Il Periódico di Andorra informa che una docente della Scuola
spagnola dell’infanzia del Principato è stata cacciata per aver insegnato a
leggere e a far di conto ai suoi alunni. L’imputazione a suo carico è che bambini
di 4 e 5 anni sappiano già leggere,
fare somme e sottrazioni e stiano perfino
apprendendo a scrivere (il che in India e in molti paesi asiatici è un obbligo).
I genitori dei bambini hanno fatto ricorso all’ambasciata spagnola sostenendo
che in Spagna sono richiesti minimi educativi ma non è definito alcun massimo.
Un ispettore ha respinto il ricorso, confermando la cacciata dell’insegnante. Le
si è generosamente concesso di completare il corso di quest’anno a condizione
di abbassare il livello dell’insegnamento…
Sarebbe un grave errore accantonare questa vicenda come un
episodio folkloristico. Essa è la logica conseguenza di un andazzo che va
avanti da anni in gran parte dell’occidente e che mira a trasformare la scuola
in una “comunità di apprendimento-intrattenimento” in cui gli insegnanti sono
ridotti a “facilitatori”, a fornitori di un servizio di supporto nel quadro di
un variegato complesso di attività in cui l’insegnamento disciplinare è
l’ultimo degli obbiettivi (se pure lo è) e in cui il primo degli obbiettivi è lo
svago e attenersi a standard minimi senza stancare.
Non a caso si è aperta da noi la discussione se diminuire o
sopprimere i compiti a casa, sull’onda di un’iniziativa di genitori francesi che,
stressati dallo stress dei figli, hanno proclamato che i compiti “fanno male” e
impediscono le “attività alternative”. Questo dibattito ha messo in luce la
schizofrenia di proclamare come valore assoluto l’“autonomia” scolastica e poi
voler definire per decreto se e quanti compiti vanno dati, sottraendo
all’insegnante un aspetto importante della sua libertà educativa. Ma questo è
niente a fronte dei discorsi surreali sull’insegnamento “capovolto”: niente
spiegazioni in classe, si studia a casa con videoregistrazioni e su internet (meglio
se in gruppo) e poi a scuola l’insegnante si limita a facilitare l’applicazione
delle conoscenze trasformandole in “competenze”. È la scuola vista come “web
community” in cui tutto viene costruito “dal basso” con materiali e metodi
“accattivanti”. Sembra che da noi tutto ciò piaccia molto al ministro Profumo.
Il ministro Fornero si lamenta che i nostri giovani non sappiano leggere,
scrivere e far di conto: farebbe bene a rivolgersi al collega di governo. Nell’orgia
della trasformazione della scuola del sapere in quella del “saper fare”, dell’insegnante
nel senso di Hannah Arendt – «che si qualifica per conoscere il mondo e
istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, si
assume la responsabilità» – non resta nulla. Certo, gli insegnanti non sono
tutti santi e impeccabili. Ma non si ripete di volerli sempre più qualificare,
esaltare la loro funzione, restituirle dignità? Il modo corretto per farlo sarebbe
di trasformarli in dipendenti di terz’ordine doppiamente subordinati al
dirigismo ministeriale e alle idiosincrasie dell’“utente”?
È proprio quel che propone la legge sull’autogoverno delle
istituzioni scolastiche recentemente approvata dalla commissione istruzione
della Camera. Essa è centrata sull’idea di trasformare le scuole in istituzioni
“autonome” e legate al territorio, come se questo fosse di per sé un toccasana.
Ma l’unica autonomia che questa legge non garantisce, o piuttosto annulla, è
quella degli insegnanti. La scuola sarebbe gestita da un consiglio
dell’autonomia presieduto da un genitore – scelta bizzarra visto che la
componente genitoriale è la più transeunte di tutte. Il consiglio prevede una
presenza paritetica di genitori e insegnanti, con l’aggiunta di rappresentanti
di «realtà» culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi nonché
degli studenti (per le scuole superiori) e quindi mette i docenti in minoranza.
Alla funzione docente si riserva la «piena libertà» di programmare e attuare l’attività
didattica, ma di fatto la si toglie, subordinandola da un lato alle direttive
ministeriali (alle indicazioni, agli standard nazionali, alla certificazione
delle competenze e alle innumerevoli prescrizioni) e dall’altro a interessi
particolari, in quanto deve attenersi «alle linee educative e culturali della
scuola» da negoziare con genitori, studenti e le famose “realtà”.
