Testimonianza raccolta da amici. Una maestra elementare spiega che ANTICAMENTE per andare a capo, si interrompeva al seguente modo: dal-l'acqua. Ma ora, nella MODERNITA' si può invece andare a capo dopo l'apostrofo, ovvero dall'-acqua… Ah, "nous les modernes" direbbe Finkielkraut…
Questo piccolo episodio suggerisce una piccola riflessione sull'Invalsi. Se i signori di questo ente, invece di impancarsi a "somministrare" (termine che ricorda l'olio di fegato di merluzzo) test pretenziosi sull'interpretazione dei testi letterari o di geometria, si limitassero modestamente, ma più efficacemente, a verificare le capacità (si dice competenze?) ortografiche, grammaticali, sintattiche e di elementare calcolo numerico dei bambini - e diciamo pure dei ragazzi! - non renderebbero davvero un gran servizio alla scuola? Non sarebbe questo il modo più efficace di verificare i "livelli di apprendimento" e anche di "valutare" l'efficacia dell'insegnamento? (non dirò impartito o somministrato, perché l'ex-cathedra appartiene di diritto soltanto a pedagogisti e valutatori).
Credo di aver dato prova di difendere a spada tratta la funzione dell'insegnante, naturalmente di quelli bravi, non di quelli che si nascondono dietro l'ideologia delle competenze per smantellare l'-
ortografia.
E invece di fare qualcosa che serva per una valutazione vera e utile tocca sorbire, oltre ai test di interpretazione letteraria somministrati dall'-
Invalsi, anche le sparate retoriche sulla valutazione oggettiva e ora addirittura dotti articoli di analisi statistica dei dirigenti dell'-
ente.
13 commenti:
Uno dei tanti casi in cui la scuola fa spesso a cazzotti con la logica, e la logica perde per KO al primo round.
Quello che scrive lei (verificare le capacità ortografiche, grammaticali e sintattiche e di elementare calcolo numerico) mi sembra sia quello che si propongono di fare quelli dell'Invalsi, e quanto abbiano le idee confuse, lo dimostra come ogni anno cambino qualcosa. Quest'anno si sono inventati l'aumento delle domande aperte, perché c'è meno il rischio di andare a caso... Salvo poi scoprire che valutare le domande aperte con delle griglie non è agevole; inoltre ci sono alcuni ragazzi che fanno proprio fatica a spiegare i loro ragionamenti, non perché ragionino male ma perché ritengono inutile spiegare l'ovvio e non sono abituati a farlo. Difficilmente viene richiesto dagli insegnanti delle medie e ancor meno alle elementari.
È anche vero che le cose cambiano. Per come l'avevano insegnato a me sarebbe un errore anche al-l'acqua. Allora la regola era di reintegrare la vocale e andare a capo: alla acqua. Sot parlando di elementari verso la fine dei ruggenti '60.
Per Anna314
Non tendo a difendere il mio lavoro e i miei colleghi, molti dei quali poco preparati. Ma detesto cordialmente le generalizzazioni e l'ultima frase del suo post lo è fuori di dubbio, mi perdonerà se glielo scrivo. Le accredito le possibilità di scarsa conoscenza della scuola primaria e secondaria di primo grado (e magari è una stimata collega) oppure di cattive esperienze scolastiche; ma le segnalo che le cose non stanno proprio come scrive e che il tentativo di condurre i bambini al ragionamento inizia fin dai primi mesi di scuola e spesso, come è ovvio, a partire dalla scuola dell'infanzia. Non è sempre così, naturalmente; ma non lo è nemmeno "difficilmente".
A mio avviso i test Invalsi sono molto più articolati di quanto lei pensi e non valutano in generale le conoscenze di base: per valutare realmente ad esempio le qualità ortografiche e sintattiche di un bambino occorrono soprattutto testi scritti, preferibilmente più di uno e sono proprio quelli che non vengono testati per ovvie ragioni. Non è pensabile di fare una valutazione nazionale su questi elementi prescindendo dalla "competenza" scritta dei bambini oppure risolvendo la questione con qualche items a risposta multipla.
Il post del professore ci riporta piuttosto all'esigenza di preparare docenti adeguati al compito; ma qui il discorso si farebbe più complesso e cedo lo spazio ad altri commenti.
Cordialità, Vincenzo Manganaro
Penso sia vero quello che mi accredita come seconda possibilità. Ma può anche essere che non capisca molto i bambini e per questo non capisca il modo di lavorare degli insegnanti che ho incontrato. Sono stata insegnante supplente alla scuola primaria fino allo scorso anno e ovunque, per quel che concerne la matematica, ho visto insegnanti che guidavano i ragionamenti passo passo. Quindi, se vogliamo, ho visto molte insegnanti che ragionavano. Il motivo per cui non lasciavano far venir fuori le idee e le strategie dai bambini era che secondo loro i bambini non erano ancora in grado di farlo...
