So benissimo che sollevare dubbi sulle procedure di valutazione automatica mediante test è controcorrente. So benissimo che sollevare dubbi sulla spinta tecnologica che viene dal ministero dell’istruzione è ancor più controcorrente. Ormai si straparla di “touch school”, di tablet a milioni, di mille nuove scuole ipertecnologiche, di dual books (ma dove li trovano i quattrini?).
A me non piace che di scuola non si occupi più chi sa, ma chi sa fare, cioè imprenditori, manager, venditori di prodotti. Non mi piace che si parli soltanto di tecniche e mai di contenuti.
Trovo detestabili le iniziative di Bill Gates, il suo grottesco progetto Met di valutazione degli insegnanti, fino all’idea balzana di misurare la qualità degli insegnanti con un bracciale elettronico misuratore di attenzione messo al polso degli studenti.
Ma - ripeto - so di essere controcorrente. Il che non mi perturba più di tanto. Mi dispiace che vada così, ma non ho alcuna intenzione di “piegarmi” e magari di scrivere e dire cose in cui non credo soltanto per non essere tagliato fuori dal “giro”.
Per esempio, penso che di matematica deve occuparsi chi ne sa e non dei piazzisti della matematica inseriti in congreghe imprenditoriali che – come mi vantava un alto dirigente ministeriale che ne sa di matematica come io di nefrologia – avrebbero sviluppato applicazioni e ambienti virtuali rivoluzionari per la didattica della disciplina.
Sei mesi fa vengo contattato da iS Pearson per un’intervista sulla valutazione e sul progetto Met di Gates. La rilascio per iscritto dopo pochi giorni e poi non ne so più nulla. Ora per caso apprendo che è uscita. Si fa per dire. Infatti è spezzettata in poche affermazioni apodittiche in cui manca del tutto l’argomentazione e sono tagliate le osservazioni più pungenti. Insomma è ridotta in “pillole” (nulla a che fare con le “pillole del sapere”, perché è tutto gratis...). Sono pillole inserite a panino tra un articolo sul progetto Met di Bill Gates e alcune dichiarazioni del commissario dell’Invalsi...
Tralascio ogni commento concernente l’educazione, la correttezza, la disponibilità a un confronto alla pari, ecc. ecc.
Mi limito a mettere in rete il testo completo dell’intervista.
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- Quali sono le principali difficoltà nel valutare il lavoro di un insegnante?
La risposta più semplice – quella che danno molti – è che il lavoro di un insegnante si valuta dai risultati e cioè limitandosi a osservare i successi o insuccessi scolastici degli alunni. Ma questo è profondamente sbagliato perché, per dirla con la nota legge di Goodhart (o la simile legge di Campbell) quando una misura viene indicata come obbiettivo cessa di essere una buona misura perché diventa un incitamento a comportamenti scorretti. Nella fattispecie, se si indica che la valutazione dell’operato di un insegnante è misurata dai successi scolastici è quanto incitarlo a promuovere tutti, anche chi non lo merita. Né è una soluzione ovviare a questo valutando direttamente gli apprendimenti dello studente, perché questo richiede seguirlo e conoscerlo in modo approfondito, che è esattamente quel che fa (o dovrebbe fare) l’insegnante nel corso di tutto l’anno. Questo processo di valutazione complesso non può essere cortocircuitato mediante test, i quali hanno senso soltanto per la verifica di conoscenze minimali e imprescindibili di ortografia, grammatica, calcolo e poco più. Tutto il resto (che è quanto dire quasi tutto) non è valutabile mediante test e sostenere il contrario è poco serio. Analogamente, il lavoro dell’insegnante non può essere valutato con test o con qualche indicatore generico. Si tratta di una valutazione che richiede un’analisi approfondita e vasta, la quale può essere condotta soltanto con un processo di ispezioni: in sostanza, commissioni ispettive che si rechino in una scuola, per un periodo di 7-10 giorni, interrogando studenti, conversando con gli insegnanti, informandosi delle strategie seguite, dei libri adottati, ecc.
- Crede che sia possibile mettere a punto un metodo affidabile di giudizio che possa aiutare gli insegnanti stessi a migliorare i propri metodi?
È appunto il metodo delle ispezioni di cui dicevo sopra. Ovviamente si tratta di un procedimento complesso e anche costoso e quindi esso può essere svolto soltanto a campione (ispezionando, ad esempio, un 10% delle scuole ogni anno). Ma già questo può servire a mettere in moto un processo virtuoso. Le commissioni ispettive potrebbero essere formate oltre che da ispettori ministeriali, da docenti di altre scuole, da docenti in pensione, e anche da docenti universitari e dovrebbero produrre dei rapporti dettagliati e che sintetizzino il giudizio mediante “voti” assegnati alle scuole e ai singoli docenti. Vorrei sottolineare che la valutazione deve essere intesa come un processo interattivo che determini una crescita culturale della classe insegnante, e non come un mero esame. Nessuno può imporre a un docente una metodologia di insegnamento – questo sarebbe totalitarismo culturale, l’idea che qualcuno possieda la “verità” circa il “giusto” metodo d’insegnamento è rozza e aberrante – ma si può aprire un confronto sui risultati ottenuti con tale o tal’altra metodologia di insegnamento e questo può far crescere e migliorare tutti. Il metodo delle ispezioni è il sistema migliore per mettere in moto questo processo interattivo che può stimolare il miglioramento.