Se già la scuola è
ridotta a un emporio di attività frammentate è facile immaginare a cosa
verrebbe ridotta da questa legge trasversale, frutto di due debolezze politiche
che, sorreggendosi a vicenda come due zoppi, hanno realizzato il capolavoro di
accoppiare una visione aziendalista con una demagogia assembleare, in salsa di
costruttivismo. Se questi sono i capolavori che riescono a partorire le forze
politiche allora non c’è da stupirsi se il paese è in mano alla tecnocrazia e
al ribellismo protestatario.
(Il Giornale, 9 maggio 2012)
17 commenti:
Tuto questo, professore, mi fa dubitare che ai docenti vada bene così. Altrimenti pretenderebbero dai loro sindacati di proclamare uno sciopero con lo slogan “cattedre inutili”. Già, ma quali sindacati si mobilitano in nome della “responsabilità” degli insegnanti (e della loro dignità)?
Con i soldi mi va male da cane, ma, se si dovesse sganciare qualcosa per organizzare una bella gita premio con tanto di piccoli doni di riconoscimento e di stima per la docente della Scuola spagnola per l'infanzia di Andorra e per i suoi egregissimi e istruiti allievi, ci starei.
Senza tregua la guerra alla fame e alla galera: si dia cibo e spazio al corpo e cibo e spazio alla mente. Quanto bisogno se ne ha; a cinque anni poi...
Professore, ma Lei, che ha le idee così chiare, che ha una cultura smisurata, che vive la scuola anche attraverso l’esperienza diretta dei Suoi figli, che ha ragione da vendere e gli strumenti per poterla dimostrare, Lei che ha avuto la possibilità di collaborare con il Ministero dell’Istruzione, potrebbe spiegare (o rispiegare, se vuole, se può) perché non si è riusciti a destare nemmeno un po’ l’opinione pubblica da questo torpore che rende in Italia accettabile la scuola da paese dei balocchi? Noi genitori “medi” saremo anche sempliciotti, ignoranti e troppo in altre faccende affaccendati, ma se ci rendessimo veramente conto che i nostri figli pagheranno cara la loro inettitudine, non crede che cominceremmo a comprare qualche iphone di meno e qualche libro di più? Che rinunceremmo al weedend in agriturismo per consentire a nostro figlio di prepararsi all’interrogazione in storia di lunedì? Con tutti i mezzi a disposizione del precedente premier, possibile che non si sia riusciti a dare la sveglia? Certo, si è visto, nemmeno il predecessore di Monti aveva l’ambizione di passare alla storia per aver dato una svolta culturale (in meglio, s’intende) al nostro Paese, ma poiché pochi uomini sono capaci di indurre la società a grandi cambiamenti, Lei professore credo possa fare ancora molto per influenzare ministri e premier, cogliendo l’opportunità proprio nel lamento del ministro Fornero. Almeno evitiamo che i genitori chiamati a far parte di questi consigli vadano a proporre l’abolizione dei compiti, perché in breve potrebbero chiedere anche l’allungamento del tempo di ricreazione e la chiusura della scuola al lunedì. La prego, continui a lottare, faccia in modo che le diano ascolto usando tutte le armi in suo possesso, “usi” anche noi lettori per arrivare allo scopo, ci suggerisca metodi, indirizzi a cui scrivere, strategie…..
La ringrazio per i complimenti ma li ritengo eccessivi. Malgrado tutto penso che la maggioranza degli insegnanti e dei genitori si renda conto. Ma questo non basta. La democrazia per imporsi ha bisogno di strumenti e quando la politica è ridotta come è ridotta, cosa vuole che si riesca a fare? I ministri, i politici e la dirigenza ministeriale (per non dire i sindacati, e le tante associazioni corporative e di interessi) se ne infischiano bellamente di argomenti e di discorsi. Se dovessi votare per un partito politico che esprima la visione che ho della scuola per chi voterei? Per nessuno. Perché la complicità nello scasso della scuola è trasversale, come dimostra la legge sull'autonomia passata in combutta tra Pdl e Pd, e come dimostra la politica dell'attuale ministro che pensa soltanto alla sua futura carriera politica. Io ricevo tante lettere e leggo tante reazioni che mostrano non c'è l'ignoranza e l'incoscienza diffusa, ma chi e come dare espressione politica a queste reazioni? Il mio è pessimismo totale? È certamente pessimismo. Io continuo le mie battaglie ma sono consapevole che chi decide se ne infischia bellamente e scrolla le spalle. Non sono pessimista in toto, nel senso che penso che ciascuno di noi, nel suo piccolo, può fare qualcosa per contrastare questo andazzo. E può anche protestare e opporsi in ogni modo, dalle sedi scolastiche (combattendo perché la scuola dei propri figli non degeneri), scrivendo lettere ai giornali, facendo appelli, facendosi sentire in ogni modo. E gli insegnanti, quando si chiude la porta della classe - almeno fino a quando non sopprimeranno le classi - conserva il potere di gestire la sua ora come vuole.
