscono il Nobel hanno altrettanta confusione in testa di alcuni di noi che contribuiamo a questo blog. Non Le pare?
Questa è, al confronto, una società di persone geniali. Obama non soltanto non ha fatto nulla, ma ha prodotto soltanto retorica di infima qualità preparando tutte le condizioni per la guerra.
Questo è il trionfo della più tragica ipocrisia, se non peggio: un "aiuto" proprio mentre tutto gli stava cascando addosso.
D'altra parte è ormai noto che il premio Nobel è qualcosa di cui bisognerebbe preoccuparsi se lo si riceve. Soprattutto da quando è stato dato a Dario Fo...
Su Obama, vedasi i post precedenti che il professore ha messo sul blog. Se pensiamo un attimo che il Nobel per la pace fu conferito a Madre Teresa di Calcutta, la cosa è grottesca. Qualcuno in un notiziario televisivo ha tirato in ballo Martin Luther King come analogia. A parte il colore della pelle, si fa fatica a veder similitudini.
Analogamente, per me l'idea che si possano associare con lo stesso premio Aleksandr Isaevic' Solzenicyn a Dario Fo è semplicemente raccapricciante. Il rimbambimento avanza...
Nota Bene: non è che gli eredi di Solzenicyn sostengano che "siccome l'ex rastrellatore repubblichino Fo ha avuto il premio Nobel, il nostro lo restituiamo": questi sono (s)ragionamenti degni di qualcun altro...
Comunque erano altri tempi, ne possiamo parlare senza indulgere in nostalgie, come cantò Gaber ne "La mia generazione ha perso".
Davvero, l'adduzione del relativismo contemporaneo, come causa del rifiuto della maestra a compartecipare al minuto di silenzio, mi sembra un arzigogolo. A orecchio, un orecchio avvezzo ad ascoltare i suoni e i rumori della scuola, direi che ci sono tre possibilità, tre motivazioni possibili:
1.La maestra è bigotta, mentalità arcaica, e ritiene che a scuola si debba far lezione e non perder tempo con distrazioni che vengono dal sociale . (Probabilità molto remota, perché le maestre bigotte sono quasi sparite).
2.La maestra è ideologizzata, quindi, non relativizza: ha una sua concezione del mondo e agisce sulla base dei suoi convincimenti. E' pacifista, anti-capitalista, e anti-occidentale. La pace prima di tutto. Quindi, niente silenzio per i caduti in guerra. Ci sono andati, in guerra, ed hanno fatto male: hanno servito i guerrafondai capitalisti occidentali. L'idea della “pace”, per lei, è assoluta e indiscutibile: se le si dicesse che quei soldati sono morti in una guerra al terrorismo, per garantire, ad altri popoli e a noi stessi, la pace, troverebbe la cosa disdicevole; se le si dicesse che la pace immediata, tra gli uomini, non esiste, che è sempre una conquista, ci rimarrebbe male.
3.La maestra valuta obiettivamente l'impossibilità di far stare la classe, per un minuto, in silenzio perfetto. Ma neanche imperfetto! I bambini delle elementari sono così petulanti e ingovernabili.
(Qui in Sicilia fa ancora caldo e teniamo le finestre aperte. Sopra la scuola media in cui insegno c'è una scuola elementare da cui, ogni tanto, spesso, giungono improvvisamente urla disumane che mi lasciano impietrito. Ma che è? I miei alunni sorridono: “E' la maestra Tizia, è stata la nostra maestra, urlava sempre”. Loro sorridono e io rimango turbato.
Ecco: la maestra del rifiuto a onorare i caduti potrebbe essere stata una maestra di questo tipo: non adusa al silenzio, come strategia educativa. Scherzo, ma, come al solito, fino a un certo punto).
Quanto ai grembiuli a scuola, sarebbe interessante che se ne discutesse: rendono omogenei o omologati?
Difatti, io non ho detto per niente che la causa sia il relativismo, bensì propendo per il motivo 2, con un contributo di 3, che però è dovuto allo sfacelo scolastico per la crisi del principio di autorità (che non è autoritarismo). Poi qualcuno ha ritenuto di giustificare il tutto in senso relativista, così mettendo in luce che i convincimenti dogmatici di cui a 2. sono oggi sostenuti non da un'ideologia forte come il comunismo ma da un'ideologia debole (relativista per l'appunto), anche se per lo più pochi se ne rendono conto.