- Il progetto Met rivendica una differenza rispetto a tutti gli altri metodi utilizzati finora evidenziando tre aspetti principali. In primo luogo, la vastità di dati raccolti; in secondo luogo, la varietà dei metodi di valutazione (da parte degli studenti ma anche da parte di osservatori indipendenti. I risultati degli allievi, inoltre, sono giudicati non solo attraverso test a crocette ma anche tramite domande a risposta aperta); infine, il fatto che i dati raccolti sono incrociati in modo che il contesto non influisca sulla valutazione finale. Ritiene che questi accorgimenti rappresentino una reale novità? Possono essere utili per garantire una valutazione obiettiva?
La pretesa che si possano valutare in modo “obbiettivo” la “conoscenza”, le “competenze”, il “metodo” e altre qualità intellettuali è priva di qualsiasi fondamento e costituisce una sciocchezza sesquipedale proprio dal punto di vista scientifico. Si può misurare in modo obbiettivo una lunghezza o un’intensità di corrente, non la qualità di un apprendimento. Purtroppo questa illusione è diffusa e si lascia credere che sia possibile “misurare” gli apprendimenti o le competenze con dei parametri quantitativi. In tal modo, non si ottiene alcuna oggettività, ma si sostituisce all’inevitabile arbitrarietà del giudizio soggettivo del valutatore l’arbitrarietà nella formulazione dei test, che sono comunque pensati da una persona che ha le sue visioni individuali, le sue idiosincrasie, le sue vedute, e talora anche le sue ignoranze. Il metro è un oggetto impersonale e indipendente da qualsiasi forma di soggettività, mentre qui vi sono comunque soggetti che pensano e decidono le tecniche di valutazione, scelgono i parametri, formulano i test. Non so che senso abbia la parola “osservatori indipendenti”. Indipendenti da chi e da cosa? Forse possono essere indipendenti dalle persone o dall’istituzione che valutano ma non sono indipendenti dalla propria soggettività. Vastità dei dati raccolti? Bisogna vedere quali dati. Già la scelta di quali dati raccogliere è personale e opinabile. È innegabile che le domande a risposta aperta siano meno oggettive di un quiz a risposta chiusa – che però è davvero oggettivo soltanto se valuta dati non opinabili come la conoscenza di una regola ortografica o aritmetica – ma proprio per questo aprono la strada a una varietà di giudizi da parte dei valutatori. Non credo che alcuno degli accorgimenti accennati possa servire a una valutazione”oggettiva”, per il semplice motivo che una valutazione oggettiva è impossibile. È possibile invece aspirare a una valutazione meditata, riflessiva ed equanime. Sottolineo questo termine: equanime. Vorrei inoltre notare che non mi piace affatto – e lo considero un brutto segno – che imprenditori e manager si occupino d’istruzione; che persone che non hanno mai messo piede in un’aula e spesso di dubbia cultura – le quali sarebbero magari bocciate a un’esame di qualche disciplina di base – pretendano di dettar legge su come si deve insegnare. Della scuola si deve occupare chi insegna e chi ha competenze culturali adeguate. Gli altri facciano il loro mestiere. Talora si ha l’impressione che qualcuno abbia visto nella scuola uno sterminato terreno entro cui fare affari soprattutto vendendo prodotti informatici e subordinando le scelte dell’istruzione a questi fini affaristici attraverso le procedure di valutazione. È singolare che si venga a parlare di rigore e di qualità dell’insegnamento mettendolo in mano a chi mai è stato valutato in termini di capacità di occuparsi di questi argomenti.
- E' innegabile che alcuni professori svolgano il loro lavoro in modo piu' efficace rispetto ai loro colleghi. Crede che sarebbe possibile adottare delle misure nell'interesse degli studenti per far si' che i professori capaci e appassionati prevalgano (almeno numericamente) sugli altri?
È innegabile. Ed è altrettanto innegabile – almeno secondo me – che occorra premiare il merito a tutti i livelli. Ma tra l’affermazione di principio e la realizzazione c’è di mezzo il mare e gli insuccessi dei tanti tentativi di valutazione “oggettiva” mostrano che la cosa è tutt’altro che semplice. Occorre partire dal principio che, se si vuole migliorare la qualità dell’insegnamento e far prevalere gli insegnanti migliori, la via non è quella di umiliare la funzione dell’insegnante mettendo la valutazione in mano a burocrati, funzionari, “esperti” di dubbia competenza o addirittura imprenditori e manager. Occorre promuovere un grande processo di “autovalutazione” mediante procedure ispettive che, mettendo a confronto gli insegnanti, faccia emergere le scuole migliori e le personalità più capaci. È un processo complesso e lungo, da sviluppare con pazienza e con metodo, ma la cultura si alimenta con la cultura, non trattandola come un sistema di produzione di merci di cui occorre valutare la qualità, come se si trattasse di valutare una produzione di pomodori pelati sulla base di una serie di parametri quantitativi. Spesso non funziona bene neppure nel caso della produzione di merci, figuriamoci nel caso dei “prodotti” dell’intelletto.
Giorgio Israel