Niente da ridire sul fatto che studiare è fatica e non lo si può rendere "facile" e su gran parte del resto del commento.
Vorrei però tornare al fatto da cui ha preso spunto. Io non so se è corretto (in Italia, o Spagna) insegnare a leggere e fare di conto a bambini di 4 e 5 anni alla scuola dell'infanzia. Molto dipende da come lo si fa. Il fatto che i genitori abbiano gradito l'operato della maestra probabilmente indica che ha fatto un buon lavoro, ma non credo che fosse quello il "suo" lavoro, cioè quello per cui era pagata.
Tanto per fare un esempio: che direbbe un genitore di un insegnante che al secondo anno di scuola superiore vuole insegnare il calcolo differenziale?
Non iniziare a insegnare a scrivere e a leggere (con le dovute modalità consone all'età) a 4 o 5 anni è un'assurdità totale, frutto di teorie pedagogiche sgangherate che stanno frustrando i nostri bambini e che spingono addirittura a non insegnare le tavole pitagoriche prima della terza elementare. L'esempio del calcolo differenziale non c'entra perché dipende dai programmi (liceo classico o scientifico). Un tempo in prima ginnasio si iniziava a studiare il greco, che non rappresenta una sfida meno rilevante che insegnare il calcolo differenziale.
Caro Professore,
nella scuola elemetare che ho frequentato io, circa 40 anni fa, si imparava a leggere, scrivere e fare di conto a partire da 6 anni, e sono certo che fosse così anche ai suoi tempi. Iniziare a insegnare a leggere, scrivere e fare di conto a 6 anni può essere inopportuno, ma è coerente con una pedagogia consolidata che risale almeno a 50 anni fa, non è l'ultima moda.
In merito al calcolo differenziale, mi vedo costretto a ricordarle che nei licei classici di nuovo ordinamento il calcolo differenziale c'è. Ma al di là dell'esempio, è giusto che un docente insegni qualcosa che non è previsto per alunni di quell'età e di quel livello scolastico? A me pare che dipenda da caso a caso, dalla bravura dell'insegnante, degli alunni e dall'argomento.
Nelle scuole elementari di 40 o meno anni fa non si insegnava a leggere e scrivere e far di conto prima di 6 anni per il semplice motivo che le scuole dell'infanzia praticamente non esistevano. Non era quindi una scelta pedagogica. Ma ora che esistono è sbagliato e inopportuno concepirle come un semplice parco giochi e non invece come un luogo dove giocando ci si inizia a leggere, scrivere e far di conto, secondo approcci collaudati di cui si dirà nel mio libro di prossima uscita "Pensare in matematica". Invece la pedagogia dell'ultimo trentennio ha spostato l'apprendimento della matematica di un triennio, per cui i livelli che vengono raggiunti in terza elementare sono quelli raggiunti in India a 6 anni. Ho qualche informazione in merito avendo partecipato alla commissione per le indicazioni nazionali e non si deve sentir costretto a ricordarmi che il calcolo differenziale c'è al classico (in forma ridotta), visto che quei nuovi ordinamenti per la matematica li ho scritti io… Ma non nei primi due anni di liceo, dove non esistono ancora le basi per capire le nozioni del calcolo. E comunque il discorso è diverso perché dipende, appunto, da prerequisiti, non dal fatto che il calcolo differenziale sia più difficile dell'algebra o di certa geometria sintetica (non è così) o del greco. Mentre qui si sta parlando di una cosa più sottile e cioè della possibilità che un bambino di 4 anni possa apprendere a sommare e moltiplicare. E questo viene negato da una pessima pedagogia di stampa piagetiano, ormai ampiamente confutata, anche se c'è chi fa orecchie da mercante.
La ringrazio prof. Israel per la risposta, così come ringrazio l’insegnante di scuola primaria Vincenzo Manganaro , se è in “ascolto”, per il riscontro che diede ad un mio quesito di qualche settimana fa, e che riguardava più o meno lo stesso argomento.