Quanto al grembiule come causa di omologazione.... Per pietà, ricominciamo con l'ideologia dell'antiautoritarismo? O è una battuta ironica (spero...).
Ma veramente un minuto di silenzio fatto rispettare per dei militari italiani morti in missione ha bisogno di tante parole di giustificazione?
A me sembre che prima che altre cose agisca lo scarso senso dello stato, l'incapacità di sentirsi prima di tutto CITTADINI di uno stato da parte degli italiani.
Ben vengano (prima e dopo il minuto di silenzio) le discussioni, anche le più aspre, sulla guerra. Bisognerebbe finalmente capire che il minuto di silenzio e la libertà di parola sono due aspetti della stessa cosa. Secondo me, purtroppo, siamo lontanissimi dal capire questo.
P.S.
ma una volta il grembiule non era visto a sinistra come "anticlassista"?. Viva il grembiule!
Perché nessuno parla mai dei mercenari (in Italia o in missione a Bruxelles)da 20000€/mese e pensione garantita con due anni di legislatura?
Salve,
apprezzo molto l'intervento del professore, a cui vorrei chiedere però alcuni chiarimenti: ho un figlio che frequenta la terza elementare in una piccola scuola di provincia (di cui, per questioni di privacy, preferirei non specificare il nome). Forse malamente informato, prima dell'inizio dell'anno scolastico gli ho comprato il famoso grembiulino.
Con mia grande sorpresa ho poi scoperto che la maggior parte dei suoi compagni non lo indossava e mi sono quindi rivolto ai maestri e poi al dirigente d'istituto per avere chiarimenti.
Per farla breve esce fuori che nella legge Gelmini (a cui io mi appellavo, anche perchè ritengo sacrosanto il fatto che mio figlio non cresca sin da piccolo in un ambiente in cui si fa a gara a chi è più griffato) non c'è traccia del grembiule!
Ora, non sono riuscito ancora a trovare informazioni attendibili in merito, potrebbe per favore aiutarmi?
Con grande stima,
Mirco
Infatti, non c'è nessuna legge in merito. C'è stata una forte raccomandazione e, come è evidente, in questi casi chi se ne vuole infischiare se ne infischia, soprattutto se ritiene in tal modo di poter lanciare un "segnale politico"
Uno dei rischi che si corrono quando si commenta in un blog è quello (dovendo essere sintetici) di venire fraintesi.
Ad esempio, i miei commenti a questo post del prof. Israel (in particolare, il secondo del 9 ottobre) potrebbero generare il sospetto che io abbia voluto in qualche modo manifestare le mie tendenze politiche, che non coinciderebbero, in questo caso, con quelle del proprietario del blog.
Ci tengo a precisare che, politicamente, non mi riconosco né nell’estrema destra, né nella destra, né nel centro-destra, né nel centro, né nel centro-sinistra, né nella sinistra, né nell’estrema sinistra, né nel movimento radicale (e chi più ne ha, più ne o-metta), perché cerco, in base alla mia visione cristiana-cattolica, di assimilare il meglio e di rifiutare il peggio da ciascuno degli schieramenti politici.
E, già che ci sono, voglio riformulare la conclusione del mio commento prima citato in un altro modo (per me equivalente): non può esistere un cattolicesimo che prescinda dagli insegnamenti di Cristo Gesù.
Giorgio Della Rocca
Egregio Prof. Israel,
ho molta stima di lei anche se non sempre mi trovo del tutto d'accordo con quanto scrive, come nel caso della presente discussione.
Lei ritiene che non ci si debba mettere a discutere delle evidenze ("E bisogna aprire un processo di contrattazione anche sulle evidenze?") e sarei anche d'accordo se non fosse che, come certamente sa meglio di me, si potrebbero fare esempi di evidenze che erano tali nel passato e che oggi non lo sono più, lei è un matematico e perciò mi viene in mente la geometria euclidea.
Ma l'obiezione che mi pare più pertinente è la seguente: secondo lei Bin Laden è un relativista?
O potrei domandarle se a mettere al rogo Giordano Bruno fu la mentalità relativista di Bellarmino.
Quel che voglio dire è che se certamente ci sono dei pericoli nel relativismo assoluto, ce ne sono altrettanti nel dogmatismo e io avrei paura di una scuola dove si insegnino verità evidenti senza che ci sia la possibilità di discuterle.
