Giuliano Ferrara ha individuato l’esito delle elezioni americane nella
perdita di coesione dell’ondata liberista reaganiana e nella sostituzione della
“Right Nation” con una “right coalition” dal tratto aggressivo; e quindi in un
cambiamento molto più profondo della sconfitta del candidato Romney. Propongo di interpretare questa analisi al seguente modo: l’arroccamento senza progetto si traduce in mero conservatorismo
e il conservatorismo è inevitabilmente perdente. Difesa del valore della
persona e della famiglia, fiducia nella libera impresa, difesa della democrazia
nel senso proposto dalla cultura politica dell’Occidente, sono tanti aspetti
che non possono essere difesi in trincea, bensì soltanto come parte di un
progetto per la società volto al futuro. La crisi del 1929 provocò un
consistente riflusso verso il socialismo e il marxismo: nacque persino una
corrente di studi tendente a reinterpretare la microeconomia come metodo per
implementare dei sistemi di pianificazione. Perché mai dovremmo stupirci che la
crisi in cui viviamo – persistente e senza che si veda chiaramente il modo di
uscirne – non orienti verso altri modelli, magari quelli vecchi, in assenza di
meglio? Identificare, sic et simpliciter,
il modello che ha condotto a questa situazione come il sistema ideale per
creare lavoro e impresa, escludendo drasticamente la sola idea di qualsiasi
revisione, di qualsiasi ripensamento, significa una cosa soltanto: spianare la
strada al socialismo, anche nelle sue forme più vecchie e assistenzialiste. È
un progetto vecchio malgrado la veste di politicamente corretto – diritti
civili, matrimonio e adozioni gay, procreazione ammessa in ogni forma, aborto
libero, eutanasia, ecc. Ma la bandiera della tutela sociale è di gran lunga più
rassicurante, e la parola “progresso” è più presentabile. Vallo a raccontare
che il mercato è un indicatore oggettivo di quanto un sistema economico è
virtuoso. Non è per niente ovvio, non ne esiste alcuna dimostrazione teorica
possibile, non è credibile soprattutto nell’attuale versione in cui l’economia
finanziaria conta enormemente più dell’economia produttiva. Se ci si limita a
rivendicare questo principio come verità di fede la gente va a vedere “Margin
Call” e, uscita dal cinema, vota Obama. E i più colti andranno a rileggere
Marx, come sta avvenendo sempre più da qualche tempo a questa parte. Lo stesso
discorso vale per l’impatto della tecnologia sulla vita di oggi, che si tratti degli
interventi sulla vita umana o del suo impatto sull’istruzione e la cultura. La
mera contrapposizione è insensata e perdente. Occorre definire un progetto che
ponga al centro la questione antropologica, la centralità e la dignità della
persona e poi articolarlo con proposte precise per ogni ambito. Ma il richiamo
al mero individualismo non basta più. Qualcuno non si è accorto che il
liberalismo di Stuart Mill non abita più su questa terra. Anche i sistemi
“liberisti” occidentali sono contaminati da forme di dirigismo tecnocratico
talora soffocanti e il politicamente corretto ha ucciso il detto che «ciascuno
e l’autentico guardiano della propria salute sia fisica sia mentale sia
spirituale»; e non l’ha ucciso soltanto a “sinistra”, perché il costruttivismo
sociale è diffuso a tutte le latitudini. Ma se si vuol difendere il principio
di Stuart Mill, com’è legittimo, bisogna pur farlo misurare con il contesto dei
tempi, e non limitarsi ad alzare una bandiera.