Che la maggior parte degli insegnanti si renda conto della situazione ci sta, ma per quanto riguarda i genitori nutro più di qualche dubbio; di esempi ci ne sarebbero tanti, a cominciare dall’incredibile quantità di ore che ai propri figli viene consentita di spendere davanti a monitor di qualsiasi tipo. Pare che l’andazzo sia tollerato con rassegnata accettazione. Tenga sempre presente che io raffiguro la categoria del genitore qualunque, a cui non saprei se appartengono tutti quelli che scrivono a Lei, che la seguono attraverso la stampa o con cui viene in contatto direttamente.
Su tutto il resto sono d’accordo. Anch’io come mac67 ho frequentato le elementari circa 40 anni fa. Mi basta confrontare i miei quaderni di allora con quelli dei miei figli e nipoti per capire come tante cose, non solo matematica, si siano spostate a uno o più anni dopo, quando invece si potrebbero perfino anticipare. I bambini di 4-5 anni possono sicuramente iniziare a leggere, scrivere e far di conto, con l’approccio del gioco naturalmente e rispettando i diversi gradi di maturità; ben lo sanno quelle mamme, che potendo stare a casa dal lavoro e seguirli, sanno coinvolgerli fin da piccolissimi, anche senza disporre di metodi collaudati o di competenze particolari. Ricordo che imparai a leggere le prime parole sulle etichette dei detersivi andando a far la spesa con mia madre, mentre iniziai a familiarizzare con i numeri aiutandola a contare le uova per le torte, gli stampini per i biscotti e cose di questo tipo. I bambini indiani di oggi, che in prima raggiungono i livelli che da noi si raggiungono in terza, purtroppo potrebbero essere gli operai, impiegati e dirigenti che domani verranno assunti al posto dei nostri giovani. Duole sapere che agli attuali partiti politici questo sembra importi ben poco; certamente essere bravi insegnanti, come lo sono in tanti (e la maggioranza di quelli che fortunatamente ho incontrato fin’ora) può non bastare.
Gentile Professore, ma è davvero così convinto che a molti insegnanti non stia bene che le cose vadano avanti così? Da insegnante supplente di scuola primaria, noto che la cosidetta scuola piagetiana non è messa in discussione da nessuno, e sono immediatamente fatti fuori e isolati quelli che provano a ragionare diversamente. Un esempio: mi è capitato di trovarmi a dover somministrare i test INVALSI in una classe dove sostituivo la titolare di matematica. E parlando con gli insegnanti della scuola tutti erano contro, ma nessuno mi ha saputo spiegare il motivo. E l'impressione è che molti non sapessero neanche di cosa si trattava e cos'è una statistica... altrimenti come si fa a dire che sono fatti male perché solo pochissimi riescono a rispondere bene a tutte le domande. Non sono studiati apposta perché succeda questo?
I bambini "stupidi" fino a 6 anni sono solo nella mente di certi stupidi pedagogisti. I miei genitori dicevano che a 3 anni sapevo leggere i titoli dei giornali. Più o meno alla stessa età ho insegnato a leggere le parole scritte in stampatello maiuscolo a uno dei miei figli, mentre l'altro a 6 anni ha iniziato a frequentare la seconda elementare, avendo superato bene l'esame richiesto. Ho conosciuto un bambino francese che a 5 anni parlava, oltre al francese, anche l'italiano e l'inglese senza accento. Non credo che questi bambini - me compreso - avessero doti eccezionali, ma che tutto rientri nella "normalità".
Come e' venuto a crearsi il caso? Non sembra che siano stati i genitori a disapprovare. Forse queste insegnanti tanto preparate quanto ingenue hanno ritenuto di condividere eccessivamente (organi di stampa ecc) la loro esperienza? Questo senza dubbio e' un errore madornale nel clima in cui ci troviamo. Nemmeno una minuscola parvenza di liberta' ("non ho nulla in contrario a che altri imparino a leggere a 6 anni come da metodo collaudato, semplicemente, visto che *questi* bambini manifestano interesse e che le maestre sono d'accordo...") e' concessa. E' umano desiderare che il proprio lavoro sia riconosciuto, ma con questi chiari di luna, e in assenza di *solidi* appoggi (la stupidita' e' bipartisan e stramaggioritaria) meglio agire in silenzio.