Un esempio: lo scorso anno ero in seconda. Dovevo presentare i numeri fino al 100 per finire il programma, e insegnare a operare coi numeri fino al 100. I signori numeri erano presentati da tutte le mie colleghe delle classi parallele quasi uno alla volta, decina per decina. Io ho fatto diversamente, ho spiegato la differenza tra cifra e numero, ho fatto anche un po' di storia della matematica ma li ho presentati tutti insieme dicendo che non erano neanche tutti... ce ne potevano essere quanti volevano... e sono stata bersagliata dalle colleghe perché non si era mai vista una roba del genere.
Posso aver rovinato anche qualcuno con le scienze. Pensando a Galileo Galilei e al motivo per cui è bene osservare le cose, come prima lezione di scienze ho spiegato sul campo cosa vuol dire osservare. Ho spiegato che alcune cose le sapevano, altre non le sapevano ma osservando potevano impararle. Li ho portati fuori e li ho sforzati a osservare. Per loro era difficilissimo. Tutti volevano dirmi cos'avevano letto sui libri e neanche guardavano quello che avevano davanti.
Se questo è osservare!
Quindi penso che il problema siano le scuole dove ho insegnato e un po' anche le maestre che hanno avuto i miei figli...
Voglio solo sperare che non sia dappertutto così!
Caro Manganaro, lei è evidentemente un buon insegnante e chiaramente sta dentro un contesto molto buono. Ma mi lasci dire che la fenomenologia descritta da Anna314 è tutt'altro che campata in aria e di esperienze di insegnanti che castrano (scusi la parola ma non ne trovo un'altra) la mente dei bambini e di bambini che sono incapaci di osservare, ce ne sono a iosa. Lei sa che io difendo gli insegnanti, ma credo che tutto sia colpa delle pessime indicazioni delle primarie che stimolano molti maestri a fare il meno possibile. Quel che dice Anna 314 sui numeri è ultra vero! È diffusa l'idea letale (Piaget dovrebbe rivoltolarsi all'inferno per questo) che i bambini non siano ANCORA in grado di capire i numeri. Conosco non so quante classi in cui (in prima) si comincia il primo mese con 1, il secondo con 2, il terzo con 3 e 4, e via castrando. Anna 314 doveva fare i numeri fino a 100 in seconda... Che sciocchezza... Un bambino può apprendere qualsiasi (QUALSIASI) numero fin dall'età di 2-3 anni... Ma dove vive questa gente? Mi correggo: so dove vive, al Ministero... Quel che ha fatto Anna 314 è sacrosanto, così si deve fare, e questa è proprio l'impostazione che proponiamo nel nostro libro rivolto ai maestri di prossima uscita (tra due mesi, "Pensare in matematica". È sostenuta da numerose esperienze didattiche in classe, persino alle scuole dell'infanzia, che mostrano come si possano stimolare le capacità numeriche dei bambini e come invece le stiamo castrando in modo ignobile. E quanto all'osservazione... Lo vedo dai miei figli. Li imbottiscono di questionari e domandine, schemi e diagrammi, distruggendo le capacità di osservazione del reale, del "mondo della vita". E poi hanno il coraggio di accusare noi di proporre una didattica astratta... Sui test Invalsi ha ragione: sono troppo articolati, sono pretenziosi, ridicolmente pretenziosi. Io mi limiterei a fare qualche domanda a crocetta su questioni ortografiche e grammaticali. La qualità sintattiche nel senso della scrittura (credo lei si riferisca a queste) esulano del tutto dalla sfera dei test.
Ritornando al-l'a capo, ai miei tempi si dedicava qualche ora alla silaba-
zione. Senza la cui conoscenza lo "a capo", immancabilmente, si sbagliava.
Certamente oggi non serve più, ma non si sa sillabare. La nostra lingua è generosa, agli americani tocca conoscere lo spelling per scrivere correttamente.
Caro professore,
lei sa benissimo che condivido molte delle sue idee sulla scuola; sa anche che la fenomenologia descritta dalla gentile Anna la conosco e spazia dalla scuola dell'infanzia a come si preparano i futuri insegnanti di scuola primaria all'Università (un punto dolente della formazione iniziale). E' che tendo a distinguere il grano dalla zizzania e vorrei che ci si ricordasse che esistono molti docenti "resistenti" che sono andati oltre Piaget, Vigotskij e perfino Don Milani. Non sono in disaccordo con Anna e mi scuso se ho dato questa impressione o peggio quella di "bacchettare" l'opinione altrui: intendevo solo segnalare una generalizzazione. Io vivo e lavoro in Emilia e non è sempre un'isola felice: nella mia scuola qualche tempo fa è capitata una gentile e giovane collega che, al primo giorno di scuola, ha presentato ai bambini il metodo fonematico (ahimè, con tutto il rispetto) descrivendo le cinque vocali alla prima lezione. Con esiti esilaranti per i bambini che già sapevano leggere e scrivere ed esiti di grande confusione negli altri (che non sapevano leggere e scrivere ma ovviamente non erano a digiuno di lettura e scrittura). Le colleghe subentrate stanno lavorando da tre anni per riparare i guasti.
