Il commento più diffuso di fronte alla nomina di Enrico
Bondi – risanatore per eccellenza delle imprese in crisi – a commissario alla
revisione della spesa pubblica è stato: il governo dei tecnici si affida a un tecnico,
il tecnico dei tecnici che, non potendo fare tutto da solo, si avvarrà di
tecnici (i tecnici del tecnico dei tecnici). La battuta fa ridere ma non coglie
la sostanza. Bondi è persona di grande competenza ed esperienza nell’ambito
dell’impresa, non ha mai sfiorato tematiche politiche. Affidandogli la scelta
dei settori in cui tagliare la spesa pubblica si è lanciato un segnale preciso:
il paese va visto come un’azienda e i tagli vanno decisi fuori da ogni
considerazione politica. Pertanto, poiché il Presidente del Consiglio e i suoi
ministri, volenti o nolenti, hanno un ruolo politico, la questione è rimessa a
un tecnico assolutamente puro. Così le forze politiche sono avvisate: è inutile
proporre considerazioni politiche o sociali perché i tagli si faranno secondo
criteri puramente tecnici.
Che una simile scelta funzioni è da vedere, e anzi i primi
segnali indicano che difficilmente funzionerà. Ma è interessante l’ideologia
che la sottende, e che non è un semplice trucco per mettere a tacere la
“pretesa” di decidere quali tagli fare in base a considerazioni sociali, di
equità, di rilancio della crescita al fine di stimolare l’occupazione, e
quant’altro. È, a sua volta, una precisa scelta politica. Difatti, la
tecnocrazia non è mera visione “scientifica”, “oggettiva” della gestione del paese.
È un’ideologia basata sull’assunto che il paese è un’“azienda”, l’“azienda
Italia”, con tutto il contorno delle formule connesse, come il chiamare “capitale
umano” le persone concrete, come se fossero qualcosa di analogo a una pressa o a
un telaio, salvo il dettaglio marginale che, anziché essere fatti di metallo o
di plastica, sono fatti di carne, ossa e sangue e, en passant, pensano, studiano e lavorano con una mente, hanno
sentimenti, aspirazioni e moventi.
Questa ideologia implica che i “valori”, la qualità umana
delle persone, i progetti immateriali che ispirano il loro agire, non contano
assolutamente niente: contano soltanto i parametri quantitativi che definiscono
le caratteristiche economiche del paese. In verità, anche il considerare
un’azienda in termini puramente economicistici è riduttivo e persino aberrante.
Se è esistito ed è vivo e vegeto il socialismo (come dimostrano le elezioni
francesi) e persino il comunismo (come dimostrano le elezioni greche), è per la
pretesa di ignorare che i lavoratori sono persone, soggetti umani, e non
macchine che possono essere accantonate secondo le convenienze. Tuttavia, la
finalità principale, la ragione di esistenza di un’impresa è la produzione e
quindi un’impresa in perdita è un non senso. Ma il fine di una società, di una
nazione non è la mera produzione di merci, bensì qualcosa di molto più ricco e
complesso che è velleitario descrivere con poche parole: diciamo che ne è un aspetto
essenziale la condivisione di una comune civiltà. Senza questo aspetto una
società è destinata a conflitti devastanti e alla rapida disgregazione. Nell’ideologia
dei tecnocrati non c’è posto per i “valori”, per una visione umanistica, che
anzi essi guardano con sarcastico sprezzo, come superstizioni del passato. Per
questo la visione tecnocratica ed economicistica è un’ideologia che non ha
nulla di oggettivo: essa è il risvolto del relativismo più radicale, della riduzione
di ogni principio etico e morale a questioni puramente quantitative.