Ho difficolta' col catalano ma ho visto che ci sono moltissimi articoli e quindi quantomeno nella piccola Andorra, questa vicenda e' un elemento di dibattito molto sentito. Vorrei chiedere al prof. Israel che e' al corrente della situazione spagnola, se e' consueto che una scuola spagnola all'estero debba scontrarsi con l'istituzione - tanto piu' a livello di scuola dell'infanzia - o se, come tendo a immaginare, si tratta di un caso piu' unico che raro.
Visto che Anna 314 vi ha fatto riferimento, vorrei dire due parole sui test INVALSI. E' vero che in parte l'opposizione ai test è pretestuosa e non è possibile, in linea di principio, sottrarsi a una qualche forma di valutazione del sistema.
Alcuni colleghi, invece, si rifiutano in toto di adeguarsi e di preparare gli alunni, con il risultato che questi ottengono risultati scadenti, non perché i test siano troppo difficili per loro, ma perchè non sono abituati ad affrontarli. Pur condividendo l'idea del prof. Israel che non si debba insegnare in funzione dei test, io faccio fare ai miei alunni un paio di simulazioni, insegno loro qualche piccola furbizia e cerco di motivarli a fare bella figura. Basta questo, ve lo assicuro, per non sfigurare.
Soprattutto all'esame di terza è doveroso mettere gli alunni in condizione di fare bene, perchè il risultato del test entra nella valutazione finale di ciascuno di essi.
Detto questo, devo però dire che anche quest'anno non ho capito con quale criterio siano stati preparate le domande, nè la rigidità, direi ottusa, richiesta nelle correzioni, in particolare nelle classi campione.
Sul testo narrativo di Italiano asseganto agli alunni di 1° media, c'erano diverse domande che ammettevano, a mio avviso, più risposte fra quelle proposte o perlomeno diverse di esse non sarebbero state errate (si trattava in effetti di minime sfumature di senso) e soprattutto non avrebbero segnalato una mancata comprensione del testo.
Ho sempre notato questo gusto un po' sadico degli esperti dell'INVALSI nel formulare le domande e le relative risposte in modo semplicemente ambiguo. Cosa accertano simili quesiti?
Un altro problema è rappresentato dalla corrispondenza dei quesiti con i programmi.
In prima media quasi nessun docente affronta la sintassi ( non si faceva neanche ai nostri tempi). Lo potrebbe forse se i ragazzi arrivassero ben preparati in morfologia dalla primaria, ma così non è perché bambini non conoscono i verbi, ma hanno già fatto il predicato nominale. Eppure all'INVALSI questo non è chiaro, così nei test grammaticali per la 1° media non mancano mai domande di analisi logica, possibilmente un po' cattive.
In merito alla questione di Andorra: viva la maestra!
Anch'io, prof., condivido l'ammirazione e la fiducia che le ha espresso Raffaella, che nel suo entusiasmo non è esagerata, ma certo nessuno da solo può cambiare le cose. Però forse i seguaci di questo blog e i lettori dei giornali potrebbero aiutarla, sostenendo le sue iniziative.
Grazia Dei: secondo lei quel brano sullo sciacquone malfunzionante voleva far ridere presentando situazioni comiche? Mia figlia, pur molto giovane e con poca esperienza della vita, aveva risposto che evidenziava le dinamiche di certe relazioni familiari.
Purtroppo in assenza di una identita' monolitica e condivisa - che nel bene e nel male non esiste piu' - ci sono soltanto due scelte: il minimo comune multiplo, imponendo a tutti un nucleo comune che giocoforza deve essere esautorato, edulcorato, e svuotato di qualsiasi elemento significativo che in quanto tale e' controverso; oppure una pluralita' di percorsi, non solamente di lingue plastificate ma di offerte culturali, permettendo ad ogni cittadino europeo di approfondire la/le cultura/e che sente propria/e e magari ponendo come condizione per il titolo di studio un certo numero di corsi a scelta ma esterni all'area culturale principale. La mia opinione e' che la seconda scelta avrebbe costruito la diversita' come ricchezza, la prima sta portando l'Europa verso l'irrilevanza. Ma come dimostra la vicenda dell'articolo, e' gia' tanto se riusciamo a non farci schiacciare.