Ciò non toglie che ritengo sbagliato non far osservare nelle scuole il minuto di silenzio per delle persone che sono morte servendo il nostro paese e la causa della pace, ma questo mi pare un altro discorso.
Cordiali saluti
A Giorgio. Il pericolo di essere fraintesi c'è ogni volta che si dice qualcosa (e infatti vediamo quasi ogni giorno che il prof. Israel deve precisare il suo pensiero frainteso). Secondo i linguisti nessun messaggio, ma nemmeno una singola parola, "passa" al 100%. Qui, però, visto che siamo un numero molto limitato di "assidui", il rischio del fraintendimento è pure limitato. Quanto all'appartenenza politica, credo che nessuno che usi la propria testa possa riconoscersi totalmente in uno schieramento, ma che in democrazia al momento del voto si scelga il partito più vicino o meno lontano dalle proprie convinzioni.
A Myosotis.
Sono d’accordo con quanto ha affermato nel suo commento del 10 ottobre (sappiamo bene che il linguaggio naturale è soggetto ad ambiguità di interpretazione).
Vede che col rispetto, il dialogo, la tolleranza, si progredisce?
Giorgio Della Rocca
Al Laicista grazie davvero della stima. Penso tuttavia che la geometria euclidea non sia un buon esempio: nessuno l'ha mai confutata, né potrebbe farlo. Non capisco cosa c'entrino Bin Laden e Bellarmino col relativismo. Forse tutto dipende dal mettere in contrapposizione il relativismo col dogmatismo, che è un'alternativa fuorviante. Né la scienza è di per sé relativista né la religione è di per sé dogmatica. Mi dispiace, ma è una confusione da cui non si cavano le gambe e, avendo discusso a fondo tali questioni in due libri, non riesco a farne il Bignami in un blog.
A Giorgio: certo col rispetto, il dialogo e la tolleranza si progredisce. Qualcuno può seriamente negarlo? Basta essere anche d'accordo con un'altra cosa non meno importante: che con l'ipocrisia, il tartufismo e il dare ragione a tutti (o, peggio ancora, aver maggiore attenzione per i violenti) si regredisce.
Caro professore Israel,
io non avevo affatto frainteso il suo discorso. In merito alla questione del relativismo facevo un riferimento dialogante a quanto si argomentava nei commenti. Che poi alcune ideologie forti, come quella comunista, usino un relativismo grossolano quale strumento inadeguato per confutare valori che non appartengono loro, questo lo so bene. Lo so e mi sovviene un episodio esemplare avvenuto a scuola qualche addietro. Lo racconto perché è divertente nella sua assurdità, quasi surreale.
Avevo appena consegnato alla mia classe, una terza media, i compiti di italiano corretti, la cui traccia era, più o meno, “L'influenza del cristianesimo nella cultura europea”, con cui invitavo i ragazzi a riferirsi alla storia politica, dell'arte figurativa, della musica, della letteratura, etc.. Stavo appunto leggendo loro il tema di una compagna che aveva avuto il voto migliore, davvero eccellente, quando, improvvisamente entra una collega “funzionaria” (dichiaratamente atea, comunista, pacifista e chi più ne ha più ne metta) per comunicarmi non so quale inutilità. Appongo la firma sull'inutile e le porgo, maliziosamente, quel tema eccezionale, dicendole: “Guarda un po' come scrive bene questa ragazza”. Quella legge la traccia e arrossisce scandalizzata, commentando: “Il cristianesimo...(pausa) il cristianesimo...(altra pausa). Ma (il ma è avversativo) nel mondo ci sono tante religioni, non c'è solo il cristianesimo...”. E ai ragazzi: “Ognuno ha una sua religione, le religioni sono tante quante sono le persone nel mondo. Difatti (sic!), difatti ognuno, quando prega, prega a modo suo”. E se ne esce indispettita. I ragazzi ridono e io non posso farci nulla: anzi, ritengo che sia proprio giusto che ridano.
Appunto: non potremmo dire che quella collega è afflitta dal relativismo, benché ad esso, malamente, si appelli, ma dall'ideologia, di certo.