L’ideologia tecnocratica – che guarda al benessere dei
bilanci e nel cui mondo non c’è posto per gli uomini – è egemone in Europa,
sostenuta dal paese più forte, la Germania, che tramite essa mira a garantire
gli standard della propria economia. Essa è andata al potere in paesi
politicamente deboli come l’Italia e la Grecia e ha provocato reazioni istituzionali
in paesi ancora politicamente strutturati come la Francia e la Spagna. L’ideologia
tecnocratico-relativista è miope perché s’illude che le finalità delle persone
possano essere ridotte alle regole di bilancio – il che non vuol dire (sia ben
chiaro!) che i bilanci non debbano essere tendenzialmente pareggiati, ma che la
via per arrivarci dovrebbe passare per scelte politiche e sociali ragionevoli,
sostenibili e non riducibili a tecniche aziendali. Il risultato di tale miopia
è sotto gli occhi di tutti: la rinascita del socialismo in Francia, e
l’esplosione delle forze protestatarie e anti-sistema nei paesi politicamente
deboli. La politica in Grecia ha innumerevoli colpe, ma nessun paese può essere
trattato come una colonia da mettere in riga con la forza, pena il riemergere
impetuoso degli estremismi, comunismo e fascismo. I partiti italiani, esibendo
la propria incapacità di governare e di proporre linee di condotta autonome
hanno aperto la strada alla tecnocrazia e ai suoi compagni di strada obbligati:
l’estremismo e il qualunquismo. Purtroppo estremismo e qualunquismo incanalano la
sacrosanta aspirazione alla qualità della vita nella protesta, ovvero verso
un’ulteriore distruzione di qualsiasi pensiero forte, dei valori che motivano
le iniziative su cui si fonda una società coesa. Anche da una guerra si può
uscire bene e l’Italia lo dimostrò. Ma occorre una spinta etica, occorre
solidarietà sociale, il desiderio di fare qualcosa di positivo, di migliorare, il
che non vuol dire soltanto produrre di più, ma anche, e soprattutto, crescere
culturalmente e moralmente.
Le forze politiche che hanno governato il nostro paese
dovrebbero cospargersi il capo di cenere per quanto non hanno saputo fare e per
quanto hanno fatto (e continuano a fare!) per spianare la strada alla
tecnocrazia e stimolare rigurgiti di socialcomunismo e di fascismo. Mi limito a
un esempio in un ambito che conosco meglio. La presente legislatura era
iniziata con buoni propositi sul terreno dell’istruzione, con l’intento di
ridare spazio alla cultura, a quei contenuti dell’insegnamento che sono la
sostanza della nostra civiltà, di restituire dignità alla funzione
dell’insegnante come rappresentante della società e garante della formazione di
giovani italiani preparati e liberi, liberi in quanto istruiti. Per far questo
occorreva sottrarre l’istruzione alla mano morta del prepotere sindacale. Il
risultato è disastroso. Oggi l’istruzione è sotto due mani morte: sindacati e Confindustria.
L’ultimo prodotto dell’inciucio tra un centrodestra e un centrosinistra in
crisi è una legge sull’autonomia delle scuole che le pone sotto l’egida di
consigli di amministrazione in cui gli insegnanti sono ridotti a comparse in
minoranza di fronte a genitori, studenti e “realtà” sociali, produttive,
professionali e dei servizi. Insomma, una sintesi aberrante tra l’ideologia aziendalista
e il vecchio assemblearismo di sessantottina memoria; un’epitome della
tecnocrazia e dell’ideologia collettivista, il cui inevitabile fallimento può
lasciare aperta la strada soltanto allo sbocco devastante del ribellismo.
(TEMPI, maggio 2012)
14 commenti:
Egregio Professore, che sia riuscito ad esporre in due paginette tante penetranti e sostanziose considerazioni, in un modo così piano ed efficace, mi fa quasi inca... ttivire. Mi consola solo la fermissima convinzione che lei non abbia scritto di getto, ma abbia limato ben bene, come quando scrive per “l'Osservatore Romano”.
Le sue parole mi hanno sollecitato e aiutato a riflettere (sì, non è certamente la prima volta, ma talvolta...). La ringrazio e spero perdoni la mia irriguardosa e acida invidia.