Ecco, non è solo questione di Indicazioni: ne usciranno altre a breve e non mi aspetto miracoli. E' anche questione di chi le deve interpretare queste benedette Indicazioni e degli strumenti professionali con cui si sviluppa la relazione di insegnamento apprendimento: un buon insegnante sa che i suoi alunni in generale sanno già contare fin dalla scuola dell'infanzia, hanno chiarissimo il concetto di quantità e molte relazioni tra quantità e sono già in grado in molti casi di operare con i numeri e ben oltre il 100 (e molto altro ancora); è da lì che si parte con il famoso "programma". Un cattivo insegnante non sa dove mettere le mani e parte dal libro (di solito pessimo) e lo segue pedissequamente e peggio per i bambini e il loro "curricolo implicito".
Mi dispiace per l'esperienza di Anna: i giovani insegnanti dovrebbero avere altri "tutor" ad accompagnarne il percorso iniziale.
Grazie a entrambi per la considerazione, Vincenzo Manganaro
Gentile Professor Israel, potrei scherzosamente usare lo slogan
"Israel for president" ?
Anche in questo post lei è riuscito a mettere perfettamente in luce la grande contraddizione della scuola italiana: da un lato l'estremo bisogno di valutazione (sogno il giorno in cui qualcuno di affidabile mi entrerà in classe di sorpresa ad osservare il mio lavoro, per poi fornirmi oneste opinioni su come migliorarlo), dall'altro la necessità di un sistema di valutazione che sia veramente tale, e che non serva semplicemente a produrre pacchi di statistiche, magari per giustificare l'esistenza di un ennesimo ente pubblico.
Se alla valutazione non seguono immediate ed efficaci strategie di miglioramento, che senso ha la valutazione?
Cosa stiamo valutando in questo momento?
Cosa sarebbe necessario (invece) valutare seriamente?
Il livello della scuola italiana è migliorato da quando (ormai dieci anni fa) i test Invalsi sono stati introdotti?
Se la risposta è no, allora forse dovremmo pensare di valutare il sistema di valutazione.
So che qui il discorso è di carattere più generale, ma sulla questione dell'apostrofo in fin di rigo, i linguisti più autorevoli non lo ritengono affatto un errore, e meno che mai un prodotto di convenzioni più "moderne". Quanto poi alla cosiddetta "regola di reintegrare la vocale e andare a capo: alla acqua" citata dal sig. Alfio, si tratta di un assoluto ipercorrettismo. Vale semmai il contrario. Visto che in grammatica e in linguistica vale un minimo di principio di autorità, citerò quella che è unanimemente riconosciuta come la più autorevole grammatica NORMATIVA della lingua italiana in circolazione, ossia quella di Luca Serianni e Alberto Castelvecchi, Grammatica italiana, Torino, UTET, 1991 (anche nelle Garzantine, 1997). Si legge al § 167: "Negli ultimi anni sta riprendendo voga la consuetudine dell'apostrofo in fin di rigo, che era comunemente accettata fino alla metà dell'Ottocento (Fiorelli, in CAMILLI-FIORELLI 1965: 182). Contro quest'uso non esistono reali controindicazioni; in ogni modo va assolutamente evitata l'arbitraria reintegrazione della vocale elisa: dell'/oro, del=/l'oro, dell'o=/ro sono tre soluzioni ammissibili (anche se la terza è in genere evitata per ragioni di estetica grafica e tipografica: si preferisce non andare a capo con una sola sillaba): ma dello/oro creerebbe una sequenza inaccettabile in italiano".
E nel glossario finale a cura di Giuseppe Patota, si legge:
"APOSTROFO IN FIN DI RIGO: l'opportunità di evitare, nei testi a stampa, l'apostrofo in fin di rigo risponde a criteri di estetica tipografica. Dal punto di vista linguistico non c'è motivo di considerare erronea una scansione dell' / oro (abituale nelle stampe dei secoli scorsi e oggi praticata di tanto in tanto). Si può naturalmente inglobare nel rigo la prima sillaba della parola successiva (dell'o / = ro); quel che va davvero evitato è l'arbitraria reintegrazione della vocale finale elisa, che creerebbe sequenze inaccettabili in italiano" (p. 499, ed. Garzanti).