In questi termini sono del tutto d'accordo. Il processo per cui il postmarxismo ha assunto il relativismo come bandiera - in piena contraddizione con i suoi fondamenti - ho cercato di analizzarlo. Lo so che tutto questo è incoerente, che si tratta di ideologia, ecc. ma non si può trascurare il fatto che ci si appelli continuamente al relativismo e di fatto si usi uno sgangherato relativismo per dire che tutto è allo stesso livello, che tutte sono "opzioni", fino ad arrivare a situazioni grottesche come quelle bene illustrate da un commento parodistico sulla riscrittura dei 10 comandamenti (qui). Non è meno assurdo sostenere che la scienza è per sua essenza relativista: non esiste nulla di meno relativista della scienza!! Ma questa è divenuta la vulgata, persino di cosiddetti scienziati, e bisogna farvi fronte.
Per quanto riguarda il grembiule a scuola, io non ho neppure accennato all'autoritarismo. La domanda su “omogeneità o omologazione” è seria. L'omologazione è un meccanismo che riguarda tanto i sistemi autoritari, quanto quelli democratici. Ma c'è di mezzo una questione strettamente pedagogica, educativa. E' bene, è educativo, che gli alunni siano vestiti a scuola con quella che, di fatto, sarebbe una divisa? E' bene che appaiano vestiti tutti allo stesso modo? E' questo il modo giusto per educare i ragazzi a non affidare la rappresentazione di se stessi alla griffe? E' bene impedire agli alunni di esprimersi anche attraverso la scelta degli indumenti, quando questa scelta sia equilibrata? Il piacere estetico di indossare anche nel quotidiano un indumento scelto individualmente è un disvalore? Se è un valore anche quello estetico, perché non dovrebbe valere a scuola?
Io combatto quotidianamente contro i vestiti griffati dei ragazzi, non per colpevolizzare le loro debolezze, ma per promuovere il senso della loro libertà e per sviluppare il loro senso estetico, non per ammazzarlo.
Il ripiego del grembiule, per evitare che nelle classi ci siano ricchi griffati e poveri straccioni, mi sembra demagogia. Bisogna lavorare sui cervelli, non occultare i vestiti.
Ma qui non stiamo parlando di ragazzi del liceo e neppure delle medie!... Stiamo parlando delle elementari. Espressione attraverso gli indumenti a quell'età? Suvvia... Ho due figli alle elementari. L'espressione attraverso gli indumenti è soltanto quella degli adulti, dei genitori (basta andare all'uscita di un'elementare) e riflette tutta la loro diseducazione: bambini vestiti come bulletti di periferia griffati e bambine con le scarpette rosa e la minigonna da mignotta. Io e mia moglie non vogliamo la divisa, vogliamo soltanto una condizione di ordine e di pulizia (non dover cambiare tutti i giorni la camicetta imbrattata dai pennarelli) ed evitare questa ignobile gara tra famiglie attraverso una sfilata di moda di bambini. E uno deve pure combattere con l'opposizione delle maestre per pura ideologia antigelminiana. La pedagogia non c'entra niente e, se c'entra, si tratta di quei pedagogisti che mi fanno venire l'orticaria. Mi permetta: è semplicemente nauseante.
Egregio Prof. Israel,
la ringrazio per la cortese risposta.
Una risposta, devo dire, che in effetti mi lascia perplesso, un ottimo motivo per chiederle i titoli dei libri a cui si riferiva, non mancherò di leggerli.
Cordiali saluti
Certo pensare che il grembiule possa diventare una questione ideologica fa un po' tristezza e non depone a favore delle ideologie. Personalmente credo che la "guerra politica" alla Gelmini sarebbe più agevole attraverso altri argomenti: i tagli indiscriminati al personale, la pretesa di tenere insieme nelle programmazioni disciplinari le Indicazioni di Moratti e quelle di Fioroni (un bell'esercizio di stile) e altro ancora. Io credo che il grembiule sia una soluzione pratica e la pedagogia e l'estetica c'entrano poco o niente: ho chiesto alle famiglie se era una soluzione loro gradita, mi è stato obiettato che nel resto della mia scuola saremmo stati gli unici e ho dovuto ripiegare sulla richiesta di tute comode per rotolarsi nel fango del cortile e nei colori a tempera. A quel punto se qualcuno mi arriva "firmato", pazienza. Ma mi domando con tuytto il rispetto per qualche altro intervento se i problemi di sostanza della scuola sono davvero questi.
Il prof. Israel ha ribadito (nel suo commento odierno delle ore 10.53) un concetto che anch’io ho già espresso nei miei precedenti commenti a questo post, quando ho parlato di rispetto non "buonistico" per il prossimo (in senso neotestamentario).