Uno splendido e illuminante articolo, perfetto in ogni sua parte, che condivido fin nelle virgole. Grazie, Professore, la consapevolezza che esistano ancora persone capaci di analisi come la sua mi rassicura nei momenti di sconforto sempre più frequenti per l'incultura e la pacchiana ignoranza dilaganti a tutti i livelli, soprattutto istituzionali.
Affinché le "regole di bilancio" siano rispettate é necessario fare dei sacrifici. Questo comporta che ognuno di noi riesca ad uscire fuori dai propri particolarismi e si riconosca in una entità più grande, in un "noi" fatto di gente unita da un vincolo di solidarietà. Ma cos'é oggi questo "noi"? La Patria? E qual'é questa "Patria"?. Da decenni il motore della società é la ricerca di un sempre maggiore benessere materiale. Non riconosco la "spinte etica" che avrebbe pervaso i nostri genitori nel dopoguerra e ancor di meno negli anni dal 70' in poi. Il relativismo denunciato dal professore ha radici lontane ed oggi assistiamo alla sua fase matura, non vedo segni del suo declino.
Mi verrebbe voglia di proporre alla Presidenza della CEI la Sua nomina a vescovo. Sicuro che la nomina non arriverebbe mai, ma non perché Lei è ebreo, bensì perché Lei dice le cose che alla CEI dovrebbero dire e non dicono.
Mi limito a commentare una frase su cose che mi riguardano, in quanto insegnante: lei dice "La presente legislatura era iniziata con buoni propositi sul terreno dell’istruzione, con l’intento di ridare spazio alla cultura, a quei contenuti dell’insegnamento che sono la sostanza della nostra civiltà, di restituire dignità alla funzione dell’insegnante come rappresentante della società e garante della formazione di giovani italiani preparati e liberi, liberi in quanto istruiti." Io, a differenza di lei, l'ho solo sentito dire, ma non ne ho visto traccia in alcun provvedimento.
Il progetto per il TFA e le lauree magistrali era buono. È stato completamente fatto a pezzi.
Le nuove Indicazioni nazionali per i Licei sono certamente buone. Sono state compromesse dai tagli di orari che le rendono difficilmente applicabili. I primi inizi del lavoro per le nuove Indicazioni nazionali per il primo ciclo erano promettenti (legga quelle che avevo scritto per la matematica delle primarie). Il nostro lavoro è stato interrotto e so che stanno per uscire nuove indicazioni, mi immagino di che tenore...
Ho detto che alcuni spunti iniziali erano positivi, altrimenti non avrei collaborato. È finita male, molto male. E ora siamo caduti dalla padella nella brace.
Capisco che lei difenda il suo lavoro, tuttavia le nuove Indicazioni nazionali per i licei hanno difetti non trascurabili. Non che siano da buttare in blocco, ma avete caricato il biennio di matematica di una quantità spaventosa di argomenti e non avete ascoltato i colleghi insegnanti che sulla piattaforma indire segnalavano il problema dopo avere letto la prima bozza. Il risultato dopo i primi 2 anni è che o si taglia nettamente parte di quanto "indicato" o si affronta tutto superficialmente. E mi limito al difetto maggiore.
Già, ma non tutti la pensano come lei. Molti la pensano in modo opposto. Mi pare improprio di parlare de "i" colleghi insegnanti. Parlerei piuttosto "di"... Il carico eccessivo deriva dal numero limitato di ore, non lo è affatto in sé, e l'indicazione di alcuni nodi concettuali fondamentali lascia molta libertà all'insegnante, soprattutto sul piano metodologico.
Caro Professore,
ho scritto "i colleghi insegnanti che ... ", quindi è evidente che non mi riferivo a tutti i colleghi, ma a quelli "che". Se poi conosce docenti che riescono a coprire bene al biennio del liceo scientifico tutto quanto riportato nelle Indicazioni, mi piacerebbe conoscerli per chiedere loro come fanno.