È istruttivo rivolgere lo sguardo al nostro piccolo contesto
italiano. Quantomeno negli Stati Uniti esiste una forte tradizione liberale,
fino ad ora ben più forte di quella “liberal”, anche se sempre più debole e
frastornata. Da noi non esisteva nulla del genere e sembrava essere compito del
nuovo centro destra creare una corrente modernamente liberale misurandola con
le sfide dei tempi e i problemi nazionali. Invece si è oscillato tra il nulla –
l’assenza totale di qualsiasi progetto in qualsiasi campo – e forme di
conservatorismo un po’ ammuffito, alla ricerca di un mondo cattolico
tradizionalista sempre più evanescente cui aggrapparsi. Di che stupirsi allora
se, all’improvviso, ci giriamo intorno e c’è un deserto in cui il già ministro
degli esteri Frattini plaude alla vittoria di Obama? Dall’altra parte c’è una
sinistra che oscilla tra la tentazione di buttarsi nel modernismo della
rottamazione e il sicuro porto dei vecchi ideali socialisti, il quale non potrà
non essere l’approdo finale di tutte le inevitabili e, in fondo, comprensibili
paure. Così, di fronte a simili alternative, è giocoforza che in tanti maturi l’idea
di lasciare tutto in mano al consiglio di facoltà, ovvero alla tecnocrazia. Con
tanti saluti alla democrazia e con la rinuncia a lettere la testa su questa
crisi interminabile, confidando nello stellone del dirigismo di mercato.
Dimenticando che, se non sono eterni né il comunismo (figuriamoci) né il
socialismo, non è neppure inossidabile il mito del mercato regolatore della società.
(Il Foglio, 9 novembre 2012)
9 commenti:
Obama ha creato finalmente una forma di sanità pubblica in America e questo bisogna riconoscerglielo, tra il socialismo di Obama ed il conservatorismo dove la gente muore perché non può pagarsi le cure... beh scelgo il socialismo, con buona pace di Giuliano Ferrara.
Su questo ci sono pochi dubbi. E infatti ho detto che riproporre tal quale il modello mercatista è assurdo. Ma purtroppo la presidenza Obama è anche molte altre cose assai discutibili.
Mi permetto di segnalare anche un'altra interessante analisi del voto americano, ad opera di Massimo Introvigne: http://www.cesnur.org/2012/mi20121108o.htm
Mi sembra che i due articoli si integrino a vicenda.
Inoltre, professore, anche se fuori tema rispetto al soggetto del post, vorrei dirle che sto leggendo il suo nuovo libro, Pensare in matematica, e vorrei esprimerle la mia gratitudine.
Mai in vita mia avrei pensato di leggere un libro di matematica: l'ho affrontato per aver maggior consapevolezza di quel che dovrebbero imparare i miei figli a scuola e mi sono invece appassionata ai vari spunti di storia della matematica e del pensiero in generale (come si forma il concetto di numero, come nascono le parole per indicare i numeri, i vari sistemi di numerazione...). Molto probabilmente mi fermerò prima dei capitoli sull'analisi, ma credo di aver finalmente capito l'importanza della matematica come disciplina che interagisce con i vari settori della cultura, dalla religione, alla filosofia, alla linguistica... Mi ha veramente aperto nuovi orizzonti e credo che se questo genere di approccio fosse più diffuso guadagnerebbe un gran numero di nuovi appassionati alla disciplina.
Purtroppo, però, ho anche scoperto che tutte le cattive abitudini didattiche che lei stigmatizza nel libro sono moneta corrente nelle nostre scuole.
La ringrazio, un riconoscimento del genere è la cosa più gratificante che si possa avere. Ma non ometta almeno il capitolo sulle probabilità: è una delle cose più importanti nel mondo in cui viviamo.
Ho intenzione di comprarlo come regalo a mio padre.
Lo leggerò anche io, voglio vedere se riuscirò a capire qualcosa sulle probabilità, dato che le ho tante odiate al liceo.
Ho letto "Chi sono i nemici della scienza?" e ho appena iniziato "Liberarsi dai demoni", non ho ancora visto nessun accenno a Weber, strano.
Ha ragione. È un difetto. Ne terrò conto per il futuro.
Perché professore non fa una sezione a parte, o un post a parte, o un richiamo nel menu per le recensioni dei lettori su "Pensare in matematica"? Anch'io l'ho ordinato subito appena ha dato notizia della pubblicazione sul sito e anch'io lo sto leggendo (ma vado piano, sia per il poco tempo che ho in questo periodo sia per i miei oggettivi limiti nella materia) e mi piacerebbe scriverne qualcosa quando avrò finito, per quel che sarò in grado.
Va bene. Alla prima che ricevo la incollo su un post di cui metto il link sulla pagina (é l'unico modo).
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