Per quanto riguarda l’aver maggiore attenzione per i violenti come atteggiamento foriero necessariamente di regresso di civiltà, però, ho qualche perplessità, ripensando alla similitudine evangelica della “pecorella smarrita”. Comunque, anche Cristo Gesù ha affermato che c’è un limite a tutto.
Giorgio Della Rocca
Egregio Prof. Israel,
probabilmente se fossi ancora un insegnante italiano come lo sonp stato fino a qualche anno fa sarei stato in difficoltà a far rispettare "il minuto di silenzio" e questo per diverse ragioni, alcune delle quali certamente ideologiche, ma non più e non meno ideologiche di quelle che lei e altri commentatori avanzano a favore. Sono convinto che i militari caduti fossero persone oneste e scrupolose e degne del massimo rispetto per aver sacrificato ka vita per valori ai quali credevano.Non vedo peró perché devo crederci anch'io. Mi pare, che i "minuti di silenzio" portino a sacralizzare la guerra che continuo a ritenere un legitimo strumento "politico". La guerra in Afghanistan è una guerra combattuta per fini eminentemente politici, che sono razionali nel quadro di grandi opzioni strategiche ma che non sento l'obbligo morale di condividere, e anzi credo piú che legittimo discutere e approfondire nelle loro reali dimensioni appunto geo-politiche, che non sono, o non sono soltanto la difesa della libertá e della democrazia.
Penso che sia piú educativo insegnare ai giovani che la guerra è un fatto "politico" e che per questo il nemico non è mai l'inumano o il subumano, ma qualcuno con il quale un domani si dovrá arrivare a trattare magari sulla base di una qualche forma di fiducia reciproca
Personalmente non sono neppure convinto che sia nell'intresse nazionale italiano o europeo partecipare in queste condizioni alla guerra afghana.
Quella che si gioca in Afghanistan +e una partuta geopolitica che non puó esere semplificata in un conflitto per la libertá e la democrazia di tuti noi; i fronti che si incrociano su quel terreno sono molteplici e non omogenei rispetto a qquei valori.
Non ho nessuna tentazione pacifista, diffido profondamente dei pacifisti ma credo che dalla guerra in Afghanistan e dalla rappresentazione che lei ne offre si possa legittimamente dissentire senza essere appunto pacifisti e senza essere accusati di relativismo ma sulla base di
un banale realismo.
Le sono grati dell'ospitalitá se vorrá pubblicare questo commento.
genseki
Caro prof. Israel,
spero che la “nausea” non sia sommossa dalle mie domande, perché sono quelle che mi son posto, quale educatore responsabile, nel momento in cui nel Collegio dei Docenti della mia “SCUOLA MEDIA” è stata avanzata la proposta del grembiule agli alunni, motivata esattamente con l'esigenza educativa di mettere ordine e, soprattutto, di impedire a scuola le sfilate dei vestiti firmati. Rispetto a queste esigenze, ritengo opportuno dare agli alunni un altro tipo di risposte, che li facciano pensare. Imponi a scuola il grembiule: poi tornano a casa, se lo tolgono, escono e siamo sempre lì.
Se poi, nella scuola elementare, come dice qui su Vincenzo Manganaro, gli alunni trascorrono parte del loro tempo a “rotolarsi nel fango del cortile”, grembiule o tuta, non è che cambi molto: sarà un problema che le mamme o i padri domestici affronteranno con i “programmi” della lavatrice.
Sempre Manganaro informa che i problemi, nella scuola, sono altri: ne convengo, per l'appunto.
Sulla guerra in Afghanistan forse è il caso di ricordarsi da dove nasce (vado a memoria ma mi pare sia tutto giusto), e il nostro intervento attuale dovrebbe durare almeno i 40 anni di guerra che abbiamo regalato ai cittadini Afghani.
Anni '70 l'Afghanistan è un paese con monarchia avviato verso la modernità, mentre il re è in italia colpo di stato appoggiato dai sovietici, comincia la guerriglia (appoggiata dall'occidente foraggiando i vari gruppi di guerriglieri), i sovietici invadono l'Afghanistan per difendere il "loro" governo si foraggiano ancora di più i resistenti, e aprendo scuole talebane in Pakistan e dintorni. I talebani prendono il potere e impongono leggi medievali distruggendo tra l'altro commercio, scuole e sopratutto distruggendo persone. A questo punto dopo l'11 settembre andiamo a cercare di rimettere le cose in ordine, sperare che si rimettano a posto in pochi anni dopo 30+ anni di devastazioni e utopico e irresponsabile. Prendiamoci per una volta le nostre responsabilità e cerchiamo di aiutare chi abbiamo (non noi italiani direttamente certo, ma i nostri alleati) nel fango. Sarà costoso (anche in termini di vite dei nostri soldati) ma credo che rientri nelle responsabilità morali che abbiamo.