D'accordo. Comunque ho già detto che con questi orari è impossibile fare tutto. E le indicazioni non costituiscono un programma tassativo, ma appunto delle "indicazioni".
C'è una cosa che mi incuriosisce: quando è uscita la prima bozza delle Indicazioni, il nuovo quadro orario (5 ore settimanali al primo biennio, 4 negli anni successivi) era già noto. Dalle sue parole invece mi pare di capire che avete iniziato a lavorare sulle Indicazioni con un quadro orario diverso che prevedeva più ore settimanali. Ho capito bene?
Infine, un commento al fatto che le Indicazioni non sono un Programma. Mi chiedo se al Ministero c'è qualcuno che capisce che fornire Indicazioni quando il compito d'Esame è a cura del Ministero stesso è inutile: nel dubbio sul contenuto del compito, sono costretto a trattare tutti gli argomenti.
Certo, noi abbiamo iniziato a lavorare molto prima. Quanto al ministero mi permetta di evitare commenti.
Non riesco a capire la sua ritrosia verso il governo attuale.Lo descrive come composto da automi elettronici che agiscono sotto i dettami di un software economico-finanziario. Ma questo non è che un espediente retorico per meglio colpirlo.
Lei però sa benissimo che la dizione di "governo tecnico" è soltanto una trovata giornalistica. In effetti è un governo voluto dal Presidente della Repubblica per l'unico scopo di fronteggiare la cosiddetta "crisi del debito pubblico" che ha colpito alcuni paesi dell'Occidente. Tanto da essere temuta come una peste anche dai pochi paesi virtuosi che la hanno sperimentata duramente in un recente passato.
Dunque un governo siffatto non può- per definizione- occuparsi dei problemi che esulano dal suo scopo specifico.Ed è per questo che è un governo a tempo. La domanda che dobbiamo porci è: "saranno i politici di professione in grado di riprendere in mano le leve del potere senza far troppi danni?"
Gentile Gianfranco Massi, non considero affatto questo governo come composto da automi elettronici che agiscono sotto i dettami, ecc. Lo considero un governo politico, eccome, poiché ritengo che la tecnocrazia sia una visione politica, ed è questo il senso dell'articolo. Ciò detto, detesto la tecnocrazia: libero ognuno di pensarla come vuole. Insisto: non è un governo tecnico perché i governi tecnici non esistono. Ma non credo affatto che la crisi sia semplicemente una crisi del debito pubblico, bensì qualcosa di molto più vasto e profondo che tocca la ragione stessa d'essere dell'Occidente e, in particolar modo, le modalità di costruzione dell'Europa. Perciòquesto non era e non può essere un governo che si occupa di un problema economico specifico, tanto è vero che mette il naso ovunque. Soltanto che lo fa con l'approccio ideologico-politico della tecnocrazia (la stessa che governa o sgoverna l'Europa portandola alla catastrofe). Si veda, in particolare, cosa sta facendo per l'istruzione: digitalizzazione massiccia della scuola, trasformazione della stessa in una web community, valutazione automatica con indicatori quantitativi in ogni settore, distruzione dell'autonomia universitaria con il maglio dell'Anvur, ecc. ecc. Altro che automi elettronici… Ideologi dell'automatica elettronica, questo certamente sì. Quanto alla politica nel senso ordinario (partitico) del termine ha la colpa immensa di aver fallito e di averci lasciato nella bieca alternativa tra tecnocrazia e grillismo. Riprenderà in mano le leve del potere, restaurando la democrazia (che non c'è più, perché quel che è stato fatto è un golpe bianco e, ripeto, per colpa del fallimento dei partiti)? A giudicare dal modo insipiente, idiota e autoreferenziale con cui reagiscono la risposta sembra essere (drammaticamente): no. Beati Spagna e Francia che hanno ancora forze politiche che riescono a tenere in piedi la democrazia.
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