E in modo simile si esprimono Sensini nella sua Grammatica della lingua italiana (Mondadori, 1991), il quale ritiene "poco elegante" spezzare la parola e scrivere "dello amico" e sostiene che "niente impedisce di seguire l'esempio dei giornali che vanno a capo, lasciando l'apostrofo in fine di riga: dell'/amico". E simili considerazioni svolge pure Massimo Birattari, il quale sostiene che "i grammatici raccomandano di non aggiungere mai la vocale elisa, e sostengono che è lecitissimo andare a capo dopo l'apostrofo" (Italiano, Milano, Ponte alle Grazie, 2010, p. 35).
Se non basta, c'è il parere dell'Accademia della Crusca in rete, che si trova al seguente collegamento:
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=3778&ctg_id=93
"Apostrofo in fin di rigo
Negli ultimi anni, soprattutto in ambito di scrittura giornalistica, è ritornata in uso la consuetudine dell'apostrofo in fin di rigo, che era comunemente accettata fino alla metà dell'Ottocento. Non ci sono particolari controindicazioni a quest'uso, mentre va evitata la reintegrazione della vocale elisa (del tipo "lo... operaio"). Le soluzioni sono tre e, ad esempio per la sequenza "dell'oro", sono ammesse:
dell'
oro
del-
l'oro
dell'o-
ro
La terza è normalmente evitata perché non bella graficamente.
Va invece scartata la soluzione:
dello
oro
che produrrebbe una sequenza inaccettabile in italiano.
A cura di Raffaella Setti
Redazione Consulenza Linguistica
Accademia della Crusca".
Infine, citerò quanto dice il Vocabolario Treccani della lingua italiana:
"L’uso dell’apostrofo in fin di riga è comunemente considerato errore, sul fondamento d’una regola più tipografica che grammaticale, destituita peraltro di validi motivi (regola da interpretare, a ogni modo, nel senso che si debba spostare la sillaba che contiene l’apostrofo al principio della riga seguente, non nel senso che si debba ripristinare al posto dell’apostrofo la vocale elisa)."
E comunque, anche grammatici di varie generazioni fa, come Aldo Gabrelli, di tendenze molto conservatrici e puristiche, o Amerindo Camilli, autore di un vecchio e lodato manuale sulla pronuncia e la grafia dell'italiano, erano schierati contro la reintegrazione della vocale elisa e non erano così ostili all'apostrofo in fin di rigo. Spesso noto la tendenza da parte di molti, per ragioni psicologiche, a fidarsi di più della maestra elementare che hanno avuto nell'infanzia e da cui hanno per la prima volta appreso delle regole di quanto si fidino dei pareri, per quanto autorevoli, di illustri linguisti o di grammatiche affidabili.
Senza offesa: a me questo episodio suggerisce considerazioni riguardo all'insipienza di chi deve inventarsi sciocchezze sull'antichità e la modernità perché non capisce su quali criteri si basano le regole della grammatica italiana (suggerisco Gabrielli, che era un uomo di criterio) e non ha mai visto un libro stampato nell'Ottocento (e qui suggerisco Google Libri, che di libri antichi ne offre tanti). Magari poi scopriamo che gli stessi insipienti producono i test Invalsi, chissà?
Fra i tantissimi commenti sullo psicodramma nazional-scolastico che stiamo ahimè vivendo (alias Test Invalsi) ho trovato sul FQ quello di un magistrato che mi trova molto d'accordo:
"Ci sono poi un test grammaticale e due test di natura scientifica. Le relative domande sono pertinenti, complesse, razionali e consentono una buona valutazione dello studente. Dov’è il problema?....il test Invalsi non è affatto una cattiva cosa; ve lo dice uno che, per curiosità, si è andato a leggere i 15 mila quiz a cui si deve rispondere prima di essere ammessi al vero e proprio concorso di magistratura....15 mila. Sapete come si preparano i poveretti che debbono rispondere? Imparano le risposte giuste a memoria; oppure fanno ricorso a criteri statistici. Questo sì che è un test idiota: vi piacerebbe un magistrato che non sa pensare, non sa scrivere, non sa valutare e che però conosce i codici a memoria?"
Eppure anche questo per me assennato giudizio sul merito dei test scompare di fronte all'argomento decisivo portato da Dina Moro:
"Il livello della scuola italiana è migliorato da quando (ormai dieci anni fa) i test Invalsi sono stati introdotti?"
Ma neanche un po', nè si capisce come potrebbe, l'addestramento a superare i test essendo con evidenza peggiore del male.
Il punto per me non è se i test sian fatti più o meno bene, è che, quand'anche fossero perfetti, e fotografassero lo stato esatto dell'apprendimento nelle nostre scuole non servirebbero, perchè non si saprebbe comunque che inventare.
Tranne certificare statisticamente, come in effetti fanno, che in una parte del paese le cose van meglio che in un'altra. Sai che scoperta. E il rimedio? Test e ancora test?
Ebbasta...
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