Un'episodio di relativismo:
Quando le palme valevano come le Persone
A Salerno le palme si stanno tutte ammalando e vanno abbattute, siccome si cerca di non far diffondere la malattia ci vogliono metodi d'intervento particolari (e fin qui) ma quando poi mi si dice che per non diffondere tale malattia non si possono neanche fare interventi urgenti di messa in sicurezza (con il rischio di ferimenti ecc) perché appunto anche le palme valgono e non è giusto abbatterle tutte senno si potrebbe fare lo stesso discorso per le persone.... beh scusate ma io Gaberianamente "m'incazzo"
cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Caro Milito Pagliara non propini analisi storiche in pillole corredate di asserzioni tanto apodittiche quanto campate per aria, altrimenti mi sollecita a far uso del cestino.
A Junco dico che è una pessima abitudine quella di eludere un problema parlando di "altro", "altro tipo di risposte", i "problemi sono altri". Sì ci sono le tegole che cascano, i precari... Suvvia, torniamo a ragionare come si deve. Va bene, alle medie è troppo, ma per obiettare al grembiule alle elementari l'unica è arrampicarsi sugli specchi.
Se lei fa uso della lingua italiana in questo modo sofisticato (con arcaismi tanto corretti quanto desueti come "sommosso") deve avere degli alunni che maneggiano l'italiano a un livello fuori del comune. Io ho qui un compito in cui si parla per tre volte del "dibbattito" tra scienziati nel settecento... Perciò, complimenti sull'uso della lingua, deludenti (lei e Manganaro) per il solito eterno, estenuante ricorso al benaltrismo.
Sinceramente questo non vuol dire che sia il caso di riaprire una discussione. Tantomeno di risolvere la questione afgana qui.... La penso diversamente da Milito Pagliara, ma non è detto che ogni questione possa essere risolta su un blog.
Gentile Genseki,
credo che le sfugga che i minuti di silenzio sono un segno di rispetto nei riguardi di persone (militari) caduti durante l'adempimento del proprio dovere. Dato che questo dovere è stato definito dallo Stato non è improprio dire che sono morti per noi.
Anche se appartenessi alla più estrema forza di sinistra credo che osserverei (e farei osservare) quel minuto di silenzio, magari con il rimpianto di non aver saputo evitare l'invio di quei soldati in una guerra che reputo sommamente ingiusta.
Riguardo a come poi il rispetto per il sacrificio di dei ragazzi inviati dal proprio stato in guerra e morti sul campo possa portare a considerare il nemico subumano o a "sacralizzare" (addirittura!) la guerra mi sfugge completamente.
Penso che questo commento sia di un rigore esemplare
Caro marino,
complimenti ha centrato il punto, nella democrazia si può dissentire ma le decisioni dello stato sono decisioni di tutti
e si quei soldati sono morti per conto e in nome di tutti i cittadini italiani
grazie
cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Caro professore, il mio non mi pareva benaltrismo ma forse sono stato tradito da scarsa raffinatezza linguistica: ritengo semplicemente che i problemi "di sostanza" della scuola siano altri e tuttavia questo non mi ha impedito di affrontare la questione grembiule con le famiglie e senza preclusioni: sono ancora convinto che il grembiule sia pratico e utile e soprattutto non ideologico. Sul punto sono quasi certo questa volta di essere d'accordo con lei. Non mi piace il benaltrismo e non mi piacciono nemmeno i bizantismi dialettici: comunque la si pensi sull'Afghanistan, il minuto di silenzio oltre che un obbligo di servizio (circolare ministro) era un segno di dolorosa condivisione nella comunità (di cui facciamo parte tutti) del sacrificio dei soldati che hanno rappresentato questa collettività e della sofferenza composta delle loro famiglie che hanno sofferto un grave lutto.
Le altre argomentazioni le trovo semplici sofismi.