Per Grazia Dei. Cosa fare? Per esempio, dire quel che merita sentirsi a dire a quel signore che ancora ha il coraggio di propagandare la scuola finlandese: http://www.ilsussidiario.net/News/Educazione/2012/5/17/SCUOLA-Il-mito-della-Finlandia-qualcosa-sui-prof-si-puo-imparare/280030/
Lettrice attenta e "silenziosa" di questo blog ormai da molto tempo, sento ora l'impulso ad intervenire; perchè mi sento sempre pù sola con le mie idee sulla scuola e di conseguenza sulla cultura. In realtà ho molti colleghi che la pensano come me, ma quasi nessuno sembra avere il coraggio di dichiarare apertamente quanto ci si senta stufi di questa continua presa in giro, di questo vuoto didattichese, dell'istituzione scuola che va a picco. Quasi nessuno ha il coraggio di esprimere quello che pensa, per esempio in un consiglio di classe o in un collegio docenti. Forse hanno ragione a preferire il quieto vivere? So, per esperienza personale, in quali vespai si va a finire se si osa dire che il re è nudo, magari a un preside che scrive lettere come questa:
http://www.liceopalumbo.it/public/Lettera%20aperta%20ai%20docenti.pdf
(non è il mio preside, ho scovato la lettera per puro caso in rete). Prof. Israel, il sottotitolo del suo blog dice che vale la pena di combattere le battaglie perse. Anzi, soprattutto quelle. Questa è forse una battaglia persa. Ma mi sentirei davvero inutile se nel mio piccolo non la combattessi, e non riesco a capire chi tira avanti facendo finta di niente pur sapendo che lavora in un contesto di finzione. Ognuno dovrebbe fare la sua parte. Ma altrettanto importante è che qualcuno dia voce a tutto ciò, come sta facendo lei. Spero che continui. Anche se è una battaglia persa. E poi, siamo sicuri che sia una battaglia persa in partenza? Voglio essere ottimista, nonostante tutto. Altrimenti, come trovare la motivazione e la forza di andare a fare lezione tutte le mattine e di farlo al meglio? Però bisognerebbe andare oltre, organizzarsi, unire le forze. Se non lo si fa prima o poi la motivazione e la forza scemano inevitabilmente.
Caro Feynman, sì ma anche no :)
I ragazzi della classe in cui facevo sorveglianza han risposto tutti "correttamente" alla domanda, rifacendosi evidentemente al teorema relativo ad angoli alla circonferenza con base sullo stesso arco, escluso implicitamente l'arco stesso. Il quesito invece non lo escludeva, da cui l'ambiguità giustamente da lei segnalata.
Che però mi pare non abbia influito sulle risposte.
Caro Professore, una volta tanto su questioni scolastiche non sono granchè d'accordo con lei, a me (che però non insegno matematica) nel complesso non son sembrati demenziali: a mio avviso richiedevano un giusto mix di nozioni e ragionamento, forse più questo che quelle.
A parte qualche stravaganza come lo "scarto quadratico medio", che ha sollevato lo stupore generale trasformatosi poi in sarcasmo alla chiarificazione successiva: "o deviazione standard", ahhh, ora sì che s'è capito...
La mia opinione (già espressa in precedenza) è che possano essere un utile controllo per cercare di capire il grado di comprensione delle varie questioni matematiche, purchè vengano somministrati SENZA un precedente addestramento, altrimenti il test non certifica la comprensione della matematica, ma dei test, come già detto e ridetto.
Una posizione equilibrata mi sembra quella di Grazia: un minimo di esercizio per far capire di che si tratta ma niente di più: i test devono essere al servizio della matematica, non il contrario.
Su una cosa sono d'accordo: cosa poi effettivamente "misurino" è abbastanza aleatorio.
Ho cercato di registrarmi al Sussidiario ma si è rivelato troppo difficile per il mio QI, per cui l'osservazione che volevo fare a Zagardo la ripropongo qui.
Ma se gli insegnanti finlandesi sono così formidabili come li descrive lui:
"quelli finlandesi hanno uno status riconosciuto come importante socialmente; studiano molti anni (dopo l’assunzione anche in formazione continua e formazione tra pari) e per entrare in carriera affrontano concorsi difficilissimi e selettivi come prove ad ostacoli. Infine, sono scelti dalle stesse scuole e da queste possono essere licenziati."
com'è che a detta di 200 professori finlandesi, citati dal prof.Israel:
«le conoscenze matematiche dei nuovi studenti hanno subito un declino drammatico». I matematici K. Tarvainen e S. Kivelä, (han scritto) un articolo intitolato «Gravi difetti nelle abilità matematiche finlandesi» ?
e lo stesso professore sottolinea come non si insegnino più le frazioni (e questo è davvero drammatico)...insomma com'è che si concilia la perfetta formazione degli insegnanti con la povertà di questi risultati?
Qualcosa non torna.
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