Cordialità, Vincenzo Manganaro
Caro Martino,
spero vorrá convenire con me che il minuto di silenzio è un rito e che normalmente i riti hanno qualche cosa a che fare con il sacro. Certo è un po' spericolato far discendere da questa consierazione il rischio della disumanizzazine del nemico. spericolato ma non mi pare assurdo perché quando alla parola ("Logos") che serve per capire, approfondire e discutere si sostituisce per obbligo un rito anche se solo di un minuto che comporta appunto il silenzio si è su di una brutta china, anche se, ne convengo siamo ben lungi da un dirupo!
Infatti, nella sua argomentazione, dal rispetto per delle persone che si sono sacrificate per i valori in cui credevano si passa, qui si spericolatamente, ad affermare che questi valori devono essere condivisi da un noi in cui include anche coloro che appunto non li vogliono condividere. E su che basi pone questo obbligo morale? Ebbene sulla base ella Stato. Cioè lo stato diventa fonte principale della morale. Come vede siamo su una bruttissima china. Personalmente non sono disposto a considerare mai lo stato una fonte della morale! Se poi lo Stato che deve essere fonte della morale è quello italiano, beh! davvero non trovo le parole per esprimere il mio sconcerto.
Io nutro il massimo rispetto per i caduti italiani come per tutte le persone che compiono con onore e dignitá quello che ritengono il loro dovere e questo include anche i "nemici" ma non credo che siano morti per noi ove questo noi includa anche me.
Come vede è facile partire da un minuto di silenzio arrivare allo stato etico, cioè piuttosto lontani dallo stato liberale da cui mi pare eravamo partiti.
Cordialmente
genseki
Gentile Genseki,
l'unica cosa su cui sono disposto a convenire è la sua confusione.
Dal punto di vista dell'antropologia culturale è indubbio che molti dei nostri atti sono riportabili alla ritualità, il poter delineare una struttura antropologica comune non implica però in alcun modo l'equivalenza degli atti, men che mai la loro equivalenza etica o politica a meno che non si voglia dire che lavarsi le mani, toccare ferro, osservare un minuto di silenzio e l'eucarestia siano la stessa cosa (non ci provi, non lo sono).
Il minuto di silenzio si è osservato non per dei generici valori in cui credevano questi ragazzi o che questo o quel governo promuove ma perché, indipendentemente dai valori etici e morali in cui credevano, sono morti al servizio dello stato ovvero, politicamente, per noi. Lo stato etico come vede non c'entra un bel niente, tutti i paesi (civili) piangono i propri morti.
Non me ne voglia ma a partire dalla confusione che fa è vero che è facile partire da un minuto di silenzio per arrivare allo stato etico ma è altrettanto facile partire dallo stesso minuto di silenzio e arrivare alla previsione che l'Atalanta non perderà più di una partita fuori casa in campionato (ma le sconsiglio di scommettere sull'evento).
caro Martino,
certamente mi sento un po' confuso, ultimamnte, se mi sentissi pieno di certezze e di chiarezza su quelo che succede nel mondo e nelle nostre societá, comincerei, solo allora a preoccuparmi per la vecchiaia. Ci vedo sempre meno, e anche questo genera confusione. Comunque lei insiste a farmi dire cose che non dico. Io ho affermato che il minuto di silenzio è un rito e lei ne ha convenuto sostanzialmente salvo poi attribuirmi la bizzarra equivalenza tra minuto di silenzio, toccare ferro e lavarsi le mani, che è sua, non mia. La sua identificazione dello stato con il "noi", continua a risultarmi inaccettabile. E mi pareva che lei di questa identificazione ne facesse un presupposto etico. Adesso comunque comprendo meglio la sua posizione al riguardo.
Riguardo alla sua ipotesi del post prcedente: "anche se appartenenessi alla piú estrema foza di sinistra", così, per evitare possibili equivoci le confesso che non sono di sinistra.
Non approfitto oltre dell'ospitalitá del Prof. Israel e cordialmente la saluto
genseki
Scusi; genseki, ma mi sono perso. Il suo ragionamento ha qualcosa in comune con una pallina da flipper...
Poveri inglesi! Sempre peggio...
http://www.fastweb.it/portale/canali/news/italia/contenuti/notizia/?id=WJO51585
Gentile Caroli,
perché poveri inglesi? meglio sperare che non facciano sesso? L'Inghilterra ha il più alto tasso di ragazze madri in Europa se non ricordo male, forse che educare i ragazzi ad un sesso responsabile è una cattiva idea?
Cordialmente, Fabio Milito Pagliara
Ripeto. Poveri Inglesi! E basta.
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